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DISABILITÀ: MANCA UNA VISIONE DI AMPIO RESPIRO

Fonet www.superando.it – Qualche giorno fa è stato presentato a Roma il Rapporto Sbilanciamoci! 2016 (Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente), documento giunto alla sua diciassettesima edizione, con cui ogni anno puntualmente, nei giorni precedenti all’approvazione della Legge di Stabilità, un gruppo nutrito di organizzazioni della società civile – tra cui anche la FISH* (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – componenti appunto della Campagna Sbilanciamoci!, fornisce una serie di proposte operative su come utilizzare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente.

Si tratta di una sorta di “Controfinanziaria”, che offre un contributo concreto al dibattito, componendosi di analisi, soluzioni organiche e coperture economiche, operanti nel segno della giustizia sociale, dell’equità, della redistribuzione della ricchezza e della sostenibilità ambientale.

Nello specifico, all’interno del Rapporto la FISH cura segnatamente le analisi e le proposte inerenti le politiche per la disabilità, discorso, questo, che prende le mosse dalla considerazione che tutti gli indicatori utilizzati per descrivere le condizioni di vita delle persone con disabilità evidenziano segnali, più o meno incisivi, di restrizione delle opportunità, se non di vera e propria discriminazione ed esclusione sociale.

Notevoli, inoltre, appaiono le difformità territoriali nell’accesso ai servizi e nell’esercizio dei propri diritti, disparità che vengono ricondotte non solo alle significative differenze di spesa pro capite (dagli 880 euro per persona con disabilità del Sud ai 5.302 euro del Nord-Est, complice la mancata definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale), ma che devono essere correlate anche alle omissioni nella pianificazione di interventi mirati.

In sostanza, pesa sulle politiche per la disabilità e la cosiddetta non autosufficienza la mancanza di una visione di più ampio respiro, che si traduca in una programmazione condivisa, organica e uniforme su tutto il territorio nazionale, chiara negli obiettivi da perseguire e rigorosa nella valutazione degli impatti in termini di inclusione delle persone con disabilità. Se tale strategia rappresenta un orizzonte di medio-lungo periodo, vi sono tuttavia emergenze che devono essere affrontate tempestivamente. E accanto alle proposte operative che vengono indicate nel Rapporto di Sbilanciamoci!, strettamente legate alla Legge di Stabilità, si invita il Governo a tenere anche conto delle questioni legate alla disabilità rispetto ad alcuni interventi di carattere generale. Ad esempio, nelle misure di contrasto alla povertà, previste dal Disegno di Legge di Stabilità, dev’essere opportunamente considerata la variabile “disabilità”, che è uno dei principali determinanti di impoverimento e di povertà.

Inoltre, all’interno dei profilati interventi per l’allentamento della disciplina pensionistica vigente, particolare attenzione meritano i caregiver familiari, per i quali vanno previsti benefìci sia nella direzione di anticiparne la quiescenza senza svantaggi nei trattamenti pensionistici, sia di garantire copertura previdenziale nel caso in cui abbiano rinunciato allo svolgimento dell’attività lavorativa retribuita, per assistere – magari per decenni – un proprio congiunto.

Nel Rapporto, infine, trovano spazio due approfondimenti, il primo dei quali dedicato al Decreto Legislativo 151/15, uno dei decreti applicativi della riforma del lavoro, meglio nota come Jobs Act, per la parte inerente il collocamento mirato, mentre l’altro è incentrato sulle disposizioni che, nell’àmbito della Legge nota come Buona Scuola [Legge 107/15, N.d.R.], interessano il diritto allo studio delle persone con disabilità.

Il rapporto e la sintesi sono disponibili cliccando qui

Cui Anffas Onlus aderisce

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L’ONU DICE ADDIO ALLA VECCHIA SEDIA A ROTELLE

Fonte www.superabile.it e http://www.un.org/webaccessibility/logo.shtml – Bye-bye vecchia sedia a rotelle. Il nuovo simbolo Onu per l’accessibilità deille persone con disabilità è una specie di uomo vitruviano stilizzato.

Un logo quasi geometrico che rappresenta – scrivono le stesse Nazioni Unite – una figura umana universale a braccia aperte simbolo di inclusione e armonia tra gli esseri umani nella società. A crearlo, la Design Unit del Dipartimento di Informazione Pubblica dell’Onu, la quale ha pensato di cancellare anche lo stigma grafico che pesava sulla vecchia immagine ribadendo i valori universali dell’inclusione e dell’accessibilità.

Con il nuovo logo infatti si vuole indicare l’accessibilità in tutte le sue declinazioni: accessibilità dei luoghi, delle informazioni, dei servizi, della comunicazione e delle tecnologie, ecc. ecc.

Per maggiori informazioni consulta la pagina dedicata (in lingua inglese) cliccando qui

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LA CITTÀ INCLUSIVA TRA I FOCUS DEL 3 DICEMBRE

Fonte www.superabile.it – Come ogni anno in prossimità del 3 dicembre si susseguono iniziative e convegni per celebrare la Giornata delle Persone con Disabilità. In particolare, per il 3 dicembre del 2015 sono stati individuati alcuni temi di discussione, e tra questi, vale la pena di sottolineare, vi è quello delle città accessibili ed inclusive.

I temi variano annualmente e non è di certo casuale questa attenzione sempre più convergente sulla città. Difatti è stato stimato che nel 2050 ben il 66% della popolazione mondiale vivrà nelle città. E se consideriamo che nel 1990 il 18 % della popolazione europea aveva oltre 60 anni mentre nel 2030 la percentuale salirà al 30%, ci possiamo immaginare uno scenario ben preciso che richiede un approccio consapevole da parte di politici, decisori e progettisti, sulle scelte che riguardano spazi, ambienti e servizi adeguati.

Vale anche la pena sottolineare ancora un volta il fatto che ad oggi una persona su sei nell’Unione Europea, intorno agli 80 milioni, ha una disabilità media o grave.

Alla luce di queste considerazioni sul trend della popolazione si ripongono molte aspettative per la Terza Conferenza Globale delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile e l’Abitazione Habitat III che avrà luogo nel 2016, evento in cui saranno esaminati i progressi e le lezioni e per una “nuova agenda urbana”. Ma questa sarà anche l’occasione dove ribadire che le future città debbono essere più accessibili e facili da utilizzare, quindi inclusive. Habitat III, si legge dal sito delle Nazioni Unite, “fornirà una piattaforma importante per lo sviluppo urbano ai responsabili politici e gli operatori di tutto il mondo, così come a coloro che operano nel campo della disabilità per rivedere le attuali pratiche e identificare le opportunità per il cambiamento. È importante sottolineare che la nuova agenda urbana deve garantire che le future città, paesi e infrastrutture e servizi urbani di base siano più accessibili in relazione all’ambiente, facili da usare e inclusive per tutte le esigenze delle persone, comprese le persone con disabilità.”

Ma tornando al presente è possibile anticipare che secondo una dichiarazione del Commissario Europeo Marianne Tyssen in un incontro avvenuto con l’European Disability Forum (EDF) proprio per il 3 dicembre sarebbe in programma l’emanazione dell’Atto Europeo per l’Accessibilità (European Accessibility Act). Il testo sarà discusso e approvato il 2 dicembre, mentre il 3 dicembre, l’Atto potrebbe essere pubblicato.

Questo atto potrebbe fornire nuove prospettive e strumenti per un’accessibilità più diffusa nei Paesi dell’Unione Europea, ed è molto probabile che avrà ripercussioni anche in tema di città accessibili e inclusive. La sua realizzazione nasce, infatti, dall’esigenza di armonizzare gli standard europei in tema di accessibilità per persone con disabilità e anziani, per promuovere la progettazione universale e per fornire nuovi stimoli alle imprese e alle industrie per realizzare prodotti accessibili.

Quindi è possibile immaginare un 3 dicembre ricco di discussioni, esperienze e risposte concrete per una città accessibile ed inclusiva.

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IL RAGAZZO CHE RACCONTA I DOLORI DELL’AUTISMO COMMUOVE IL WEB

Fonte – www.west-info.eu – Saprò mai resistere alla mia immagine riflessa nello specchio senza provare vergogna per quello che sono? Saprò mai cosa si prova a restare in piedi senza inciampare? Sarò mai felice? Oggi no. Domani, forse”. Sono le parole di Ryan Wiggins, un 14enne affetto da autismo. Che sta commuovendo tutta l’Inghilterra col suo video. In cui racconta i disagi legati alla sua condizione.

Cliccando qui potete vedere il video di Ryan dal titolo “Tomorrow” (in lingua inglese)

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PERSONE CON DISABILITÀ, NON MALATI. IL CONSIGLIO DI STATO ACCOGLIE LE RAGIONI DI LEDHA

Fonte – www.personecondisabilita.itSi è conclusa con una positiva e importante sentenza del Consiglio di Stato la lunga battaglia legale che ha visto coinvolto l’azienda consortile “Insieme per il sociale”, che gestisce i Centri Diurni Disabili (Cdd) nei Comuni di Cinisello Balsamo e Cusano Milanino, e l’associazione “Senza limiti”. Oggetto del contendere: il bando di gara per l’affidamento dei servizi a carattere educativo, socio assistenziale e di supervisione nei Cdd dei due comuni milanesi. Il bando, infatti, era stato contestato dall’associazione “Senza limiti” che ha chiesto, come requisito essenziale per le figure del coordinatore e dell’educatore il possesso del titolo di “Educatore Professionale” rilasciato dalle facoltà di Medicina e chirurgia. Questa richiesta, oltre che dai Comuni, era stata criticata anche da LEDHA – Lega per i diritti delle persone con disabilità, che si è schierata a fianco dell’azienda consortile “Insieme per il sociale”, sostenendo l’azione del ricorso legale.

In un primo momento, il Tar della Lombardia ha accolto il ricorso dell’associazione “Senza limiti” e annullato il bando di gara. Il consorzio dei Comuni ha successivamente impugnato questa decisione in appello davanti al Consiglio di Stato, che ha messo definitivamente la parola “fine” alla vicenda. I giudici affermano infatti che non può essere sostenuta la tesi dell’associazione “Senza limiti” “tesa ad assegnare ai centri diuni una prevalente e pressoché esclusiva funzione di cura e assistenza sul piano terapeutico ed infermieristico/medicale dei soggetti in condizione di disabilità” che frequentano i Cdd.

In altre parole, il Consiglio di Stato conferma quanto sostenuto dai legali di LEDHA: i Centri Diurni Disabili non sono servizi sanitari e le persone con disabilità non sono malati. “Per il Centro antidiscriminazione Franco Bomprezzi le persone che frequentano i Cdd hanno certamente in molti casi anche necessità di tipo sanitario. Ma che non possono, e non devono, essere confuse con quelle di tipo ospedaliero – commenta l’avvocato Laura Abet del Centro antidiscriminazione “Franco Bomprezzi” -. Le persone con disabilità sono persone, secondo la definizione universale della Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità (Legge n.18/2009), …e non dei malati. Tesi che invece il ricorrente era riuscito a far passare e che era stata accolta dal Tar”.

“Siamo soddisfatti per l’esito positivo di questa battaglia legale. Da un lato per la tutela dei diritti dei lavoratori, ma soprattutto perché le amministrazioni comunali del nostro ambito hanno sempre sostenuto le necessità di pensare ai centri diurni come luoghi educativi e di socializzazione – commenta Gianfranca Duca, assessore alle politiche sociali del Comune di Cinisello Balsamo -. LEDHA ci ha supportato in questa battaglia culturale, fornendoci una preziosa consulenza e supporto nella definizione della linea difensiva”.

La pronuncia del Consiglio di Stato ha espressamente ribaltato la sentenza del Tar, che si inseriva all’interno di una consolidata interpretazione del Tar Lombardia, sezione di Milano. Confermando anche l’impostazione che Regione Lombardia dà, nei propri atti, dei Cdd: sia dal punto di vista della natura della prestazione, certamente socio-sanitaria, sia dal punto di vista organizzativo-funzionale”, spiega l’avvocato Massimiliano Gioncada, che ha patrocinato l’appello presso il Supremo Consesso Amministrativo.

Il fine di questi servizi è quello di favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità, di individuare i bisogni assistenziali ed educativi, valorizzando le risorse della comunità e tutti gli interventi di carattere realmente abilitativo. “Abbiamo intrapreso questa battaglia legale, schierandoci fin da subito a fianco dei Comuni, perché siamo profondamente convinti che il fine ultimo di questi servizi sia quello di favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità”, commenta Alberto Fontana, presidente LEDHA. “Non si tratta di negare o sottovalutare le esigenze di cura delle persone con disabilità – aggiunge -. Ma ridurre il tutto di una persona ai suoi problemi di salute, più o meno connessi alla sua menomazione, è per noi sbagliato”.

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VIOLENZA SULLE DONNE: IL 40% DELLE VITTIME SONO PERSONE CON DISABILITÀ

Fonte – www.disabili.com / www.superando.it – Le cronache quotidiane ci restituiscono tristemente, con frequenza allarmante, notizie di violenze ai danni delle donne. E cosa succede se la vittima è anche un soggetto fragile, un soggetto con disabilità? Su questo ci fermiamo a pensare oggi, che si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

IL 40% DELLE DONNE CON DISABILITÀ ABUSATE – Se la pancia e la percezione quotidiana ci fanno dire che gli abusi sulle donne sono tanti, è leggere le cifre che lascia addirittura storditi: una conferma che non dà scampo sono quei 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, ovvero il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni. I dati sono quelli raccolti nella ricerca Istat La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia pubblicata nel 2014 (qui il pdf con tutti i risultati). Il numero, già sconvolgente, tocca quasi la quota scandalosa del 40% in caso di presenza di disabilità o problemi di salute. La ricerca riporta infatti che ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha limitazioni gravi. Le donne con disabilità o problemi di salute corrono inoltre il rischio doppio delle altre donne di essere vittime di stupri o tentati stupri (il 10% contro il 4,7%). E se l’abuso è sempre, sempre, sempre da condannare, l’abuso compiuto nei confronti di chi non può difendersi ed è più vulnerabile – sia fisicamente, sia mentalmente – è una ripugnanza che si deve rigettare con tutte le forze.

STRUMENTI CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE – Con l’obiettivo di dare vita a un quadro normativo condiviso a livello internazionale, l’11 maggio 2011 è stata adottata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, siglata da 36 Stati e ratificata da 14 (tra cui l’Italia, nel 2013). La Convenzione, con l’espressione “violenza nei confronti delle donne”, ha inteso indicare che si tratta di una “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata” (art. 3, lett. a), della Convenzione). Con questo obiettivo è stato realizzato il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere per il quale è stato presentato a inizio anno un “contributo” da parte dell’Anffas, che invitava a inserirne dei riferimenti rispetto alle donne con disabilità.

VIOLENZA E’ ANCHE DISCRIMINAZIONE – Ma la stessa discriminazione è una forma di violenza. Una tra le più subdole, ma che mina dall’interno il proprio diritto ad essere cittadino, ad essere donna, ad essere persona. E’ violenza la discriminazione lavorativa (qualcuno ha mai provato ad aggiungere alla difficoltà delle donne di trovare lavoro l’aggravante di essere anche una donna con disabilità?). E’ violenza la difficoltà di trovare strutture sanitarie attrezzate nelle quali donne con disabilità grave e non collaboranti possano ad esempio sottoporsi a visita in modo sereno. Qualunque tipo di violazione dei diritti e delle libertà fondamentali, lo ricordava la stessa convenzione, è violenza.

UNA RICERCA APERTA – Tanto è ancora da fare, ma le situazioni di attenzione e aiuto alle donne con disabilità esistono e vanno incoraggiate. Come l’Ambulatorio Il Fior di Loto che l’Associazione Verba ha avviato in collaborazione con i consultori familiari dell’ASL TO1 nell’ambito del Progetto Prisma – per le Relazioni d’Aiuto, il quale garantisce parità d’accesso alle prestazioni ginecologiche a tutte le donne con disabilità anche grave. Nella sua attività, l’Ambulatorio ha purtroppo rilevato come il fenomeno della violenza ai danni di questa tipologia di utenza sia sommerso ma ben presente, ed è per questo che è stato avviato, oltre all’ambulatorio, uno sportello di ascolto per la violenza ai danni di persone con disabilità. Per comprendere la portata del fenomeno a Torino, lo stesso Consultorio ha avviato una ricerca in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino – Facoltà di Psicologia. Chi fosse interessato (tanto donne quanto uomini) può compilare anonimamente il questionario qui. Inoltre gli intervistatori dell’Università si sono dichiarati disponibili a somministrare il questionario via email, presso il domicilio delle persone da intervistare o presso sedi altre comodamente raggiungibili dagli intervistati. La ricerca è condotta dal Dipartimento di Psicologia di Torino (Responsabile Scientifico, Professor Claudio Longobardi: claudio.longobardi@unito.it) in convenzione con l’Associazione Verba (Responsabile Scientifico, Dottoressa Laura Stoppa).

PARLARE DI VIOLENZA E DISABILITA’ – E rispetto a una disabilità specifica – la sordità – si discuterà di violenza sulle donne non udenti il prossimo 28 novembre a Siena, nel corso del convegno internazionale Donne Segnate, organizzato dalla onlus Mason Perkins Deafness Fund in collaborazione con Provincia di Siena e con il patrocinio di Consiglio Regionale Ens per la Toscana e Comune di Siena. Al centro del dibattito e dell’approfpondimento i servizi, le storie di vita vissuta, le battaglie politiche per i diritti delle donne sorde, ma anche il focus sulla lingua, quella dei Segni ma non solo, e come questa possa già di per sé suggerire la discriminazione, la disuguaglianza. Il convegno è ad ingresso libero; è previsto il servizio di interpretariato. Al sito www.mpdfonlus.com tutte le info.

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Sul tema della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le donne riportiamo un’articolo tratto da www.superando.it dal titolo “Donne con disabilità di fronte alla violenza” con l’intervista a Nadia Muscialini e Armando Cecatiello.

Cosa può fare una donna con disabilità che subisce violenza? E quali sono le specifiche tutele per le donne con disabilità vittime di abuso o violenza previste dalla normativa italiana?
Alla vigilia del 25 novembre, che è la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, lo abbiamo chiesto a Nadia Muscialini, dirigente psicologa del Servizio Sanitario Nazionale, psicoanalista che si occupa da più di vent’anni della salute e del benessere femminile, presidente dell’Associazione Soccorso Rosa di Milano e ad Armando Cecatiello, avvocato che vive e lavora a Milano e si occupa di diritto di famiglia e dei minori.
Sono loro gli autori di
Adesso basta! Istruzioni contro l’abuso (Boston Group, Seconda edizione, 2015), un libro che tratta il tema della violenza sulle donne in modo chiaro e analitico, fornendo preziose indicazioni operative a chiunque si trovi ad avere a che fare con essa. Un testo che, prendendo in esame alcune storie vere, infonde fiducia e mostra che uscire dalla violenza è possibile.

A chi si può rivolgere una donna con disabilità che subisce violenza?
«Una donna con disabilità deve sicuramente rivolgersi a chi ha competenze professionali in merito alla violenza, ma che sappia anche affrontare questa complessità unita alla complessità legata alla disabilità.
Un altro requisito fondamentale è che un operatore possa lavorare in équipe e che il team sia “accessibile” alla vittima. In tal senso, l’accessibilità dev’essere intesa in diverse maniere e non solo in senso fisico. Innanzitutto i professionisti coinvolti devono avere un elevato grado di flessibilità mentale, in modo che possano trovare soluzioni nuove e personalizzate e superare barriere che possono apparire insormontabili, qualora si pretenda di aderire in maniera rigida a protocolli predefiniti; in secondo luogo, devono prevedere alcune strategie da attivare nel caso si rilevi la presenza di qualche tipo di disabilità.
Laddove vi siano competenza professionale, disponibilità umana e flessibilità, allora è possibile aiutare concretamente persone con disabilità vittime di violenza».

In base alla vostra esperienza, ritenete che questi servizi siano facilmente attivabili/raggiungibili anche da persone con diverse disabilità (motoria, sensoriale, intellettiva)?
«I Centri Antiviolenza in genere non si occupano di donne con disabilità, e nei rari casi in cui lo fanno lamentano moltissime difficoltà, causate dal fatto che non sono stati pensati per accogliere persone con disabilità; quindi, di fatto, la maggior parte dei Centri Antiviolenza non sono accessibili né lo sono per quanto riguarda le competenze necessarie ad effettuare valutazioni specifiche, adottando strumenti ad hoc che siano in grado anche di inserire il problema della violenza nella storia di una persona con disabilità.
In molti casi sono le strutture stesse a dichiarare di non essere in grado di prendere in carico e di adattare i propri percorsi alle esigenze poste da una donna con qualche tipo di disabilità.
In realtà è anche vero che la riflessione circa la presa in carico di donne disabili vittime di violenza è recente e solo pochi Centri Antiviolenza se ne stanno occupando, ritenendo di avere già scarse risorse per seguire adeguatamente vittime che non hanno situazioni sanitarie complesse.
Anche il personale dei servizi per persone con disabilità lamenta di non essere adeguatamente preparato a gestire una situazione in cui vi siano situazioni di maltrattamenti domestici.
Personalmente e come professionisti riteniamo però che sia possibile rendere accessibili e fruibili diversi tipi di servizi a persone che hanno una situazione di complessità che si somma a un’altra complessità».

Quali sono i compiti dei diversi soggetti coinvolti nel percorso di soccorso alle donne vittime di violenza? Tra questi soggetti, ve ne sono di specificamente preposti/formati per occuparsi dei casi di violenza ai danni delle donne con disabilità?
«
I compiti degli esperti di violenza sono quelli di identificare, certificare, proteggere e assistere una vittima rispetto alla sua incolumità e benessere. Inoltre, devono essere in grado di mettere in comunicazione coloro che aiutano la donna rispetto alla sua problematica di disabilità, istituzioni e servizi prima di tutto.
Noi possiamo parlare solo della nostra esperienza, ma ci sembra che siano pochissimi i professionisti e i servizi in grado di occuparsi di questo tipo di utenza».

Quali sono, in sintesi, e in base alla Legge, le misure che possono essere attivate a tutela delle vittime di abuso o violenza?
«Nel nostro paese esistono leggi efficaci a tutela delle donne vittime di violenza. Abbiamo gli ordini di protezione che possono essere emessi sia dall’autorità civile che da quella penale. Si tratta di provvedimenti posti a tutela della donna, che creano come una “bolla di protezione” nei confronti dell’abusante. Abbiamo l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento alla casa, al posto di lavoro o ai cosiddetti centri di interesse, quali le scuole dei figli. Abbiamo ottenuto persino divieti ad avvicinarsi al supermercato dove la donna usa fare la spesa.

Con gli stessi ordini si può ottenere, da subito, anche un assegno a carico dell’abusante per il mantenimento della donna e dei figli. Dobbiamo ricordare che spesso alla violenza fisica e psicologica si aggiunge quella economica. Sì, molto spesso, gli uomini smettono di provvedere o non provvedono adeguatamente ai bisogni della donna e dei figli anche come forma di ritorsione alla denuncia. Avere un provvedimento, in via d’urgenza, che tuteli anche dal punto di vista patrimoniale la vittima è una risorsa enorme per gli avvocati».

Quali sono, invece, le disposizioni specificamente previste dal nostro ordinamento giuridico a tutela delle donne con disabilità vittime di abuso o violenza?
«In molti invocano la necessità che il Legislatore stabilisca una serie di aggravanti per gli autori dei reati a danno di persone con disabilità, come nel caso della violenza sessuale, dove l’articolo 609 bis del Codice Penale già prevede espressamente un’aggravante specifica.
Al momento l’esistenza di una disabilità in capo alla vittima può essere considerata un’aggravante generica ai sensi dell’articolo 61 del Codice Penale [segnaliamo inoltre che un’aggravante penale specifica è prevista anche dallarticolo 612 bis del Codice Penale per gli autori di atti persecutori ai danni di una persona con disabilità, individuata ai sensi all’articolo 3 della Legge 104/92, N.d.R.]».

Alla donna che subisce violenza è richiesto di esibire al giudice le prove della violenza subita. Potete fare qualche esempio di prova valida ai fini di un procedimento penale?
«Nel caso di soggetti con fragilità, sia la parte inerente la denuncia o segnalazione all’autorità giudiziaria, sia l’esibizione di prove può essere fatta da terzi, soprattutto quando rivestono un incarico come pubblico ufficiale. Medici, psicologi del Servizio Sanitario Nazionale, insegnanti, assistenti sociali che vengono a sapere delle violenze sono tenuti a darne notizie all’autorità giudiziaria.
Bisogna considerare che le donne – comprese quelle con qualche forma di disabilità – se adeguatamente edotte e informate, possono raccogliere e documentare loro stesse le violenze subite. Ricordiamo che l’immediato accesso al Pronto Soccorso di un ospedale è la migliore strategia per la donna vittima di violenza. In ospedale i sanitari sono istruiti su come raccogliere le prove e come documentare gli esiti di un evento traumatico anche di tipo psicologico».

Se pensate all’intero percorso di soccorso alle donne (anche con disabilità) vittime di violenza, ritenete che esso sia sempre adeguato alle diverse situazioni che si possono verificare, o avete riscontrato qualche malfunzionamento o lacuna? Eventualmente, quali?
«Le lacune maggiori sono quelle di comunicazione tra diversi servizi che hanno in carico la donna. Ad esempio servizi sociali, strutture sanitarie, avvocati, tribunali. In realtà sono tutti problemi superabili grazie a un atteggiamento mentale aperto e flessibile e alla buona volontà nel cercare le strade comunicative più funzionali possibili».

Tutte le domande precedenti ipotizzano che la vittima di violenza sia una donna poiché, da un punto di vista statistico, sono proprio le donne i soggetti maggiormente esposti alla violenza, e le donne con disabilità ancor più delle altre. Ma cambia qualcosa nel percorso di soccorso se la vittima di violenza è un uomo (anche con disabilità)?
«Esistono casi in cui anche gli uomini sono vittime di violenza. Spesso le vittime vengono ad essere proprio soggetti con una qualche disabilità, considerati dagli aggressori più deboli e vulnerabili. La legge non fa distinzioni di sorta e le vittime vengono ugualmente tutelate. Spesso il problema riguarda la vergogna, troppo spesso insuperabile, degli uomini a denunciare gli abusi e soprattutto quelli di carattere sessuale».

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LICENZIAMENTI PER DISABILITÀ O PER COLPA DELLA CRISI?

Fonte www.superando.it – Merita senz’altro la massima attenzione e rapide verifiche una notizia di una decina di giorni fa, apparsa purtroppo quasi esclusivamente sulle testate locali bresciane, riguardante la denuncia dell’organizzazione sindacale FIOM, secondo la quale l’azienda Rothe Erde – Metallurgica Rossi, produttrice di cuscinetti volventi e componente del noto Gruppo ThyssenKrupp, con stabilimento a Visano (Brescia), avrebbe licenziato ben cinque dei propri otto dipendenti con disabilità proprio a causa della stessa disabilità.

«Siamo molto preoccupati – ha dichiarato alla testata “Bresciatoday” Nafouti Chafik della FIOM – per l’accanimento mostrato dall’azienda nei confronti del personale disabile. Siamo di fronte a un caso di licenziamenti illegittimi e di discriminazione. Già nel 2013 i lavoratori assunti in collocazione protetta [come da Legge 68/99, N.d.R.] erano in numero inferiore rispetto a quanto stabilito dalla legge, avrebbero dovuto essere 9 e non 8. In quell’occasione la ditta aveva sentenziato che costava meno pagare la penale, piuttosto che pagare un lavoratore con disabilità.

Ad aprile di quest’anno, quando ci siamo seduti al tavolo per firmare il contratto di solidarietà, i vertici dell’azienda hanno dichiarato ufficialmente che non volevano avere persone con problemi fisici perché non si occupano di assistenza sociale. Chi è rimasto a casa aveva una disabilità superiore al 50%, ma è sempre riuscito a svolgere le mansioni assegnate».

Completamente diversa la versione della vicenda fornita dai responsabili dell’azienda, secondo i quali i licenziamenti si dovrebbero alla crisi e al processo di riorganizzazione aziendale messo in atto per tentare di salvare il sito produttivo. «Non si tratta di accanimento nei confronti dei disabili – dichiara infatti Alberto Guizzetti, responsabile amministrativo e finanziario di Rothe Erde – Metallurgica Rossi – ma del fatto che per salvare l’azienda abbiamo dovuto esternalizzare alcuni servizi e sopprimere alcune attività, come quella di portineria e di pulizia e il magazzino. Nella maggior parte dei casi il personale disabile era occupato in tali mansioni». Guizzetti precisa inoltre che «due dei dipendenti con problemi fisici sono andati in pensione e con gli altri due abbiamo trovato degli accordi per la ricollocazione all’esterno. Solo nell’ultimo caso non siamo riusciti a trovare un accordo. Non abbiamo nessuna preclusione nei confronti dei lavoratori con disabilità, ma non possiamo inventarci delle mansioni ad hoc per loro».

Sicuro, dottor Guizzetti? Torna in mente a tal proposito l’articolo 2, quello sul Collocamento mirato della citata Legge 68/99, che recita: «Per collocamento mirato delle persone con disabilità si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione».

Chissà, forse non c’è stretta attinenza, eppure… Per il momento registriamo comunque che sulla questione – in ogni caso inquietante – la FIOM ha anche indetto una giornata di sciopero l’8 ottobre scorso.

Si ringrazia Arianna Colonello per la segnalazione.