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IL GIOCO CHE METTE IN PRATICA L’INCLUSIONE

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IL GIOCO CHE METTE IN PRATICA L’INCLUSIONE

Superando.it – Alcuni anni fa impazzava il dibattito, specie tra noi addetti ai lavori, sui termini giusti per indicare la disabilità. “Persona con handicap”, “diversabile”, “diversamente abile” e chi più ne ha più ne metta. Non ho assolutamente voglia di riaprire questo confronto, voglio solo farvi notare quanto la cultura della disabilità sia in continua evoluzione, in continuo aggiornamento.

Così oggi, giustamente, si punta ad altro. Ad eliminare i prefissi. A lavorare per valorizzare le abilità, le abilità senza “dis”. Il mio amico Claudio Arrigoni la chiama semplicemente “cultura dell’ abilità, perché guardare le abilità vuol dire uscire dal pregiudizio. Esaltare la persona nella pienezza della sua esistenza”. Seguendo questa nuova cultura nasce un nuovo progetto “Play for inclusion” che per ora ha dato vita a Kibu. Un nascente gioco che non può non entrare a far parte della storia dell’inclusione del nostro Paese.

A spiegare questo bellissimo nuovo progetto ci aiuta Antonio Malafarina, dal blog Invisibili del Corriere della Sera. “Il progetto, in buona sostanza, si propone di mettere al completo servizio della società anni di studio e ricerche. L’obiettivo è quello di andare incontro alle esigenze dei bambini con bisogni educativi speciali (bes), cioè bambini che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse.

“Play for inclusion”, quindi, è una piattaforma che-continua Antonio- intende mettere la ricerca scientifica al servizio dei bambini ed il primo prodotto è Kibu, un videogioco per smartphone e tablet pensato per bambini dai cinque agli otto anni volto a potenziare le funzioni cognitive dell’utente calibrando la propria difficoltà sulle peculiarità del bambino. In parole povere il bambino giocando potenzia le sue capacità avendo a disposizione un gioco che è pensato per andare incontro alle esigenze di ogni bambino, inteso come essere unico ed irripetibile.”

A riprendere in pieno il mio concetto iniziale, quello della cultura delle abilità ci pensa ancora Malafarina intervistando Francesca Postiglione, una delle ideatrici del progetto: “Io penso che se la didattica, l’insegnamento a scuola come quello professionale sul luogo di lavoro, applicasse questa metodologia-afferma la dottoressa Postiglione- non solo il termine inclusione non avrebbe finalmente più ragione di esistere ma avremmo costruito una società in grado di attingere alle risorse di tutti. E di svilupparle.” Un semplice enunciato che dipinge un mondo perfetto. E ci mostra che si può iniziare a costruirlo.

Un gioco didattico, un gioco per tutti i bambini perché, oltrepassando il concetto di riabilitazione per abbracciare quello di abilitazione, vuole permettere ad ogni bambino di sviluppare al meglio le proprie potenzialità adattandosi al suo livello di sviluppo. Un passo fondamentale per iniziare a lavorare sulla cultura dell’abilità e della personalizzazione.

Evidenziando la strada da percorrere, come riprende Arrigoni, “ecco il passaggio che la società deve fare: togliere le parole disabilità, integrazione, inclusione. Pensare e guardare alle abilità, quelle di ognuno secondo le sue capacità.”

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