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L’INVECCHIAMENTO DELLE PERSONE CON SINDROME DI DOWN IN ITALIA

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L’INVECCHIAMENTO DELLE PERSONE CON SINDROME DI DOWN IN ITALIA

“Le persone con Sindrome di Down in Italia oggi, al contrario di quanto accadeva sino a 20 anni fa, invecchiano, e cioè passano i 45 anni, e come tutti gli italiani diventano anziani. Siamo pronti ad affrontare l’oggi e il futuro di questi nuovi anziani?” Questa è la domanda alla base del Progetto nazionale DOSAGE (Functioning and disability of AGEing people with DOwn Syndrome), finanziato dalla Fondazione Jerome Lejeune di Parigi e coordinato dalla SOSD Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico Carlo Besta in collaborazione con ANFFAS e AIPD.

“Nella ricerca, nella clinica e nella politica servono interventi e lavori seri e concreti per le persone con sindrome di Down, interventi che considerino veramente tutti gli elementi che causano disabilità nell’invecchiamento. Per questo abbiamo sviluppato il progetto e ne presentiamo, in questo convegno nazionale, i risultati di due anni di lavoro” dice la dott.ssa Matilde Leonardi, coordinatrice del progetto. I risultati di questa ricerca offrono dati utili alla politica, alle organizzazioni socio-sanitarie ed alle associazioni perché serve un’etica della cura personalizzata e basata sulle reali necessità delle persone con Sindrome di Down, SdD, anziane.

“Il convegno DOSAGE”, spiega la dott.ssa Leonardi, “considera sia le persone con SdD che entrano nella vecchiaia con disabilità, sia i genitori e i caregiver che invecchiando diventano persone con disabilità. I dati clinici, dalla presenza di demenza alla aumentata sordità, sono dati abbastanza risaputi e diversi esperti ne presenteranno le caratteristiche. Quello che non era noto, e che DOSAGE ha evidenziato, è la necessità di ripensare le politiche per progettare un invecchiamento “sano” e “attivo”, tanto di moda nel dibattito su active ageing della popolazione, anche delle persone con SdD. I dati raccolti in tutta Italia ci sembrano molto attuali, visto anche il dibattito parlamentare sulla legge sul Dopo di Noi”

ALCUNI DATI – In Italia ogni 1.200 neonati, uno ha la SdD e non si hanno stime di quanti non nascono perché vittime di aborto. Nel corso degli ultimi anni, l’allungamento dell’aspettativa ed il miglioramento della qualità di vita hanno portato a un aumento della popolazione anziana anche con la SdD. In Italia, la stima di persone con SdD nel 2007 era di 48.000 persone, di cui 10.500 tra 0 e 14 anni, 32.000 tra i 15 e i 44 anni, e 5.500 oltre i 44 anni.

DOSAGE – “Il nostro lavoro ha fotografato la vita di 136 persone con SdD tra i 45 e i 67 anni, presenti in 15 Regioni Italiane, rilevando in che modo la loro condizione di salute e disabilità responsabile delle fasi di ricerca sul territorio italiano: “I risultati parlano di anziani con SdD che vivono per lo più a casa, con i propri familiari e frequentano centri diurni. Molti di loro a un certo punto della loro vita sono stati costretti a cambiare residenza o perché è mancato il genitore oppure perché le persone che si occupavano di loro non sono stati più in grado di farlo, per anzianità o malattia. La metà del campione, inoltre, non possiede alcun titolo di studio e non ha mai lavorato, aspetti che impattano direttamente sul loro grado di autonomia e sulle attività quotidiana che possono svolgere (dal prendersi cura di sé o degli altri, al poter svolgere attività complesse).

Dalle interviste fatte con ANFFAS e AIPD emerge che la rete di cura e presa in carico che li circonda è in genere organizzata, soprattutto sotto forma di centri diurni in cui molti di loro passano la giornata, e offre una quotidianità strutturata. Una preoccupazione costante emersa in tutte le Regioni è quella di poterla garantire nel tempo. I dati infatti richiamano l’attenzione sull’importanza di costruire il futuro delle persone con SdD insieme a loro, e non solo con i caregiver, cercando, laddove possibile, di parlare di “dopo di noi” a partire da un “durante noi”. Non è solo un intento organizzativo, significa soprattutto tenere conto dei diritti delle persone e dell’impatto psicologico che può avere un ‘semplice’ cambio di residenza. È un aspetto da non sottovalutare.”

“Sono dati importanti” afferma il Presidente di ANFFAS Onlus, Roberto Speziale “che ci invitano a riflettere ancora una volta sull’importanza di attuare progetti individualizzati nel durante noi, puntando al raggiungimento del massimo livello di autonomia possibile, al fine di garantire un dopo di noi, tema attualmente molto discusso e, ricordo, oggi di rilevanza nazionale, che garantisca la migliore qualità di vita in chiave inclusiva”.

Inoltre, afferma la Coordinatrice nazionale AIPD, Dott.ssa Anna Contardi “è evidente la differenza tra le persone con SdD oggi anziane, ma cresciute in anni di esclusione sociale, e i giovani con Sindrome di Down cresciuti in un sistema inclusivo sia per l’istruzione che per l’inserimento lavorativo. Tra qualche annoi dati raccolti sui nostri futuri “anziani” saranno ben diversi”.

L’Istituto neurologico Besta conta di estendere sia in Italia che all’estero questa ricerca poiché i dati raccolti permettono di avviare una riflessione basata sul sull’evidenza su quali siano le politiche per l’invecchiamento delle persone con disabilità in generale.

Una sintesi dei risultati del progetto sarà disponibile a breve

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