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SCUOLA, PRIMO PASSO VERSO LA RIFORMA

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SCUOLA, PRIMO PASSO VERSO LA RIFORMA

Fonte www.superabile.it La “Buona scuola” cambia e trasforma l’insegnante di sostegno. O almeno, promette di farlo, attraverso la delega al governo prevista nell’articolo 23 del ddl appena approvato.

In pratica, entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi provvederanno al “riordino, la semplificazione e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione”. E tra i “criteri direttivi” cui il governo dovrà attenersi, c’è la “promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”.

L’annunciata “riforma del sostegno” già accende il dibattito tra chi saluta con fiducia il promesso cambiamento, considerandolo necessario. E chi teme che, invece, il domani possa essere peggiore dell’oggi. Dubbi in tal senso hanno trovato posto in questi giorni anche sulle pagine dei principali quotidiani nazionali.

Un esempio, l’intervento di Adriano Sofri, che su Repubblica ha messo a fuoco una delle misure “non scritte”, ma forse pensate, dal governo: la “condanna” dell’insegnante di sostegno a restare tale per tutta la vita. E’ questa, infatti, una delle richieste contenute nella proposta di legge di Fish* e Fand, che il governo ha in parte ripreso nel ddl sulla scuola.

La cosiddetta “separazione delle carriere” è espressamente invocata dalla Fish nel suo testo, mentre – va precisato – nessun riferimento esplicito è contenuto nel ddl approvato, che affida la materia, appunto, al governo. Esiste quindi, per ora, solo la possibilità che un decreto legislativo accolga effettivamente questa proposta. Proposta che, intanto, divide.

Da un parte la Fish, che tramite il presidente Vincenzo Falabella, aveva così illustrato a Redattore sociale uno dei cardini della sua “Proposta di legge per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica”: “innanzitutto, l’istituzione di ruoli per il sostegno e quindi di una laurea dedicata: in questo modo, fa sostegno chi ha la vocazione a farlo, mentre attualmente questa posizione è spesso usata come tramite per diventare insegnanti curriculari”.

Posizione confermata dall’avvocato Salvatore Nocera, proprio nei giorni in cui montava la protesta contro il ddl ancora in discussione: “abbiamo trovato nel ddl importanti riferimenti ai principi fondamentali della nostra proposta: maggiore formazione per i docenti di sostegno e per i futuri docenti curriculari separazione delle carriere: questo ci garantirebbe una maggiore continuità e autonomia delle scuole”.

Critico, invece, Sofri su Repubblica, proprio su quest’idea dell’insegnante di sostegno “a vita” che, come titola il suo articolo, rischia di diventare “professore di serie B”. Sofri non cita la Fish, ma fa riferimento alla “proposta di legge firmata con altri dal sottosegretario Faraone e sostenuta da alcune associazioni”.

Una proposta che, tra l’altro, “mira a separare gli insegnanti di sostegno da quelli delle materie. Faraone ritiene che il sostegno venga spesso usato come una scorciatoia per entrare in ruolo e poi passare alla propria materia: dunque andrebbero forzati fin dall’inizio a una scelta irreversibile”. Ma Sofri avanza qualche dubbio, facendosi portavoce di quella preoccupazione che, riferisce, è diffusa tra genitori, insegnanti e pedagogisti: “E se l’insegnante di sostegno scopre di non farcela – obietta Sofri -, di mancare di idee e stimoli, è meglio che possa cambiare, passando alla sua materia, piuttosto che restare nel sostegno per obbligo normativo. In realtà già oggi il passaggio si può fare solo dopo 5 anni di ruolo nel sostegno.

Piuttosto, le ragioni per cui i ragazzi cambiano spesso l’insegnante di sostegno sono i ritardi burocratici, la precarietà e i tagli: l’organico di sostegno è inadeguato, e quando, a stagione avanzata, arrivano dei precari (che non vuol dire affatto meno capaci) estratti dal fondo della graduatoria, l’anno dopo non riusciranno a tornare”.

Perché, quindi, condannare “a vita” gli insegnanti di sostegno, impedendo loro di passare ad altri ruoli, nel momento in cui ne sentissero la necessità e la motivazione?

Obiezioni respinte però puntualmente proprio da Fish, che oggi ribatte la propria posizione in una nota, confermando, di fatto, la necessità e l’urgenza di una “riforma del sostegno”, così come tratteggiata nella sua proposta di legge. “L’esigenza di una riforma del ruolo e delle competenze dell’insegnante di sostegno parte proprio ‘dal basso’ – ricorda Fish – dai primi portatori di interessi, dall’intenzione di garantire innanzitutto il miglior diritto allo studio delle persone con disabilità”. La riforma, però, va letta alla luce del ruolo dell’insegnante di sostegno, su cui permane un forte malinteso: e Fish coglie l’occasione per ricordare che “non deve avere un ruolo di assistente alla persona, ma di facilitatore. E questo ruolo – chiarisce Fish, rispondendo a Sofri – impone alcuni presupposti”, tra cui una “specifica formazione in pedagogia speciale. Il sostegno adeguato lo si garantisce non con le inclinazioni personali o con una innata sensibilità, ma con specifiche competenze”.

Di qui, il ragionamento continua: se si riconosce che l’insegnante di sostegno debba avere ruolo, mansione e competenze precise, allora “non si comprende quindi perché qualunque disciplina non sia intercambiabile, il sostegno sì – osserva Fish – Ecco la discriminazione: la marginalità. Tutte le discipline sono intoccabili, ma tutti, al contempo, possono – nel regime attuale – gestire il sostegno. Nella realtà dei fatti la situazione assume connotazioni assai gravi di rinnovata marginalizzazione e confinamento”.

Confinamento che spesso si traduce in “classi di sostegno – riferisce Fish -:5 a 7 alunni con disabilità con 1 – 2 insegnanti di sostegno. Un ghetto illegale!”.

Ben venga poi, secondo Fish, una riforma che impedisca a “insegnanti senza alcuna formazione” di votarsi al sostegno solo “per maturare punteggio nella propria classe di concorso (cosa consentita solo in questo caso), col risultato di dare scarse risposte all’alunno con disabilità e di praticare concorrenza sleale ad altri precari che non scelgono questa scorciatoia.

Avere il coraggio di denunciare questo fenomeno – lo sapevamo – infastidisce interessi consolidati e visioni corporative che hanno poco a che vedere con il diritto allo studio e la qualità dell’educazione.

Per questi motivi – conclude Fish – riteniamo benvenuti i tentativi di sanare queste distorsioni, di garantire ai nostri figli una prospettiva diversa da quella del parcheggio in corridoio assieme al bidello”.

Se il governo saprà davvero “sanare” e “garantire” tutto questo, potranno dirlo solo i decreti legislativi che verranno nei prossimi 18 mesi.

*Cui Anffas Onlus aderisce

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