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UNA BUONA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO FA BENE A TUTTE LE PERSONE CON DISABILITÀ

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UNA BUONA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO FA BENE A TUTTE LE PERSONE CON DISABILITÀ

Fonte www.superando.itNel mondo le persone con disabilità sono più di un miliardo (il 15% della popolazione mondiale, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) e l’82% di esse vivono in Paesi in Cerca di Sviluppo. Il 95% di quelle che vivono nei Paesi poveri non hanno accesso ai servizi riabilitativi e sanitari (380 milioni di persone) né ad appropriati servizi di base, mentre più dell’85% nel mondo non hanno un impiego e solo il 5% dei minori con disabilità hanno potuto accedere a un’educazione formale (l’Unicef calcola in oltre100 milioni i bambini esclusi dalle scuole).

La condizione di disabilità è causa ed effetto di povertà, perché le persone con disabilità sono soggette a discriminazioni e a mancanza di pari opportunità, che ne producono una limitazione alla partecipazione sociale e violano ogni giorno i loro diritti umani. La visione negativa che la società trasferisce sulle persone con disabilità produce un fortissimo stigma sociale, che ha conseguenze in tutti i campi della vita economica, culturale, politica e sociale. E ancora, in caso di guerra, di catastrofi naturali o causate dall’uomo, le persone con disabilità sono le prime a patire le terribili conseguenze delle emergenze, spesso con la morte e la mancanza di attenzione alla loro condizione. Hanno infatti il triplo di probabilità di morire e a causa delle catastrofi, una cospicua percentuale della popolazione colpita vive condizioni di disabilità.

Per tutto ciò, dunque, si può dire che le persone con disabilità rappresentino i “più esclusi fra gli esclusi”, i “più discriminati fra i discriminati”, i “più poveri tra i poveri”.

In termini quantitativi, le persone con disabilità che vivono nei Paesi in Cerca di Sviluppo rappresentano più di un terzo dei più poveri del mondo.

L’attenzione che la comunità internazionale ha prestato alla condizione delle persone con disabilità è andata crescendo, prima con l’anno 1981 dedicato dall’ONU alle persone con disabilità, poi con la Decade 1982-1991 per le Persone con Disabilità; è stata quindi la volta delle Regole Standard per l’Uguaglianza di Opportunità delle Persone con Disabilità (1993) e infine dell’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (2006).

Quest’ultima ha rappresentato una vera e propria rivoluzione all’interno del dibattito internazionale, spostando la visione della condizione delle persone con disabilità da un modello medico a un modello sociale della disabilità stessa, basato sul rispetto dei diritti umani.

Proprio la Convenzione ha inserito all’articolo 32 il tema della cooperazione allo sviluppo, introducendo novità nel metodo e nei contenuti delle azioni e dei progetti e l’articolo 11 sul rispetto dei diritti delle persone con disabilità in caso di situazioni di emergenza.

Cooperazione allo sviluppo e persone con disabilità

Da vari anni a livello internazionale sono stati sollevati i problemi di un utilizzo dei fondi della cooperazione internazionale rispettoso dei diritti delle persone con disabilità. Infatti, da un lato le attività di cooperazione allo sviluppo non si occupano delle persone con disabilità (una ricerca ha fatto emergere che nei Paesi dell’Unione Europea circa il 2-5% dei fondi è destinato a progetti indirizzati specificamente a persone con disabilità); dall’altro, i progetti finanziati dalle Agenzie Nazionali e Internazionali non includono il mainstreaming della disabilità nelle attività ordinarie, garantendo accessibilità e pari opportunità [per “mainstreaming” si intende qui il fatto che le questioni legate alla disabilità debbano essere prese in considerazione tanto nella pianificazione quanto nell’esecuzione di tutte le politiche che abbiano un certo impatto sulla società, N.d.R.].

Il tema è diventato obiettivo delle iniziative delle organizzazioni di persone con disabilità ed è stato posto all’ordine del giorno dei Governi, delle Agenzie e dei donatori internazionali. Oggi le Nazioni Unite includono le persone con disabilità all’interno delle loro politiche di prevenzione e intervento in caso di catastrofi naturali e create dall’uomo (tenendo conto dei 65 milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case dopo tali eventi, si parla di quasi 10 milioni di persone con disabilità).

Infatti, il documento Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030 impegna gli Stati ad intervenire verso queste persone in caso di emergenze, coinvolgendo le Associazioni di persone con disabilità nella progettazione, primo intervento e assistenza alle vittime. Gli stessi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (Sustainable Development Goals, ovvero SDGs), vale a dire la politica internazionale su cui si basa lo sviluppo economico, sociale, ambientale e umano di tutti i Paesi del mondo, citano in vari punti le persone con disabilità, che devono beneficiare di tutti gli avanzamenti della società.

Non a caso lo slogan alla base dei 17 Obiettivi e delle 169 Azioni degli SDGs è che «nessuno rimanga indietro».

Anche la Commissione Europea ha riconosciuto questo approccio a due binari nelle proprie Linee Guida sulla Disabilità e la Cooperazione allo Sviluppo. Inoltre, una Risoluzione del Parlamento Europeo del gennaio 2006 impegna la Commissione Europea ad essere più attiva su questo tema e a prendere misure concrete per attuare le Linee Guida nei futuri programmi tematici e geografici.

In tal senso, già la decisione di EuropeAid di impegnare nel periodo 2007-2013 il 20% delle proprie risorse per progetti sociali è un primo impegno. Inoltre, è in corso di svolgimento un progetto finanziato proprio dalla Commissione Europea, che coinvolge dodici Paesi, e che promuove iniziative riguardanti il mainstreaming della disabilità nella cooperazione allo sviluppo.

L’anno scorso, infine, il Consensus Europeo sugli Aiuti Umanitari e quello sulla Cooperazione Internazionale hanno incluso l’attenzione alle persone con disabilità. Sulla base di questo dibattito internazionale e di iniziative di progetti in vari Paesi europei, alcune Agenzie Nazionali Governative hanno definito documenti di indirizzo sul tema.

L’approvazione della Convenzione ONU ha segnato, come detto, un momento di svolta nell’attenzione ai diritti delle persone con disabilità anche sulle politiche di cooperazione allo sviluppo. L’articolo 32 di essa, infatti, ha introdotto nuovi princìpi nelle attività di questo àmbito. In particolare, riconoscendo il ruolo delle organizzazioni di persone con disabilità nelle attività di cooperazione allo sviluppo, sulla base del principio Niente su di Noi senza di Noi, quell’articolo prevede che la cooperazione internazionale:

° Includa le persone con disabilità e garantisca l’accessibilità degli interventi alle stesse persone con disabilità, compresi i programmi di sviluppo internazionali.

° Agevoli e sostenga la formazione di capacità di azione, anche attraverso lo scambio e la condivisione di informazioni, esperienze, programmi di formazione e buone pratiche.

° Agevoli la cooperazione nella ricerca e nell’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche.

° Fornisca, nella misura appropriata, assistenza tecnica ed economica, anche agevolando l’accesso e la condivisione di tecnologie accessibili e di assistenza e tramite il trasferimento di tecnologie.

Oggi, la cooperazione italiana è tra le più avanzate sul tema, con un Piano d’Azione sulla Disabilità, definito nel 2013, con specifiche Linee Guida (ora al terzo aggiornamento) e con una serie di documenti che si sono occupati di garantire l’accessibilità in tutti i progetti finanziati dalla cooperazione italiana. E da ultimo, ma non ultimo, con un Vademecum, il primo di uno Stato, sull’inclusione delle persone con disabilità negli aiuti umanitari, con una particolare attenzione all’educazione inclusiva.

Per leggere l’articolo integrale clicca qui

*Componente dell’Esecutivo Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International).

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