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STUDIAMO LE MALATTIE SUGLI AVATAR

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STUDIAMO LE MALATTIE SUGLI AVATAR

Quotidiano.net – Farmaci che regolano l’attività dei geni, orologi che misurano lo stress: è la rivoluzione digitale. Ne ha parlato Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio di epigenetica dello IEO, Istituto Europeo di Oncologia, e professore di Biologia Molecolare all’Università Statale di Milano, intervenuto a Venezia alla conferenza The Future of Scienceorganizzata da Fondazione Cini, Fondazione Umberto Veronesi e Fondazione Tronchetti Provera.

Professor Testa, come studiate le malattie in laboratorio?

«Attraverso la creazione di un avatar. Sfruttiamo il potere rivoluzionario della riprogrammazione cellulare per sviluppare organoidi, modelli cellulari che cercano di riprodurre, al di fuori del corpo, gli aspetti salienti di come le cellule si organizzano nel nostro corpo a formare tessuti».

Su quali campi vi applicate?

«Operiamo nell’ambito del cancro e dei disordini dello sviluppo del sistema nervoso. In entrambi i casi ci sono problemi di identità cellulare che hanno a che fare con l’epigenetica, col modo in cui i geni sono espressi».

Un esempio pratico? 

«Abbiamo studiato così i meccanismi di due malattie neurologiche speculari, l’autismo e la sindrome di Williams. Abbiamo preso cellule dalla pelle di bambini malati e le abbiamo riportate allo stadio di staminali pluripotenti, riproducendo poi neuroni recanti appunto le lesioni genetiche che causano le malattie in questione».

E cosa avete trovato? 

«Che la disfunzione nell’attività di alcuni geni, provocata da quante copie di quel gene sono presenti nelle cellule, altera da subito, cioé fin dalle primissime fasi dello sviluppo, i circuiti molecolari che portano alla formazione del cervello, del cuore, delle strutture del viso, insomma di tutti i principali organi coinvolti in questo tipo di malattie genetiche che associano disabilità mentale e/o autismo a varie anomalie a carico di numerosi organi. Sia l’autismo sia la sindrome di Williams, sapevamo da tempo, sono due condizioni legate agli stessi geni e le cui anomalie influenzano aspetti come il linguaggio e la socialità, aspetti cioé fondativi della condizione umana».

E voi avete indagato le due malattie in parallelo, cosa sappiamo oggi?

Quotidiano.net – «Che sono causate da alterazioni speculari nel dosaggio genico, che possono essere la perdita o la duplicazione di 26 geni che stanno sul cromosoma 7. La perdita di una copia di questi geni causa la sindrome di Williams, una malattia neurologica che causa ritardo mentale ma risparmiando in gran parte il linguaggio. Produce una forma di socievolezza che i primi clinici definirono come personalità da cocktail party. La duplicazione degli stessi geni invece è stata da pochi anni associata all’autismo che ha sintomi diametralmente opposti: socialità compromessa, fino al cosiddetto ritiro autistico, associata appunto a gravi deficit nelle capacità linguistiche».

Quindi esistono alterazioni simmetricamente opposte collegate al dosaggio dei geni…

«E a queste corrispondono alterazioni, anche queste simmetricamente opposte, in aspetti fondamentali   della condizione umana quali il linguaggio e la socialità. Tra questi 26 geni, uno in particolare, chiamato GTF2I, gioca un ruolo chiave come fattore di trascrizione, cioè come gene che a sua volta regola la funzione di molti altri geni, accendendoli o spegnendoli».

E a questo punto che cosa avete scoperto?

«Abbiamo scoperto che GTF2I non agisce da solo, ma in associazione con un importante enzima, LSD1, che è coinvolto anche in molti tipi di tumore e contro il quale si sono cominciati a sviluppare, anche allo IEO, molti nuovi farmaci. Siamo riusciti quindi a dimostrare che la somministrazione di molecole che bloccano LSD1 è in grado di ripristinare il corretto funzionamento di alcuni circuiti molecolari, anche in presenza di anomalo dosaggio di GTF2I».

Avete aperto la strada a uno studio cruciale, questi inibitori farmacologici un giorno potrebbero essere impiegati nell’autismo e più in generale nelle malattie mentali del neurosviluppo?

«In effetti è proprio sui neuroni riprogrammati a partire dalla cute dei pazienti reclutati per il nostro studio che sta partendo lo screening farmacologico per nuovi composti. Ma è una strada naturalmente ancora molto lunga».

I sintomi, si può intuire, in via ipotetica potrebbero regredire almeno in parte con terapie innovative.  Avanti di questo passo? 

«Bisognerà poi dirigere le molecole nell’organo giusto, ottimizzare i modi per farle viaggiare nel sangue, ci sarà tantisismo lavoro da fare».

Un vostro studio uscito su Nature Genetics apre la strada all’impiego di farmaci molecolari per l’autismo, più in generale per la cura di malattie mentali e del neurosviluppo. Oggi esistono antitumorali «su misura» per il singolo paziente. Quando accadrà lo stesso in neuropsichiatria?

«In un prossimo futuro. C’è un grande ripensamento su malattie come schizofrenia, autismo, epilessie, ritardo mentale: quando le analizziamo a livello molecolare vediamo che hanno tanti meccanismi in comune, iniziamo così a riclassificarle e a capire meglio».

Il vostro lavoro, si è detto, è una delle più grandi ricerche mai condotte finora su cellule staminali riprogrammate in presenza di malattia genetiche, e segna un balzo avanti nel campo del cosiddetto disease modeling, ci spiega meglio?

«Come accennavo all’inizio, questo campo di ricerca si avvale della creazione di modelli di malattie mentali che vengono denominati avatar, ed è un ambito di ricerca che sta esplodendo in biomedicina, e che si basa sulla riprogrammazione di cellule della cute di pazienti affetti dalle più svariate malattie a base genetica (incluse malattie frequentissime tipo Parkinson, Alzheimer, schizofrenia, diabete, SLA) in cellule staminali pluripotenti, cioè riportate a uno stadio analogo a quello delle cellule embrionali da cui hanno origine tutti i nostri organi e tessuti».

Da queste cellule cosa si può ottenere?

«È   possibile derivare, in vitro, tutti i tipi di cellule del nostro corpo, studiare i meccanismi di malattia e testare nuovi farmaci anche in tessuti umani che erano restati finora praticamente inaccessibili alla sperimentazione, come appunto i neuroni del cervello. Inoltre l’ampiezza del campione e il rigore del nostro studio, hanno permesso di concludere che il numero di pazienti coinvolti, e il numero di linee di staminali riprogrammate da ciascun paziente, sono fondamentali per scoprire i meccanismi molecolari alla base della malattia».

Non si finisce mai di scoprire qualcosa di nuovo…

«Un’altra scoperta inaspettata è che le alterazioni del dosaggio genico provocano anomalie fin dai primissimi stadi dello sviluppo. Poi, più si va avanti nel differenziamento nei vari tessuti, più questi difetti vengono amplificati. L’impatto è notevole   per tutto il campo del disease modeling, perché vuol dire che almeno in queste malattie, già dalle cellule staminali riprogrammate dai pazienti, prima ancora di averle differenziate, potremo già capire quali sono le alterazioni più importanti su cui poi focalizzare la nostra attenzione».

Giuseppe Testa sarà tra i relatori al congresso della Società Europea di Terapia Genica (ESGCT), della Società Internazionale di ricerca sulle Cellule Staminali (ISCCR) e dell’Associazione di Biologia Cellulare e Differenziamento (ABCD), a Firenze dal 18 al 21 ottobre.

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