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Archivio annuale 2023

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Giornata della Disabilità

Il 3 dicembre ricorre la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, proclamata nel 1992 dalle Nazioni Unite per promuovere la comprensione delle questioni relative alla disabilità e a mobilitare il sostegno per la dignità, i diritti e il benessere delle persone con disabilità, il cui tema per il 2023 è “Uniti nell’azione per tutelare e raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile per, con e da parte delle persone con disabilità”.
Nell’ambito delle celebrazioni di tale importante ricorrenza, Anffas Corigliano Rossano organizza nei locali dell’associazione, via degi Iris Schiavonea, lunedì 4 dicembre, ore 16,30 l’evento “un tè con……..” Interveranno l’Arcivescovo di Rossano Cariati, Mons. Maurizio Aloise e il Presidente della commissione consiliare Servizi alla Persona, dott. Cesare Sapia.
Area Comunicazione
Anffas Onlus Corigliano

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INDI GREGORY, QUEL PRONUNICIAMENTO DEI GIUDICI INGLESI CI PREOCCUPA

Fonte www.anffas.net – Oggi, 13 novembre 2023, all’1.45, ora inglese, Indi Gregory si è spenta. Indi era una bambina inglese di 8 mesi con una patologia mitocondriale grave, indicata come terminale dai medici dell’ospedale in cui era seguita e dai giudici britannici e alla quale, dopo una lunga battaglia legale, è stato disposto il distacco dai principali dispositivi vitali. Ciò nonostante, la contrarietà dei genitori che, tra l’altro, avevano portato il governo a concedere, d’urgenza, la cittadinanza italiana alla bambina, per consentirle di essere presa in carico dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma.

Ancora una volta ci ritroviamo a chiederci se la responsabilità di tali delicatissime e irrevocabili decisioni, che riguardano la salute e la vita della persona, può essere presa dei giudici di un tribunale”, afferma Roberto Speziale, Presidente nazionale Anffas. “Si può scavalcare la volontà delle stesse persone o, come in questo caso, dei genitori decidendo al loro posto e contro la loro volontà?

Da sempre Anffas sostiene che la vita delle persone, in qualunque condizione essa si manifesti, va sempre rispettata. Il pensiero che ci sono ancora paesi, medici e tribunali che sostengono – tramite le loro decisioni – che alcune vite non sono degne di essere vissute, provoca in noi genitori e familiari di persone con disabilità complesse, forti angosce: ci troviamo davvero ancora in una società che non accetta la malattia, la disabilità, la diversità e che per questo preferisce soluzioni sbrigative, magari ammantandole di “Pietas”?; come costoro che hanno assunto una simile decisione possono non sapere che una vita, anche quando si avvia verso la sua fine, dovrebbe essere sempre accompagnata dall’affetto, dall’attenzione dei propri cari e che, fino all’ultimo istante, ha diritto ad essere considerata, a tutti gli effetti, una persona ricevendo tutte le cure del caso, anche quando l’esito atteso non sia la guarigione? 

È pensiero di Anffas che ogni vita umana, a prescindere da come essa si manifesti, vada sempre considerata come degna di essere vissuta!!! Come siamo convinti che è diritto di ogni persona ricevere i giusti ed adeguati sostegni per poter vivere al meglio la propria vita.

Consentire per legge ad un giudice di poter decidere se e quando “staccare la spina”, addirittura contro il parere dei genitori, è fonte non solo di preoccupazione ma anche di forti paure che ci portano ad interrogativi importanti: a che livello, dopo che questo principio è stato acclarato, sarà posta in futuro l’asticella per cui una vita può essere considerata non degna di essere vissuta? Non è questa la cultura nella quale ha attinto il regime nazista che ha dato vita all’iniziativa Aktion T4 e che ha portato allo sterminio delle persone con disabilità, prima ancora che quello delle persone ebree? Non potremo mai restare indifferenti davanti a questo stato di cose” continua il Presidente Speziale. Anffas continua a gran voce ad affermare che stiamo arretrando pericolosamente verso quella che un tempo era la società della “Rupe Tarpea” e che occorre agire a tutti i livelli affinché queste prassi siano definitivamente abbandonate.

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DISABILITA’, FINALMENTE SI VOLTA PAGINA

Fonte www.vita.it – “Intervista a Roberto SPEZIALE Presidente di Anffas Nazionale.

Progetto di vita, un unico soggetto per la certificazione della disabilità, una valutazione multidimensionale: sono i pilastri del cambiamento disegnato dai nuovi decreti della legge delega sulla disabilità. A due condizioni, dice Roberto Speziale, presidente di Anffas: «Che le regioni e le autonomie locali facciano fino in fondo la loro parte e che ci siano più risorse nel nuovo Fondo unico per la disabilità»

Venerdì 3 novembre il Consiglio dei ministri ha licenziato i due decreti attuativi più attesi della delega sulla disabilità. Il progetto di vita, la valutazione multidimensionale e le necessità di rivedere tutto il sistema della valutazione iniziale sono da anni temi cari all’Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo-Anffas. Il presidente nazionale di Anffas, Roberto Speziale, che è anche vicepresidente vicario della Fish e coordinatore della Consulta Welfare del Forum Terzo Settore, ha coordinato diversi tavoli di lavoro su questi temi: è la persona giusta per capire davvero la portata del cambiamento.

Possiamo dire che questi due decreti sono un po’ il cuore della riforma?

I decreti che andranno a dare attuazione alla legge 227/2021 sono quattro: semplificazione della Pubblica amministrazione; istituzione del Garante; valutazione di base e valutazione multidimensionale; istituzione della Cabina di regia per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in favore delle persone con disabilità. Tra questi assume particolare rilievo il decreto che prevede la riunificazione e la semplificazione degli accertamenti esistenti (tra cui quello per l’accertamento dell’invalidità civile, dell’handicap e della disabilità ai fini lavorativi) e che disciplina il nuovo sistema di valutazione multidimensionale della disabilità per la realizzazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, entro il quale individuare i supporti e coordinarli per lo sviluppo unitario del percorso di vita. Quello prefigurato da questo decreto è un cambiamento epocale che, se correttamente attuato, porterà tre risultati importantissimi:

– una nuova definizione della condizione di disabilità, nonché di “persona con disabilità” nel rispetto di quanto sancito dalla convenzione Onu;

– la revisione integrale dell’attuale sistema di certificazione della condizione di disabilità, introducendo sia la valutazione di base che la valutazione multidimensionale;

– sarà effettivo il diritto a richiedere ed ottenere il proprio progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, per rimuovere gli ostacoli e per attivare i sostegni utili alle persone con disabilità affinché possano godere del pineo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri cittadini, delle libertà e dei diritti civili e sociali nei vari contesti di vita, liberamente scelti.

Partiamo dalle definizioni?

È un aspetto di fondamentale importanza perché per la prima volta nel nostro ordinamento vengono inserite definizioni coerenti con quanto previsto dalla convenzione Onu. La definizione di «condizione di disabilità» ora è una duratura compromissione fisica, mentale, intellettiva o sensoriale che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri. Mentre la «persona con disabilità» è la persona che presenta durature compromissioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri, accertate all’esito della valutazione di base. Viene fatto espresso divieto di continuare a usare vecchie definizioni quali handicap, persona handicappata, portatore di handicap, persona affetta da disabilità, disabile e diversamente abile, sostituite da «condizione di disabilità» e «persona con disabilità». Anche espressioni come «disabile grave», deve essere sostituito da «persona con necessità di sostegno intensivo».

Viene fatto espresso divieto di usare vecchie definizioni quali handicap, persona handicappata, persona affetta da disabilità, disabile e diversamente abile: si parla di «persona con disabilità»

La ministra Locatelli – che in questa intervista aveva anticipato l’imminente arrivo dei due decreti – punta molto sulla semplificazione delle procedure che la riforma garantisce, sia nella valutazione iniziale che poi nell’eliminazione in moltissimi casi delle fastidiosissime visite periodiche per confermare la condizione di disabilità. Che altro c’è, a livello di macro-cambiamento?

Il decreto individua nell’Inps l’unico soggetto a cui è affidato tutto il nuovo sistema di riconoscimento della condizione di disabilità e il procedimento unitario (e unificato) di valutazione di base. Si parte dal 1° gennaio 2026. Un unico punto di accesso per la certificazione della condizione di disabilità, che sarà unificata al processo dell’accertamento dell’invalidità civile, della cecità civile, della sordocecità, degli alunni con disabilità, degli elementi utili alla definizione della condizione di non autosufficienza. Il procedimento è attivato da un certificato medico introduttivo ed è distinto dalla successiva valutazione multidimensionale volta alla predisposizione di un progetto di vita della persona con disabilità. Una grande novità consiste nel fatto che l’intero processo valutativo medico-legale si baserà sull’ICD (International Classification of Diseases) e sugli strumenti descrittivi dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), con particolare riferimento all’attività e alla partecipazione della persona. Verranno quindi impiegati nuovi strumenti, scientificamente validati dall’Organizzazione mondiale della sanità, che prevedono anche partecipazione della persona. Al fine di accertare le necessità di sostegno, di sostegno intensivo o delle misure volte a compensare la restrizione della partecipazione della persona verranno prese in debita considerazione le attività della persona, facendo ricorso alle tabelle medico-legali solo per rilevare la condizione conseguente alla compromissione duratura e non più per le residue capacità lavorative generiche. Tutte le fasi del percorso di riconoscimento della condizione di disabilità dovranno essere improntate ai requisiti di tempestività, prossimità, efficienza e trasparenza. Le visite di verifica circa la permanenza del requisito viene limitata solo a quei casi in cui, rispetto alla situazione che ha dato luogo all’originario riconoscimento, sia prevedibile un miglioramento o una regressione.

Le visite di verifica circa la permanenza del requisito viene limitata solo a quei casi in cui, rispetto alla situazione che ha dato luogo all’originario riconoscimento, sia prevedibile un miglioramento o una regressione.”

Una nuova definizione di disabilità, una nuova valutazione di base, una nuova valutazione multidimensionale, il progetto di vita individuale. Vediamo per i tre o quattro pilastri della riforma, quali sono le novità concrete? Cominciamo da che cos’è il progetto di vita e cosa cambia il fatto che diventi lo strumento di base per individuare sostegni/servizi ecc?

Il progetto di vita è lo strumento diretto a realizzare gli obiettivi della persona con disabilità, per migliorare le condizioni personali e di salute nei diversi ambiti di vita, facilitandone l’inclusione sociale e la partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri. La persona che ne richiede l’attivazione concorre – in prima persona o con il supporto di chi ne cura gli interessi – a determinarne i contenuti del progetto stesso  e poi ad apportarvi le modifiche e le integrazioni, secondo i propri desideri, le proprie aspettative e le proprie scelte. Più nello specifico il progetto di vita individua – per qualità, quantità ed intensità – gli strumenti, le risorse, gli interventi, i benefici, le prestazioni, i servizi e gli accomodamenti ragionevoli, volti anche ad eliminare le barriere e ad attivare i supporti necessari per l’inclusione e la partecipazione della persona stessa nei diversi ambiti di vita, compresi quelli scolastici, della formazione superiore, abitativi, lavorativi e sociali. Nel progetto di vita sono comprese anche le misure per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale, nonché gli eventuali sostegni erogabili in favore del nucleo familiare e di chi presta cura ed assistenza. Il progetto di vita deve essere, infine, sostenibile nel tempo ovvero garantire continuità degli strumenti, delle risorse, degli interventi, dei benefici, delle prestazioni, dei servizi e degli accomodamenti ragionevoli.

A livello di risorse, cosa garantirà che ci siano effettivamente per ciascuna persona le risorse necessarie e realizzare quello che il progetto di vita disegna, così che non sia solo un “libro dei sogni”?

Questo rappresenta il vero nodo cruciale da risolvere. Un progetto di vita ed un connesso budget di progetto senza la garanzia di adeguate risorse rischia realmente di rappresentare un “libro dei sogni”. Questa ipotesi va scongiurata in tutti i modi. Si sta facendo sempre più strada l’ipotesi di costituire un “fondo unico nazionale per la disabilità”, cosa che già si sta prefigurando nell’attuale legge di bilancio, ma occorre rendere disponibili ulteriori e consistenti risorse aggiuntive. Ad oggi, infatti, il fondo unico è costituito dalle risorse già presenti a sistema e diversamente denominate. Certamente è positivo avere iniziato a prevederlo, ma il tutto deve essere visto nella prospettiva di una cospicua implementazione dello stesso per gli anni a venire. 

Un progetto di vita ed un connesso budget di progetto senza la garanzia di adeguate risorse rischia realmente di rappresentare un “libro dei sogni”. Questa ipotesi va scongiurata in tutti i modi: il neonato “fondo unico nazionale per la disabilità” ha bisogno di più risorse.

Lei parla da anni della necessità di rivedere la valutazione iniziale e di garantire a tutti quel progetto di vita previsto dall’articolo 14 della legge 328 fin dal 2000, ma ancora così poco diffuso. Qual è il senso di questa battaglia? Rispetto agli obiettivi e alle urgenze che il movimento associativo ha individuato, cosa è stato accolto nel decreto e su cosa invece c’è stato un compromesso/c’è ancora da lavorare?

Il progetto di vita redatto ai sensi e per gli effetti dell’art. 14 della legge 328 del 2000 ha rappresentato, per Anffas, un impegno costante tanto da spingere l’associazione a dotarsi di uno specifico sistema per la costruzione dei progetti denominato “matrici ecologiche e dei sostegni”. Purtroppo, non si può negare che, tranne rari casi, nonostante gli oltre vent’anni trascorsi dall’emanazione della legge 328, le pubbliche amministrazioni non sono state in grado di organizzarsi per realizzare i progetti. Questo ha influito negativamente anche sull’applicazione della legge 112/2016 che vede proprio nel progetto di vita lo snodo centrale attraverso il quale individuare le misure da attivare già nel durante noi. A causa di ciò molte famiglie sono state costrette a ricorrere ai tribunali per vedere riconosciuto tale diritto, ma anche laddove si è ottenuta giustizia è risultata ugualmente poco concreta l’applicazione di quanto contenuto nelle sentenze. La legge delega prima ed il decreto applicativo ora, sembrano volersi fare carico di tali storiche e croniche carenze. In particolare, attraverso il decreto sulla valutazione multidimensionale vengono molto ben fissati e chiariti tutti i passaggi da compiersi da parte dei vari soggetti a ciò preposti e vengono ben definiti ruoli, compiti e responsabilità. È anche previsto un necessario percorso formativo ed un periodo di sperimentazione. Anche il ruolo del Terzo Settore è stato individuato e valorizzato. Inoltre, la scrittura del decreto è stata realizzata con il contributo di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti. Quindi sì, sembrano esserci tutte le premesse affinché, nel nostro intero Paese, si possa veramente cambiare pagina. In gioco ci sono i diritti delle persone con disabilità e dei loro familiari ed il miglioramento della loro qualità di vita.

Non si può negare che, tranne rari casi, nonostante gli oltre vent’anni trascorsi dall’emanazione della legge 328, le pubbliche amministrazioni non sono state in grado di organizzarsi per realizzare i progetti di vita. La legge delega prima ed il decreto applicativo ora, sembrano volersi fare carico di tali storiche e croniche carenze.

Vero è tuttavia che la legge delega e i suoi decreti attuativi toccano alcuni aspetti fondamentali della vita delle persone con disabilità, ma non si occupano di molti altri temi come il lavoro, la scuola, la salute, i caregiver, etc. In effetti sarebbe necessario pervenire ad una più ampia e complessiva riforma attraverso una legge quadro e un testo unico sulla disabilità. Il lavoro del ricostituendo Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità in merito alla predisposizione del Terzo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità (oggi abbiamo solo il secondo, approvato nel lontanissimo 2016, ndr) potrebbe rappresentare, anche in tale prospettiva, una grande opportunità.

Affermare che il disegno del sistema non parte più da una offerta predeterminata, uguale per tutti, a cui il singolo deve adattarsi ma al contrario dai “sogni e bisogni” del singolo implica certamente una rivoluzione sui territori. Che poi spesso sono il punto in cui legge bellissime si inceppano. Servono nuove sperimentazioni, capacità di immaginare nuovi servizi e nuove forme organizzative o le esperienze pilota che sono già state fatte sono sufficienti?

Lo sforzo corale da compirsi da parte di tutti per il prossimo futuro è quello di non adattare le persone a servizi precostituiti e standardizzati ma far sì che siano i servizi ad adattarsi agli specifici e reali bisogni delle persone, appunto attraverso la predisposizione e l’attuazione del progetto di vita. In tale ottica occorre anche mettere in atto una transizione inclusiva dei servizi, sia di quelli attuali che di quelli futuri in modo da garantire alle persone con disabilità di vivere in condizione di pari opportunità con gli altri e di essere realmente posti nella condizione di poter scegliere dove, come e con chi vivere senza essere mai adattati ad una specifica sistemazione. Per fare ciò diventa centrale il ruolo delle comunità nelle quali le persone con disabilitò vivono. Lo stesso Terzo settore è chiamato a cogliere questa nuova ed esaltante sfida, ponendosi nella prospettiva di promuovere un nuovo sistema di welfare basato sui diritti delle persone e generativo anche in termini di innovazione sociale. In molti luoghi quelli che storicamente erano i centri semiresidenziali si stanno evolvendo, divenendo vere e proprie “palestre” per potenziare le autonomie e consentire di vivere appieno le opportunità presenti nelle comunità. Anche le soluzioni alloggiative vedono sperimentare numerose nuove soluzioni: dagli appartamenti di civile abitazione, ai coohousing, a condomini solidali.

Il Terzo settore è chiamato a cogliere questa nuova ed esaltante sfida, ponendosi nella prospettiva di promuovere un nuovo sistema di welfare basato sui diritti delle persone e generativo anche in termini di innovazione sociale.

Sappiamo che anche in presenza di una legge disegnata molto bene non sempre nell’attuazione concreta si riesce a realizza quel che la legge si proponeva. Abbiamo citato la 328/2000, potremmo citare la legge sul dopo di noi. A quali condizioni questo nuovo disegno del sistema cambierà davvero concretamente la vita delle persone con disabilità?

Purtroppo, questo lo sapremo solo vivendo. Certo i precedenti, compresa la legge 112/2016 non giocano a nostro favore. Comunque, oggi ci sono e diversi strumenti che in passato non erano ancora strutturati: un ministro delle disabilità; un dipartimento; un garante nazionale; un neocostituito osservatorio; un fondo unico, ancorché da implementare. Ma tutto questo non sarà sufficiente se anche le regioni e le autonomie locali non faranno fino in fondo la loro parte e se non si riuscirà a portare e termine la mai completata, forse neppure avviata integrazione sociosanitaria e connessi Lep e Leps, previo aggiornamento dei Lea.

Sembrano esserci tutte le premesse affinché, nel nostro intero Paese, si possa veramente cambiare pagina. Ma tutto questo non sarà sufficiente se anche le regioni e le autonomie locali non faranno la loro parte.

Il secondo decreto approvato il 3 novembre punta alla definizione di Leps per la disabilità: perché è importante e quali dovrebbero essere i primi due a suo parere? Introdurre dei Leps sulla disabilità cosa cambierebbe? Ci sposterebbe finalmente da un approccio prevalentemente sanitario?

Il tema dei Leps è più che mai cogente. Disporre, infatti, di livelli essenziali delle prestazioni sociali è “la conditio sine qua non” per vedere garantiti, in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, parità di servizi e prestazioni e quindi per avere certezza di risorse provenienti dalla fiscalità generale. Senza di essi l’esigibilità dei diritti rimarrà una chimera. Inoltre, con l’entrata in vigore della riforma dell’autonomia differenziata senza aver prima definito Lep e Leps sicuramente la situazione non potrà che peggiorare.

Disporre di livelli essenziali delle prestazioni sociali è la conditio sine qua non per vedere garantiti in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale parità di servizi e prestazioni. Senza Leps l’esigibilità dei diritti rimarrà una chimera.

Da settimane assistiamo ad una accesa polemica sulle risorse previste per l’attuazione della riforma: quelle non utilizzate nel 2023 sono state spostate sul Superbonus. Lei che ne pensa?

Lo considero un falso problema. Infatti, le risorse che c’erano, continuano e continueranno ad esserci, anche se diversamente denominate ed allocate. Anzi a regime ci sarà qualche risorsa in più. Tra l’altro questo lo ha anche confermato lo stesso Ministro. Piuttosto ci dovremmo unire tutti per trovare nuove ed ulteriori risorse per implementare in fondo unico sulla disabilità che deve essere in grado di dare continuità nel tempo ai progetti di vita, a partire da quelli sul durante e dopo di noi. Sui temi legati alla disabilità non ci aspettiamo polemiche o divisioni ma una convergenza trasversale anche tra tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione, in quanto in gioco c’è la vita di milioni di persone con disabilità e loro familiari.

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Disabilità. È stato istituito un tavolo tecnico per il riconoscimento del caregiver familiare

Fonte www.disabili.com – L’obiettivo: dare una definizione del caregiver e formulare proposte per un disegno di legge che ne riconosca il ruolo svolto in Italia

E’ stato annunciato un nuovo passo verso il necessario riconoscimento del ruolo dei caregiver familiari che si dedicano alla cura dei proprio congiunti con disabilità, non autosufficienti.
Le Ministre per le Disabilità e del Lavoro e delle Politiche sociali, Alessandra Locatelli e Marina Calderone, hanno firmato il decreto per l’istituzione del “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari”. Iniziativa che, si legge nella nota, va di pari passo con l’attuazione della legge delega in materia di politiche in favore delle persone anziane.

COMPITI DEL TAVOLO
Il tavolo avrà durata di sei mesi a partire dalla riunione di insediamento, e dovrà occuparsi di:
– individuare le aree di intervento e le maggiori esigenze cui dare risposta, formulare proposte ai fini della elaborazione di un disegno di legge volto al riconoscimento del ruolo svolto dal caregiver familiare;
– l’individuazione e la quantificazione della platea, anche diversificata, dei beneficiari di una legge statale sui caregiver familiari;
– l’individuazione del ruolo del caregiver all’interno di un sistema integrato di presa in carico della persona con disabilità.

OBIETTIVO: DARE UNA CORNICE NORMATIVASpiega Locatelli: “Il riconoscimento dei caregiver familiari, in particolare conviventi, non può più essere rinviatoAbbiamo il dovere di dare risposte a tutte quelle persone che amano e che curano i propri cari, e che non vogliono essere sostituite, ma tutelate e sostenute adeguatamente nel loro compito. È arrivato il momento di dare una cornice normativa al ruolo di caregiver familiare, e un adeguato riconoscimento in particolare al caregiver familiare convivente. L’obiettivo è arrivare a una proposta condivisa che possa accompagnare e facilitare i familiari nei compiti di cura in tutte le fasi della vita quotidiana”.

DEFINIZIONE DEL RUOLO E PPREDISPOSIZIONE DELLE POLITICHE
“Abbiamo l’obiettivo di disegnare una società più inclusiva, capace di dedicare ai caregiver interventi specifici di formazione e accompagnamento utili a sostenere l’importante impegno di cura quotidiana che svolgono
”, afferma la Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone. Che aggiunge: “L’esperienza della pandemia e i cambiamenti a cui assistiamo nella nostra società, non da ultimo l’aumento dell’età media della popolazione, ci pongono davanti alla sfida di tenere in equilibrio l’assistenza specialistica e tutte quelle azioni che contribuiscono a una vita di qualità, anche in situazioni di fragilità. La definizione del ruolo di caregiver ci permetterà di predisporre meglio le politiche e gli interventi che li coinvolgeranno”.

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Manovra e nuove misure pensioni. Dalla FISH un netto NO: “danneggia caregiver di persone con disabilità”

Fonte www.disabili.com – La possibilità di prepensionamento viene gravata di altri 6 anni di contributi, rispetto all’attuale Ape Social

Nella giornata di lunedì il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo del disegno di legge della nuova Manovra. Tra le misure (ne abbiamo parlato qui) anche una novità che va ad interessare le politiche pensionistiche, nello specifico Ape sociale e Opzione donna che vengono eliminate distintamente per confluire in un’unica misura. Con la manovra il Governo ha infatti accorpato le due misure in un unico fondo per la flessibilità in uscita che consente di andare in pensionea 63 anni con 36 anni di contributi per caregiver, disoccupati, lavori gravosi e lavoratori disabili, o con 35 anni di contributi per le donne, come prevedeva Opzione Donna.

Si tratta di un intervento che, secondo la FISH, andrà ad impattare in maniera importante sulle lavoratrici caregiver che potranno andare in pensione con 36 anni di contributi e 63 anni di età. Ad oggi invece potevano andare in pensione con 30 anni di contributi.

Per questo motivo, la federazione che raggruppa le principali sigle della disabilità esprime una forte preoccupazione per le migliaia di famiglie coinvolte nella cura di persone con disabilità. 
“Le donne caregiver – ricorda la FISH – svolgono un ruolo fondamentale nell’assistenza e nell’inclusione delle persone con disabilità all’interno della comunità. Spesso dedicano anni alla cura dei propri cari, rinunciando a opportunità lavorative e sacrificando le proprie carriere. La misura fa riferimento anche alle donne con invalidità almeno al 74%, che sarebbero penalizzate al pari delle caregiver”.

L’ulteriore rischio, evidenzia la FISH, è che l’allontanamento dal prepensionamento delle caregiver comporti necessariamente il ricorso ad altre soluzioni assistenziali, come quella dell’istituzionalizzazione per i familiari con disabilità. Secondo il presidente della FISHVincenzo Falabella, “Tale decisione rischia di avere un impatto significativo non solo sulla vita delle donne ma anche sul benessere delle persone con disabilità stesse. Tale provvedimento potrebbe essere da volano per una forzata istituzionalizzazione per le persone con disabilità con un aumento spropositato della spesa sanitaria. Per questo chiediamo al governo di riconsiderare queste misure e di adottare politiche che valorizzino il contributo straordinario delle donne lavoratrici caregiver. In un momento in cui la società italiana si trova di fronte alle sfide dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle persone con disabilità, è fondamentale che il governo riconosca l’importanza di garantire diritti e supporto adeguati alle donne che dedicano la propria vita all’assistenza dei loro familiari con disabilità”

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Verso l’avvio dell’Agenzia Nazionale Anffas Antidiscriminazione

Fonte www.anffas.net – Ci siamo! Manca poco alle giornate di lunedì 23 e martedì 24 ottobre 2023 in occasione delle quali si svolgeranno le ultime attività propedeutiche alla costituzione della Rete Antidiscriminazione Anffas, coordinata dall’Agenzia Nazionale Anffas Antidiscriminazione.

In questi due giorni di lavoro, ampio spazio sarà riservato ai futuri referenti degli Sportelli Antidiscriminazione, ai familiari e alle persone con disabilità che, nel corso del progetto promosso da Anffas Nazionale “AAA – Antenne Antidiscriminazione Attive“*,hanno manifestato la volontà di diventare attivisti seguendo una specifico corso di formazione.

Ma che cos’è l’Agenzia Nazionale Anffas Antidiscriminazione?

Nata all’interno del suddetto progetto, l’Agenzia si pone l’obiettivo di studiare, monitorare ed analizzare il fenomeno della discriminazione nonché supportare le persone con disabilità ed i loro familiari ele associazioni legittimate ad agire per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni di cui all’art. 4, comma 2, del decreto 21 giugno 2007.

Si tratta, dunque, di una Rete Antidiscriminazione di livello nazionale alla quale sono collegate sia le realtà già operanti sul tema, interne ed esterne ad Anffas, sia tutti i soggetti che, a vario titolo, sono interessati a far parte della rete in qualità di attivisti. 

La Rete, coordinata dall’Agenzia Nazionale, ha al suo interno una platea molto eterogenea di persone, provenienti da diverse regioni d’Italia, che hanno l’obiettivo di prevenire e contrastare la discriminazione in base alla disabilità, non solo accrescendo le proprie conoscenze, ma anche facendo rete con gli altri in un continuo scambio reciproco. Fanno parte di questa rete:

  • le associazioni legittimate ad agire ai sensi della l.n. 67/06, sia Anffas che non, con i rispettivi referenti;
  • gli sportelli SAI Anffas (Sportello Accoglienza e Informazione) e gli altri sportelli informativi appartenenti ad altre organizzazioni, con i rispettivi referenti;
  • i professionisti, in particolar modo del settore giuridico;
  • le persone con disabilità, tra cui persone con disabilità intellettiva e disturbi del neurosviluppo;
  • i familiari delle persone con disabilità;
  • i leader delle organizzazioni del Terzo Settore.

Per maggiori informazioni sull’Agenzia Nazionale Anffas Antidiscriminazione, è possibile consultare la sezione dedicata cliccando qui

*realizzato con il finanziamento concesso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’annualità 2020 a valere sul Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore di cui all’art. 72 del decreto legislativo n.117/2017.