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Anno 2020: ancora una volta bisogna augurare la crescita dell’inclusione scolastica e sociale

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Anno 2020: ancora una volta bisogna augurare la crescita dell’inclusione scolastica e sociale

Fonte www.disabili.com – Bambini esclusi dalle recite, ragazzi insultati al ristorante, famiglie rifiutate in albergo: l’inclusione è fragile, le derive sono troppe.

Abbiamo da poco festeggiato l’inizio del nuovo anno, abbiamo alzato i calici augurandoci ancora una volta un mondo migliore, più equo, più giusto, più civile per noi e per i nostri figli. Abbiamo ancora accolto il futuro speranzosi, pieni di buoni propositi, allegramente, con fiducia.

Eppure tante e troppe sono ancora le diseguaglianze, le iniquità, le marginalizzazioni, le esclusioni, le stigmatizzazioni, in un mondo che vuole dirsi in crescita, in un divenire consapevole verso una cittadinanza globale, aperta, ormai conscia delle specificità, delle differenze di tutti e di ciascuno, della banale normalità di un’accoglienza totale, piena, inclusiva.

Non è esattamente così, non è sempre così. E’ ciò verso cui tendiamo, ma fatica e annaspa questa crescita, traballa in vorticose derive, agghiaccianti e inquietanti. Lo sappiamo, purtroppo, ce lo dice la cronaca, ce ne parlano gli eventi. Parliamo e con forza e determinazione di inclusione, ma non possiamo ignorare l’evidenza, perché essa non si consumi nella retorica: l’inclusione è una tendenza, una via, un progetto magnifico e inalienabile, ma è di lunga durata, siamo ancora forse a concepire più stabili fondamenta, perché essa non crolli come un palazzo di cristallo.

Non possiamo ignorare le derive, non possiamo fare finta che non vi siano ancora e pure a scuola delle eclatanti occasioni di vergona: un bambino escluso da una recita. Ma come si può? Che importanza può avere se non parla, se non riesce a stare fermo, se non riesce a recitare una parte? Che importanza può avere il plauso di gaudenti famiglie se un bambino e sua madre piangono? Quante volte avrà fallito quella scuola, quel dirigente, quell’insegnante che ha reso infelice un bambino? Cosa conta, una recita perfetta o l’inclusione di un bambino? Cos’è l’essenziale?

Non si può mangiare ci viene il vomito. Capisco che sono malati, addirittura portali in pizzeria…. Bisognerebbe lasciarli a casa. Così avrebbero detto i componenti di una famigliola intenta a cenare in un ristorante in un giorno di festa, natalizio, di pace e amore. Lo avrebbero detto riferendosi al alcuni ragazzi con sindrome di Down, che occupavano un tavolo vicino al loro. Pare abbiamo lasciato il ristorante, per non tollerare oltre la vicinanza. C’era forse una madre, un padre, che hanno fatto piangere altre madri, altri padri e i loro ragazzi, per i quali quel tavolo in autonomia era forse una grande conquista. Quante volte hanno fallito? Quanta consapevolezza manca nella gente comune, che incontriamo per strada, che ci appare gentile, rispettosa, civile?

Non manca Capodanno: calorosa accoglienza ricevuta da diverse famiglie in un albergo di una zona termale, fino a quando non è comparsa la parola autismo. A quel punto sono iniziate le scuse del direttore: dal numero chiuso per i bambini al fatto che la struttura non fosse attrezzata. Rifiutati con la stessa normalità con cui alcuni alberghi specificano che non accettano cani e altri animali domestici: dovete capire, bisogna assicurare il benessere degli altri clienti… No, non capiamo, non riusciamo a capire. Non capiamo perché questa mentalità possa ancora imperare, non capiamo come una struttura ricettiva possa essere ancora affidata a tanta grettezza. Non capiamo più, non vogliamo e non possiamo capire il senso di questo fallimento.

Abbiamo fallito pure noi? Pure noi che da anni parliamo di inclusione nei salotti della formazione, nei libri, per le strade e nelle scuole? Abbiamo fallito nel nostro tentativo di promuoverla, nella volontà di praticarla, di realizzarla? Leggendo alcuni episodi potremmo essere tentati di ritenere di aver fallito, leggendone altri, che pure spuntano come fiori in mezzo alla neve, diremmo di no, con forza e perseveranza. E se pure ancora a volte ci sentiamo sopraffatti dalle derive, conserviamo la piena consapevolezza di un compito che ci accompagna, che ormai ci ha cambiato la vita e che porteremo ancora avanti, finché potremo.

Diremo forse che l’inclusione è lontana, che procede con lentezza e fatica, ne vedremo forse solo una piccola parte, in mezzo a un mare di emergenza. Ma avremo fatto ciò che ci appartiene.

Questo è il nostro compito ancora, per quest’anno e oltre, nelle scuole e nelle case: promuovere la cultura dell’inclusione, sempre e comunque.

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