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DIRITTI UMANI, CONVENZIONE E MOVIMENTO ITALIANO SULLA DISABILITÀ

Superando.it – Agli inizi di settembre di quest’anno il Comitato ONU delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’organismo che ha il compito di vigilare sull’applicazione della Convenzione ONU nei vari Paesi che l’hanno ratificata, ha formulato le sue Osservazioni Conclusive nei confronti del nostro Paese.

Quando l’Italia ha ratificato la Convenzione – così come tutte le altre Convenzioni sui Diritti Umani dell’ONU – si è impegnata volontariamente a rispettarne i princìpi e le norme e ad incrementarne l’applicazione con legislazioni e politiche coerenti. Le Osservazioni Conclusive del Comitato ONU sono perciò richieste che impegnano il Paese a cui si rivolgono ad applicarle, per riferire in un successivo rapporto i progressi raggiunti rispetto all’implementazione della Convenzione.
Analizzando le esperienze di altre Osservazioni Conclusive – rispetto ai rapporti presentati dagli Stati che hanno ratificato la Convenzione – si evince che tali Osservazioni rappresentano veri e propri “Programmi d’Azione”. Infatti, vengono analizzati articolo per articolo i progressi realizzati e indicati percorsi di tutela dei diritti umani delle persone con disabilità. Basti vedere quale impegno stia mettendo l’Unione Europea – il cui rapporto è stato esaminato lo scorso anno – nell’implementazione di sua competenza. Per l’Italia, poi, quelle Osservazioni si intrecciano con il prossimo Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità (il secondo), che è in corso di discussione e approvazione da parte del Governo.

Un primo dato da cui partire è che nella recente Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità di Firenze, il bilancio riguardante il primo Programma di Azione Biennale (DPR del 4 ottobre 2013) è stato decisamente magro: dei circa 170 punti da sviluppare nel programma governativo, infatti, solo una decina sono stati realizzati e quasi tutti nell’àmbito della Cooperazione Internazionale (Linea di Intervento n. 7).
I temi indicati dal Comitato ONU fanno propri in maniera importante molti obiettivi del movimento italiano delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Vediamo da vicino i più significativi, rimandando il testo completo dei legami con il Programma Biennale a un documento che è circolato proprio durante la Conferenza di Firenze e di cui chi scrive è stato l’estensore.

Il Comitato ONU, dunque, ha la facoltà di indicare, per alcune azioni, l’immediato intervento (Immediatly Adopt), ovvero iniziative da attuare presumibilmente non oltre dodici mesi: si tratta, nello specifico, della richiesta di definire «il concetto di accomodamento ragionevole, in linea con la Convenzione, quando vi siano discriminazioni basate sulla disabilità, in ogni settore della vita pubblica e privata». In altre parole, mettere immediatamente in atto una soluzione pratica per superare ogni discriminazione di questo tipo.
Ricordo a tal proposito che il Decreto Legislativo 151/15 (Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183) indicava in sei mesiil tempo utile a elaborare la sua definizione, solo nell’àmbito del lavoro: quel tempo è largamente passato e ancora non si batte un colpo, mentre la richiesta di costituire una commissione con la presenza forte delle Associazioni consentirebbe di accelerare i tempi.
L’accomodamento ragionevole permette di ottenere, in ambito di egualizzazione delle opportunità, regole certe che da un lato rimuovano barriere, ostacoli e discriminazioni, evitando che la condizione di discriminazione si ripeta e assegnando un congruo risarcimento alla persone discriminata.

Un secondo tema immediato impone di procedere alla raccolta di dati che assicurino «l’individuazione, l’intervento e la tutela di tutti i bimbi con disabilità, in particolare per quelli da zero a 5 anni», annosa questione che riguarda la diagnosi precoce, la presa in carico dei servizi, l’assegnazione di sostegni appropriati, la formazione dei genitori. E ancora, immediata è la richiesta di un serio monitoraggio sull’istituzionalizzazione, ovvero «sugli istituti psichiatrici o altre strutture residenziali per persone con disabilità, in particolare di quelle con disabilità intellettive e/o psicosociali». Tema urgente, che ha visto nell’ultimo anno un incremento di denunce per maltrattamenti, violenze e trattamenti inumani e degradanti che la soluzione istituzionalizzante permette.
Da anni chiediamo che l’istituzionalizzazione termini (e alcune Regioni, invece, tentano di incrementarla…). Quale strumento migliore, dunque, per chiedere di essere coinvolti nel monitoraggio e promuovere politiche di inclusione sociale?
Infine, la costituzione e l’implementazione di un «meccanismo indipendente di monitoraggio, adeguatamente finanziato per il suo funzionamento, con il pieno coinvolgimento, nei suoi lavori, delle organizzazioni di persone con disabilità». L’Italia è l’unico Paese ricco che non ha una Commissione Nazionale Indipendente sui Diritti Umani, che consentirebbe di arrivare in tempi rapidi a un giudizio sulla violazione di diritti umani, bypassando i costosi e lenti Tribunali italiani.

Già solo questi quattro punti, dunque, rappresenterebbero un vasto programma di obiettivi che potrebbero mobilitare le energie del movimento. Si dirà: ma le risorse necessarie a intervenire per sostenere i nostri diritti? Questi sono obiettivi del movimento! Ebbene, il Comitato ONU ha indicato all’Italia varie soluzioni, leggiamone alcune. Si raccomanda ad esempio al Punto 52 di «assegnare omogeneamente in tutte le regioni specifiche risorse finanziarie, sociali o di altra natura per garantire a tutte le famiglie che hanno al loro interno un componente con disabilità, compresi i familiari con elevate necessità di sostegno, l’accesso a tutto il supporto di cui hanno bisogno oltre le esenzioni fiscali […], al fine di garantire il diritto al domicilio e alla famiglia, come pure all’inclusione e alla partecipazione nelle comunità di appartenenza e di prevenire il ricorso all’istituzionalizzazione». Al Punto 66 di «velocizzare l’adozione, il finanziamento e l’attuazione dei Livelli essenziali di Assistenza sanitaria (LEA) che consentano ai bambini l’accesso all’identificazione e all’intervento precoci secondo le loro esigenze». Al Punto 18 che «le politiche volte ad affrontare la povertà infantile includano specificatamente i minori con disabilità attraverso le loro organizzazioni rappresentative e che il monitoraggio della loro attuazione e dei livelli di povertà tra i minori con disabilità avvenga in stretta consultazione con i minori e le loro famiglie che vivono in povertà». Al Punto 48, infine, il Comitato raccomanda: « a) di porre in atto garanzie del mantenimento del diritto ad una vita autonoma indipendente attraverso tutte le regioni; e, b) di reindirizzare le risorse dall’istituzionalizzazione a servizi radicati nella comunità e di aumentare il sostegno economico per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente su tutto il territorio nazionale ed avere pari accesso a tutti i servizi, compresa l’assistenza personale».

Altri importanti e ulteriori elementi che possono rafforzare la capacità di azione del movimento italiano della disabilità sono i riferimenti che il Comitato ONU fa rispetto ai Sustainable Development Goals (SDGs, “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”) che il 25 settembre 2015 le Nazioni Unite hanno definito per una strategia di sviluppo che coinvolga i Paesi dell’ONU a costruire politiche di sviluppo inclusive, sostenibili ed eque. In quegli Obiettivi – come rilevato a suo tempo su queste stesse pagine – vi sono vari riferimenti alle persone con disabilità, riportati nelle Osservazioni Conclusive del Comitato ONU. L’Italia dovrebbe quindi realizzarle nelle politiche interne e in quelle di cooperazione internazionale. Ma quante Associazioni italiane sono a conoscenza di questo nuovo strumento di azione sulle politiche di sostegno alla partecipazione delle persone con disabilità e al godimento dei benefìci dello sviluppo economico e sociale?

Quelli su cui ci siamo soffermati sono solo alcuni tra gli esempi inseriti nelle Osservazioni Conclusive dell’ONU che rappresentano tanti obiettivi che da anni il movimento delle persone con disabilità e delle loro famiglie rivendica e che non deve farsi sfuggire (ma ve ne sono tanti altri, qui non approfonditi, anch’essi legati a rivendicazioni decennali di organizzazioni come la FISH -Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e la FAND -Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità).

La posizione di chi dice che queste Osservazioni non sono impegnative per il Governo dimentica che il più alto impegno internazionale è proprio l’impegno sui diritti umani, che tutti gli Stati (e anche l’Italia) si sono impegnati a rispettare entrando nelle Nazioni Unite, perché contenuto nello Statuto stesso dell’ONU. Piuttosto va forse sottolineato che è proprio l’applicazione dei diritti umani alle persone con disabilità a non essere stata compresa dal Governo Italiano e oggi, anziché rivendicare ancora un welfare di protezione sociale, che vede tagliati i fondi a noi assegnati durante i periodi di crisi, andrebbe realizzato un welfare di inclusione sociale, che monitorasse il livello di partecipazione sociale rispetto agli altri cittadini, controllando il livello conseguito nei vari àmbiti (ad esempio nei trasporti, nel lavoro, nell’educazione, nell’accessibilità urbana ecc.). In tal senso è importante che tutto il movimento italiano delle persone con disabilità e delle loro famiglie si interroghi su come utilizzare i nuovi strumenti di pressione internazionale, che vengono da un lato dalle Nazioni Unite, ma anche ciò che viene dall’applicazione della Convenzione da parte dell’Unione Europea: in Europa, infatti, è in discussione una Direttiva sull’Accessibilità e una revisione della Strategia Europea sulla Disabilità.

È diventato quanto mai importante essere informati e formati su quello che avviene a livello europeo e internazionale, dove la voce delle persone con disabilità (in Europa l’EDF-European Disability Forum, a livello internazionale l’IDA-International Disability Alliance) produce ottime esperienze di applicazione della Convenzione, riflessioni importanti nel campo della tutela dei diritti umani, significativi esempi di monitoraggio delle politiche sulla disabilità.
Il movimento italiano – che spesso ignora questi nuovi standard di politiche internazionali che i Governi si sono impegnati a rispettare – dovrebbe dedicare approfondimenti specifici su questi temi, per rafforzare la nostra capacità di partecipazione e interlocuzione sulle politiche e le decisioni che ci riguardano.

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INVESTIRE SULLA NEUROPSICHIATRIA DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA

Superando.it – «Infanzia e adolescenza sono momenti cruciali per la costruzione di una buona salute del corpo e della mente, che caratterizzerà poi tutta la vita dell’individuo, oggi sempre più lunga. Molte sono le patologie neuropsichiche che, in un bambino/ragazzo su 5, possono compromettere questo processo: disabilità intellettive, paralisi cerebrali, disturbi della coordinazione motoria, disturbi specifici del linguaggio e dell’apprendimento, disturbi dello spettro autistico, epilessie, sindromi genetiche rare, malattie neuromuscolari e neurodegenerative, encefalopatie acquisite, tumori cerebrali, disabilità complesse, disturbo da deficit di attenzione con iperattività, disturbi della condotta, disturbi del comportamento alimentare, psicosi, disturbi bipolari, depressione e molti altri. Le patologie psichiatriche, neurologiche e l’abuso di sostanze rappresentano una percentuale maggiore persino rispetto alle malattie cardiovascolari, e più del 50% dei disturbi neuropsichici dell’adulto ha un esordio in età evolutiva o è comunque dovuto a eventi morbosi insorti anche molti anni prima della manifestazione del disturbo conclamato. Interventi tempestivi e appropriatipossono cambiare la storia naturale della malattia, prevenire le sequele, evitare la cronicizzazione e diminuire in modo rilevante i costi emotivi, sociali ed economici».
Si apre così l’appello lanciato nei giorni scorsi ad Alghero (Sassari) dal XXVII Congresso Nazionale della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza), per «denunciare lo stato di sempre maggiore criticità delle risposte per gli utenti con disturbi neuropsichici dell’infanzia e dell’adolescenza e per le loro famiglie».

Di fronte infatti alla constatazione dell’importanza di tale àmbito, la SINPIA segnala«l’ormai storica assenza di investimenti in un settore fondamentale per la salute della popolazione; l’aumento delle disuguaglianze intra e inter-regionali e la conseguente non equità di risposte per i bambini e i ragazzi e per le loro famiglie, legati alle politiche di spending review che permeano tutti gli atti normativi e l’attuale riassetto istituzionale operato da molte Regioni; l’insufficiente stanziamento di risorse da parte delle Regioni, che determina in molti servizi rilevanti difficoltà ad intercettare i reali bisogni e a garantire le risposte previste dai LEA [Livelli Essenziali di Assistenza, N.d.R.] appena ridefiniti; la perdurante mancanza di indicazioni su come poter tradurre nella pratica gli interventi che dovrebbero essere inclusi nei LEA stessi; la necessità di indirizzare le risorse in senso organizzativo con precisi atti normativi regionali, che affrontino il tema dell’organizzazione dei servizi pubblici di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza e di come derogare ai vincoli di spesa per assumere il personale mancante e garantire la formazione permanentenecessaria a erogare interventi basati sulle evidenze».

Per tutto questo, quindi, la SINPIA chiede «una ridistribuzione della spesa sanitaria che, evitando gli sprechi che esistono in altri settori, riesca a colmare i vuoti enormiche esistono in questo àmbito e garantisca finalmente risposte appropriate, eque e tempestive per i bambini e gli adolescenti con disturbi neuropsichici, per garantire non solo la loro salute e quella delle loro famiglie, oggi e soprattutto in proiezione per il loro futuro, ma il benessere di tutta la società».
Più nello specifico, ci si rivolge «Al Ministero della Salute e alle Regioni», affinché garantiscano, «attraverso adeguati investimenti di risorse e la condivisione di modelli organizzativi, la presenza omogenea in tutto il territorio nazionale di un sistema integrato di servizi di Neuropsichiatria Infantile, sia in termini di professionalità che di strutture, territoriali ed ospedaliere, in grado di operare in coerente sinergia con pediatri, pedagogisti clinici, psicologi consultoriali e altre figure professionali riconosciute, così da garantire i necessari interventi non farmacologici e/o farmacologici ed un approccio il più possibile multidisciplinare ai disturbi neuropsichici dell’infanzia e dell’adolescenza, riferendo annualmente l’esito dell’azione alla Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, alla Commissione Igiene e Sanità del Senato e alla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni». «Al Ministero della Salute, alla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, all’Istituto Superiore di Sanità e ai Servizi di Neuropsichiatria», per far sì che strutturino «un adeguato sistema di monitoraggio della salute neuropsichica dei bambini e degli adolescenti, dello stato dei servizi ad essa dedicati e dei percorsi diagnostici e assistenziali dei disturbi neuropsichici nell’età evolutiva, riferendo annualmente l’esito dell’azione alla Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, alla Commissione Igiene e Sanità del Senato e alla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni».

All’appello/denuncia lanciato dalla SINPIA possono aderire, accedendo al sito della stessa, operatori, associazioni e chiunque altro ne condivida i contenuti.

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GENITORI, DITE NO A QUELLE TELECAMERE CHE CI ANESTETIZZERANNO

Vita.it – Una «follia»: così Daniele Novara, pedagogista e fondatore e direttore del  CPP-Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, commenta l’approvazione da parte della Camera di una legge che consente –  è una possibilità, non un obbligo – l’installazione di telecamere di sorveglianza nei nidi e nelle scuole materne, per registrare gli eventuali abusi degli insegnanti sui bambini (il testo ora passa al Senato). È vero che le immagini potranno essere visionate solo dal pubblico ministero e, su sua delega, dalla polizia giudiziaria, nell’ambito di indagini su reati in danno dei minori o delle persone ospitate nelle strutture ed è vero anche che la legge prevede che il Governo adotti entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge un decreto legislativo per fare una valutazione attitudinale nell’accesso alla professioni educative e di cura, nonché di formazione iniziale e permanente del personale delle strutture». E tuttavia la «follia» resta, anzi, Novara parla di «terrorismo» e spiega che è «inquietante la logica che sta sotto questa incredibile iniziativa politica, dove le forze di Polizia si sostituiscono all’educazione e dove la paura si sostituisce alla formazione professionale degli insegnanti».

Perché i genitori non dovrebbero essere felici di questa norma e rassicurati dalla presenza delle telecamere?
Non c’è niente di rassicurante in questo, proprio niente. Se un luogo pubblico è pieno di telecamere significa che quello è un luogo pericoloso, dove può succedere qualcosa. Ecco, la scuola cessa di essere un luogo educativo, da oggi la scuola è un luogo pericoloso. Non ci trovo niente di rassicurante, vedo solo una politica che va verso il poliziesco, questa è l’anticamera di un regime poliziesco che vuole controllare i cittadini fin dalla nascita con l’alibi – perché sia chiaro, questo è solo un alibi – che forse, eventualmente, potrebbero subire dei reati.

Però i reati effettivamente ci sono e pure frequenti…
Gli psicopatici ci sono. Bisogna evitare che le persone che non sono in grado di fare questi mestieri li facciano. I maltrattamenti sui bambini si evitano a monte, selezionando le persone giuste da mandare in classe, non con le telecamere: così creiamo solo terrorismo. Peraltro abusi e maltrattamenti capitano in tutto il mondo, ma noi siamo il primo Paese al mondo a pensare di risolverlo con le telecamere: o siamo i più furbi o siamo i più cretini. Per di più io non ho mai visto fare una legge su un settore specifico senza consultare nessun operatore del settore. Siamo tutti contrari, ci sarà motivo…

Cosa dire quindi ai genitori?
Innanzitutto di non gioire per questa legge, perché la telecamera non dà qualità educativa. I bambini sono sicurissimi se hanno buona scuola, se hanno educatori preparati e selezionati bene, non se hanno decine di telecamere dentro la scuola. L’educazione è basata su un patto fiduciario, tutti noi affidiamo i nostri figli agli educatori e non c’è telecamere che può sopperire a un patto fiduciario incrinato.

Evidentemente però questo patto fiduciario si è incrinato…
Ma è da lì che dobbiamo ripartire, le telecamere sono una scorciatoia, peraltro bruttissima. I casi di vessazione sui bambini si prevengono con un’adeguata e rigorosa selezione del personale e una continua e sistematica formazione degli insegnanti stessi, per aggiornare e migliorare le loro competenze professionali, non c’è un’altra strada. La seconda cosa è che già oggi pomeriggio scriverò una petizione per fermare questa legge, firmatela. Insomma, per i vostri figli chiedete una buon educazione, una scuola di qualità, non delle telecamere.

Ma lei che rischio vede, oltre a quello di scenario?
Le telecamere alle scuole non le regalerà nessuno, costano. Questa legge produrrà un business enorme che peserà sulle già scarsissime risorse pubbliche a favore dell’educazione dei più piccoli, questo è un primo tema. Il secondo è che finirmo per accettare situazioni allucinanti perché “tanto ci sono le telecamere”. Ci tranquillizzeremo tutti, non chiederemo più nulla, non ci informeremo più, perché tanto ci pensano già le telecamere. Sul piano della qualità educativa le telecamere diventeranno un alibi per non fare nulla. Mi dica lei cosa c’è da festeggiare.

 Per approfondire leggi anche la news intitolata Sicurezza negli asili e negli istituti per anziani e disabili: un passo verso il cambiamento”  su Vita.it

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SERVONO PIÙ SOLDI ORA, CONTRO LA POVERTÀ E L’ESCLUSIONE SOCIALE

Superando.it – «La povertà in Italia non accenna a fermarsi ed anzi continua a colpire in particolare giovani e minori del nostro Paese». Si apre così una nota dell’Alleanza contro la Povertàrealtà composta da varie e note organizzazioni di rilevanza nazionale, appartenenti al mondo delle Istituzioni, dei Sindacati e del Terzo Settore, tra i cui soggetti fondatori vi è anche il Forum Nazionale del Terzo Settore, al quale aderisce la FISH*(Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Tale organismo, lo ricordiamo, si batte già da tempo per il Reddito di Inclusione Sociale (REIS), vero e proprio “cavallo di battaglia” delle proprie azioni.

A tal proposito, l’Alleanza ribadisce ancora una volta che proprio «l’introduzione del Reddito di Inclusione, previsto dalla Legge Delega sulla Povertà,  in discussione al Senato, rappresenterebbe un’importante innovazione strutturale per il nostro Paese, specie per quanto riguarda i servizi di presa in carico dei beneficiari e delle attività di inclusione sociale e lavorativa». «Si tratta però – prosegue la nota – di un’innovazione che necessita di risorse certe e graduali, sino a coprire entro un tempo definito e attraverso un Piano Pluriennale, l’universo delle persone in povertà assoluta».

Rispetto a questo, dunque, l’Alleanza ricorda che «il Governo, nella presentazione della Legge di Bilancio 2017-19, ha previsto un aumento del Fondo contro la Povertà di 500 milioni di euro a partire dal 2018, mentre le dichiarazioni delle settimane scorse, da parte di esponenti dell’Esecutivo, avevano lasciato prefigurare un incremento di 500 milioni già a partire dal 2017». «Data quindi l’urgenza della situazione – si dichiara – riteniamo che un netto segnale vada dato ora, anche attraverso il potenziamento dei servizi territoriali, e chiediamo che sin dal prossimo anno, nella Legge di Bilancio, siano incrementate le risorse del Fondo per la Lotta alla Povertà e all’Esclusione Sociale affinché si possano destinare le necessarie risorse a graduale incremento del Reddito di Inclusione».

Ricordiamo in conclusione che dei dati sulla povertà nel nostro Paese, così come erano stati resi pubblici nell’estate scorsa dall’ISTAT con un’attenzione particolare ai minori, ricordando in tale occasione che la disabilità è uno dei primi determinanti della povertà, dell’impoverimento e dell’esclusione sociale, e che i minori con disabilità sono “i più vulnerabili tra i vulnerabili”.

* a cui Anffas Onlus aderisce

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BENE LE SCUSE, MA MAI PIÙ PAROLE COSÌ DA UN FUNZIONARIO DI POLIZIA

Superando.it – «Pentito è troppo poco. Ho ripensato a quante volte io e i miei colleghi abbiamo incontrato e sostenuto persone con disabilità e conosco anche i sacrifici dei loro familiari. So che sono stati ingiustamente colpiti dalle mie parole. Da poliziotto e da uomo, chiedo scusa, sono pronto ad accettare una punizione per il mio comportamento e mi auguro solo di avere un’occasione per riscattarmi».
Sono le parole pronunciate in un’intervista al quotidiano “Il Messaggero”, da parte del vicequestore aggiunto della Polizia di Avellino Elio Iannuzzi, protagonista nei giorni scorsi della vicenda denunciata anche dal nostro giornale,  che lo aveva visto apostrofare un giornalista della trasmissione televisiva Striscia la Notizia 
con l’espressione “’sto mongoloide”!, suscitando le dure prese di posizione di Associazioni come l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down).
«Ammetto di avere sbagliato – aggiunge Iannuzzi -, sono un servitore dello Stato e un uomo: chiedo pubblicamente scusa a Luca Abete [il giornalista del programma “Striscia la Notizia”, N.d.R.] e mi assumo le mie responsabilità, consapevole delle sanzioni che seguiranno a quanto accaduto. Non desidero, inoltre, che le mie scuse possano essere interpretate come un tentativo di giustificazione».

Per quanto ci riguarda, dunque, i toni e i contenuti di quanto dichiarato dal vicequestore Iannuzzi ci sembra possano portare a chiudere, almeno dal punto di vista giornalistico, il triste episodio. Chiaramente con l’auspicio che tutto ciò non debba mai ripetersi e anche allineandoci a quanto sottolineato da Paolo Virgilio Grillo, presidente dell’AIPD, ovvero «confidando che le forze di Polizia facciano proprio anche l’impegno di un rinnovamento culturale dei loro funzionari, perché è anche attraverso di loro che si fa educazione».

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BULLISMO, QUANDO LE VITTIME SONO I RAGAZZI CON AUTISMO. “ECCO COSA SI DEVE FARE”

SuperAbile.it – Circa la metà (46%) dei ragazzi con autismo sono vittime di bullismo, una percentuale che cresce in modo esponenziale per i ragazzi con Asperger, che nel 94% dei casi vengono semplicemente “presi in giro” dai compagni per i loro comportamenti insoliti, ma nel 70% subiscono violenze fisiche. Un problema sistemico, per combattere il quale non è sufficiente intervenire sul bullo o sull’atto singolo e che richiede in genitori, insegnanti e persone che hanno a che fare con essi, la capacità di riconoscere i segnali (spesso non evidenti) che indicano la presenza di atti di bullismo. Di questo problema la redazione di SuperAbile, il portale di informazione e di documentazione sulle tematiche della disabilità, ne ha parlato con Davide Moscone, presidente dell’associazione Spazio Asperger onlus, che nei giorni scorsi è stato tra i relatori del convegno “Autismi 2016Risposte per il presente, sfide per il futuro“, organizzato da Centro Studi Erikson a Rimini il 14 e il 15 ottobre scorsi. Un appuntamento che partendo dalle novità emerse dalle più recenti ricerche scientifiche in ambito clinico e psicoeducativo, ha proposto in due sessioni plenarie e numerosi workshop tematici di approfondimento momenti di sensibilizzazione, confronto e formazione specialistica. I dati che Moscone ci riferisce provengono da due studi americani: “Bullying involvement and autism spectrum disorders” e “Mother’s perceptions of peer and sibling victimization among children quth Asperger’s syndrome and nonverbal learning disorders“.

Davide Moscone, che rapporto “numerico” c’è a livello nazionale e internazionale fra bullismo e autismo?
Secondo quando emerso da alcuni recenti studi americani, circa la metà dei ragazzi nello Spettro Autistico sono vittime di bullismo. In Italia non abbiamo studi spefici su questo tema.

E’ un fenomeno in aumento?
Sembra strano dirlo ma in realtà sembra che il fenomeno sia in diminuzione, anche se rimane pur sempre un’emergenza, soprattutto con l’avvento del cyberbullismo. Quello che viene bloccato “dentro la scuola” non tende a scomparire ma ad essere portato fuori le mura, sui social network.

Quali forme di autismo sono più soggette a questo fenomeno?
Il bullismo colpisce tutte le forme di autismo, ma il bullismo verso le forme lievi è più frequente. Non esistono studi comparativi ma sappiamo che circa la metà delle persone nello Spettro sono vittima di bullismo, ma restringendoci ai soli Asperger e alla semplice “presa in giro”, arriviamo al 94%. Esistono due motivi principali per questo: il primo è che le difficoltà della persona con Autismo lieve (Asperger) sono meno visibili e quindi difficilmente le eventuali raccomandazioni di prestare attenzione alle persone disabili o magari fenomeni come la compassione, tendono ad entrare in gioco. In seconda battuta, gli Asperger possono avere comportamenti non solo eccentrici ma ad esempio “moralistici”, come riprendere i compagni che vanno contro il regolamento scolastico, ma senza far attenzione a non farsi vedere; possono cercare di socializzare intromettendosi e monopolizzando i discorsi, e più in generale possono andare contro tutta una serie di norme sociali non scritte che fanno dire ai bulli “se lo merita”.

Quale fascia d’età è maggiormente colpita?
Il bullismo esiste anche nell’ultimo anno di materna e negli adulti si trasforma in mobbing. L’80% dell’esclusione sociale e dei fenomeni più estremi avviene tuttavia a partire dalla preadolescenza. Il periodo della scuola media è particolarmente importante in quanto la crescita fisica e le emozioni turbolente di questa fascia d’età non sono accompagnate da un ugualmente rapido sviluppo delle capacità di autocontrollo e di “saggezza sociale”.

Quali sono gli atti di bullismo che più frequentemente vengono commessi ai danni dei ragazzi con autismo?
Frequentemente capita che ci si approfitti delle persone autistiche a causa della loro ingenuità e delle difficoltà nella regolazione emotiva. Quindi frequentemente vengono “provocati fino ad essere fatti esplodere” per metterli nei guai, o vengono umiliati (spogliati in classe, mandati a dichiararsi ad una ragazza, o gli viene fatto commettere qualcosa di illegale) facendo leva sulla loro difficoltà nel capire le situazioni sociali.

Quali i luoghi in cui più frequentemente il fenomeno si manifesta?
Solitamente si manifesta a scuola, ma purtroppo è sempre più frequente che avvenga nei social network come Facebook o su YouTube. Purtroppo questo è molto grave perché molti ragazzi (senza disabilità intellettiva) percepiscono questa umiliazione pubblica in modo molto forte e c’è un forte rischio di atti autolesionistici, fino anche ad arrivare al suicidio.

Di cosa ci sarebbe bisogno e cosa possono fare le famiglie, le associazioni e gli operatori/responsabili delle strutture (educative o socio-ricreative) per prevenire e contrastare il fenomeno?
Il bullismo è un problema sistemico. Non è sufficiente intervenire sul bullo o sull’atto singolo. Occorre creare spazi sicuri e controllati che siano “bull free”, educando a riportare il bullismo (niente omertà) e con un’opera di educazione alla diversità. E’ importante anche insegnare comportamenti adeguati, abilità sociali e abilità di regolazione emotiva. Infine è importante ciò che succede dopo l’atto di bullismo. Un conto è capire le cause, un conto è dare colpe. Le persone etichettate come vittime o anche come bulli, tenderanno a perpetrare il loro comportamento in quanto spesso la società impone i propri stereotipi sugli altri. Il circuito invece va interrotto e le persone vanno aiutate a superare le conseguenze psicologiche come depressione, bassa autostima, sbagliato giudizio di se stessi, etc. di quello che hanno subito. Solo così si potrà interrompere il circuito della vittimizzazione e far si che non si ripeta.

Una raccomandazione ai genitori?
Imparare a riconoscere i segni, agire a livello di sistema e aiutare il ragazzo nel processo di comprensione e mantenimento del benessere psicologico. Il bambino con Sindrome di Asperger ha numerosi problemi a riportare di subire atti di bullismo. L´adulto può rendersi conto che il bambino subisce bullismo servendosi di forme prove fisiche (oggetti personali persi o danneggiati e vestiti strappati) o mediche (lividi e ferite), o tramite segnali psicologici (aumento dell´ansia, dolori di stomaco e altri disturbi correlati allo stress, problemi del sonno, riluttanza ad andare a scuola ed evitamento di determinate zone). Puó manifestarsi anche un cambiamento nel cosiddetto “interesse speciale”, che da argomenti relativamente innocui come veicoli e insetti si trasferisce ad armi, arti marziali e film violenti. Anche i disegni possono esprimere violenza, rappresaglia e vendetta. Oppure, altro segno di disagio, a casa, mentre gioca con i fratelli più piccoli, il bambino può imitare le azioni di chi lo maltratta. E’ importante che genitori e operatori, dopo aver capito i segni del bullismo e preso i provvedimenti necessari per porre fine al problema, lavorino insieme al ragazzo. Poiché infatti alcune caratteristiche dell’autismo rendono questi ragazzi “vittime perfette”, occorre non solo educare la società, ma anche insegnare al ragazzo le abilità sociali utili per vivere in modo sereno la propria vita sociale.

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PER L’AUTISMO NON CI SONO CURE MA SOLUZIONI

West-info.eu  – Il gigante no-profit americano Autism Speaks non investirà più neanche 1 dollaro per cercare una “cura” per l’autismo. Semplicemente perché non è una malattia da curare. Ma un disturbo col qual convivere. È per questo che da oggi, quella che in questo settore è una delle più grandi e potenti associazioni al mondo, al posto di “crisi”, “sconfiggere”, “combattere”, “rimedio”, parlerà e investirà solo su “soluzioni” da trovare per rendere migliore la vita di chi ha un disturbo dello spettro autistico.

Una rivoluzione, certificata anche dal cambio della mission nello statuto fondativo del 2005, che non è solo lessicale. Ma sembra essere anche una risposta concreta alle molte critiche che più volte le sono piovute addosso per una presunta tendenza all’allarmismo. Come quando definì l’aumento delle diagnosi di autismo come una “crisi sanitaria” ed un’”emergenza nazionale” .