vita.it – Un emendamento presentato dalla relatrice e sostenuto da Vita e Anffas, disegna strumenti assicurativi dedicati al dopo di noi, per la destinazione vincolata del patrimonio a sostegno del progetto di vita per il dopo di noi. Roberto Speziale, presidente di Anffas, ne spiega le ragioni
La relatrice per la legge sul dopo di noi, Anna Maria Parente, ha presentato un emendamento all’articolo 5 per ampliare le agevolazioni tributarie previste per le assicurazioni in favore di persone con disabilità. Le agevolazioni maggiori vanno insieme a un maggior rigore dei prodotti, disegnati ad hoc per il dopo di noi. Si tratta di un emendamento nato anche dal confronto della senatrice con Vita e Anffas Onlus, la più grande Associazione Nazionale di famiglie di disabili intellettivi e relazionali, ed anche una delle più grandi l’Europa, con 14mila famiglie associate distribuite in 180 Associazioni locali sparse in tutta Italia.
Presidente Speziale, perché avete sostenuto questo emendamento?
Rispetto all’originaria versione del testo dell’articolo 5, così come approvato dalla Camera, si tratta di un passo avanti. La versione attuale, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, rendeva improbabile che il vantaggio fiscale potesse indurre i genitori a scegliere di costruire il dopo di noi dei propri figli attraverso uno strumento di tipo assicurativo, perché il vantaggio fiscale era esiguo. Questo nuovo testo invece, estendendo la deduzione a un importo che supera i 5mila euro, diventa davvero un incentivo per questa formula, che noi riteniamo utile.
Perché, concretamente, è uno strumento che giudica utile? Qual è l’esigenza delle famiglie?
La famiglia, tramite i propri risparmi, garantirebbe alla persona con disabilità una rendita vitalizia, in rate mensili o trimestrali, che le consentirebbe di avere risorsa propria per avere la possibilità di decidere come e dove vivere, per costruire lei stessa il proprio progetto di vita indipendente: una quota personale che garantisce una personalizzazione ulteriore dei servizi. Ovviamente questo senza far venire mai il sostegno dello Stato, si tratta di una integrazione da parte delle famiglie, integrativa e non sostitutiva. La disabilità per noi è un tema sociale e non privato, ma all’interno di nuovi modelli di welfare che prevedono la partecipazione diretta delle famiglie, questa modalità è una modalità interessante. Le famiglie, tramite la rendita vincolata, avrebbero la certezza di dare ai propri risparmi un vincolo di destinazione per la persona con disabilità, una garanzia che le risorse proprie messe a disposizione della famiglia vadano nell’interesse del beneficiario.
Una prima critica, già evidenziata ai tempi dell’esame alla Camera della proposta di legge, è che in questo modo si faccia un favore alle assicurazioni…
Non è così. Come associazione tutto faremmo tranne che dare parere favorevole a un’iniziativa dove avessimo il minimo sospetto che ci sia un interesse esclusivo delle assicurazioni. Diverse compagnie stanno costruendo prodotti etici, che non siano finalizzati a fare lucro ma che siano davvero strumenti di protezione per la destinazione del patrimonio. Le dico però che sì, avevamo proposto anche un vincolo di destinazione ulteriore, ovvero che quella rendita non corrisposta per premorienza del beneficiario non venisse vanificata ma andasse nel Fondo per il Dopo di Noi: sarebbe l’ideale, perché quella risorsa verrebbe rimessa in circolo per altre persone.
Un’altra critica possibile è quella che evidenzia come una parte importante del Fondo da 90 milioni di euro vada a coprire le minori entrate per queste agevolazioni, lasciando poco per i progetti e i servizi intesi come interventi sulla casa, ristrutturazioni ecc. Cosa risponde?
Se si legge bene il testo, si vede chiaramente che si parla di 35,7 milioni di euro, una cifra identica a quella già oggi prevista all’art 5: con questo emendamento quindi non c’è un maggior impatto. Quindi direi che oggi, con l’articolo 5 attuale, abbiamo una soluzione poco produttiva, poco utile, mentre se passasse questo emendamento con un impatto economico uguale all’attuale avremmo uno strumento più vantaggioso
superando.it – Convocato in audizione al Senato, in relazione ai Disegni di Legge sul cosiddetto “Dopo di Noi”, l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ha fornito una stima della platea dei potenziali destinatari, presenti e futuri, della normativa in discussione, offrendo un quadro del sistema dei servizi sociali rivolti alle persone con disabilità sulla base delle ultime rilevazioni disponibili. E quanto riferito dall’Istituto risulta di particolare interesse, a partire dalla stessa difficoltà a individuare correttamente i beneficiari di quei Disegni di Legge
Il 5 aprile scorso l’ISTAT è stato convocato in audizione dall’XI Commissione del Senato (Lavoro, Previdenza Sociale), in relazione all’esame di due Disegni di Legge (n. 2232 e n. 292) che prevedono disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (il cosiddetto “Dopo di Noi”).
Ebbene, nell’audizione del presidente dell’ISTAT Giorgio Alleva e nella successiva nota integrativa, i cui testi sono stati resi disponibili dall’Istituto Nazionale di Statistica, si fornisce una stima della platea dei potenziali destinatari, presenti e futuri, della norma in discussione, e si offre un quadro del sistema dei servizi sociali rivolti alle persone con disabilità sulla base delle ultime rilevazioni disponibili.
Le indicazioni dell’ISTAT sono particolarmente rilevanti poiché dovrebbero costituire per la Commissione un’indicazione sul possibile impatto della norma e sull’adeguatezza delle risorse destinate al provvedimento.
Come già evidenziato nel corso della precedente audizione dell’ISTAT alla XII Commissione della Camera (ottobre 2014), la prima difficoltà che si incontra, da un punto di vista informativo, riguarda la possibilità di quantificare in modo sufficientemente preciso i beneficiari, che i Disegni di Legge individuano nelle «persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di sostenere le responsabilità della loro assistenza».
Lo stato di disabilità grave assunto a riferimento è infatti quello previsto dall’articolo 3, comma 3, della Legge 104/92 e tuttavia, ad oggi, i dati di fonte amministrativa (ASL e INPS) non permettono di conoscere, come denuncia lo stesso ISTAT, l’ammontare delle persone certificate in base a tale norma. Né tale dato può essere desunto dalle indagini ISTAT, che utilizzano una definizione di disabilità diversa da quella adottata nella Legge 104/92.
Pertanto l’Istituto risponde in audizione usando, per approssimazione, le informazioni ad oggi disponibili provenienti da altre rilevazioni, ovvero da una parte il numero dei percettori di indennità di accompagnamento desunti dal casellario INPS, nell’ipotesi che vi sia una coincidenza fra i requisiti sanitari previsti per la concessione di quella provvidenza e la definizione di handicap grave ex lege 104/92. E dall’altra parte le condizioni di vita delle persone con limitazioni funzionali gravi che vivono in famiglia, come risultano dall’indagine ISTAT sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari (ultima edizione: 2012-2013).
Per identificare la platea dei beneficiari, l’ISTAT formula due ipotesi: che la gran parte delle disabilità gravi riferibili alla popolazione di 65 anni e oltre sia determinata dal naturale invecchiamento o da patologie ad esso connesse, e che i genitori di oltre 65 anni siano quelli che vivono le maggiori difficoltà nel sostenere le responsabilità di cura e assistenza dei loro figli con disabilità grave.
A partire da queste due ipotesi, la popolazione dei potenziali destinatari è stata circoscritta ai percettori di indennità di accompagnamento di età inferiore ai 65 anni (circa 540.000 persone) e poiché tale collettivo risulta ben approssimato dall’indagine ISTAT sulle condizioni di salute – sia per numerosità che per distribuzione territoriale – sono state considerate le stime elaborate dall’Istituto relativamente alla situazione familiare delle persone con limitazioni funzionali gravi della stessa fascia di età.
Immediatamente interessate dalle norme in discussione al Senato sarebbero dunque 127.000 persone con disabilità grave sotto i 65 anni, che abbiano perso entrambi i genitori e vivano da sole (38.000) o che vivano con genitori anziani (89.000). A queste l’ISTAT aggiunge – sulla base di calcoli che tengono conto della speranza di vita – una stima di coloro che nell’arco dei prossimi cinque anni entreranno a far parte della platea dei potenziali beneficiari perché perderanno tutti i familiari, ossia ulteriori 12.600 persone. Di queste il 63% è attualmente mantenuto economicamente dalla famiglia e il 50% dichiara di avere risorse economiche scarse o insufficienti.
Nel computo non sono comprese le persone che attualmente sono già istituzionalizzate e per le quali il Disegno di Legge n. 2232 prevede di «favorire percorsi di de istituzionalizzazione».
Stanti tali numeri, dunque, sarebbe opportuno riflettere sulla congruità delle risorse afferenti al Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, fissate – per la realizzazione dei servizi sui territori – a 90 milioni di euro per il 2016, 38,3 milioni di euro per il 2017 e 56,1 milioni di euro a decorrere dal 2018 (articolo 3, comma 1, del Disegno di Legge n. 2232). Ossia, in media, circa 400 euro annue a persona per il cosiddetto “Dopo di Noi” (sempre escluse quelle già “istituzionalizzate”).
È opportuno ricordare, a tal proposito, che la riduzione del Fondo, per un importo pari a 51,7 milioni di euro per l’anno 2017 e a 33,9 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, è motivata dalla necessità di coprire le minori entrate derivanti dalla detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave e da quelle derivanti dalle esenzioni e agevolazioni tributarie connesse all’istituzione di trust a favore di persone con disabilità grave (articoli 5 e 6 del Disegno di Legge n. 2232) [il trust è un istituto giuridico mutuato dall’ordinamento anglosassone, con cui una o più persone, i “disponenti”, trasferiscono beni e diritti sotto la disponibilità del “trustee”, un tutore, che assume l’obbligo di amministrarli nell’interesse di un beneficiario, in questo caso la persona con disabilità, N.d.R.].
A questo punto i dubbi sulla congruità di un importo di 400 euro annui a persona per la realizzazione di servizi e interventi rivolti al “Dopo di Noi” si innestano in uno scenario in cui l’ISTAT – sulla base di dati ancora provvisori – registra per il 2013 un’ulteriore riduzione della spesa sociale dei Comuni singoli e associati, pari al -2,7% rispetto al 2012 e al -4% rispetto al 2010, l’anno in cui si era toccato il massimo di spesa dall’inizio della rilevazione (2003). Riduzione che sembrerebbe investire, per la prima volta, anche la quota di spesa sociale comunale rivolta alla disabilità.
Guardando dentro alle singole tipologie di servizi, l’ISTAT ci ricorda che nel 2012 i Comuni hanno speso oltre 142 milioni di euro per l’assistenza domiciliare socio-assistenziale rivolta alle persone con disabilità, per un importo di 3.666 euro ad utente, cui si aggiunge una compartecipazione media delle famiglie pari a 76 euro e del Servizio Sanitario Nazionale di 104 euro. Per l’assistenza domiciliare integrata con i servizi sanitari (ADI), i Comuni hanno speso circa 24,5 milioni di euro, pari a 2.300 euro ad utente con disabilità, cui si aggiunge la quota di compartecipazione delle famiglie e del Servizio Sanitario Nazionale per una media rispettivamente di 48 e 621 euro l’anno.
Per quanto concerne invece i dati sulle strutture residenziali, nel 2013 i posti letto rivolti alle persone con disabilità risultano 32.330, nel 94% dei casi collocati in strutture di tipo comunitario, che non riproducono le condizioni di vita familiari. Nello stesso anno si registrano 49.536 ospiti tra i 18 e i 64 anni con disabilità e patologie psichiatriche e 2.658 minori con disabilità e disturbi mentali dell’età evolutiva.
Non disponiamo di informazioni circa le ragioni dell’istituzionalizzazione, né sulle condizioni di vita e la situazione familiare degli utenti di tali strutture, ma sono senz’altro auspicabili anche per loro percorsi di deistituzionalizzazione e di ritorno nelle comunità di appartenenza. Ed è altrettanto ipotizzabile che una parte degli attuali ospiti possa vivere una condizione di gravità e di assenza del sostegno familiare, incrementando la platea dei potenziali beneficiari individuata dall’ISTAT.
e-include.eu – Ogni persona ha il diritto di scegliere dove e con chi vivere e di essere inclusa nella comunità. Eppure, quasi 1,2 milioni di persone in tutta Europa sono privati di questo diritto umano fondamentale e ancora vivono in istituti, nascosti dal resto della società. Far vivere le persone in istituti è una violazione dei diritti umani. I residenti di una istituzione non hanno alcuna privacy o spazio personale. Non hanno la libertà di fare scelte personali, come ad esempio quando e cosa mangiare, quando andare a dormire o con cui trascorrere il proprio tempo.
La deistituzionalizzazione è un passo necessario nella lotta contro la segregazione delle persone con disabilità, ma è solo il primo passo per garantire la loro inclusione nella comunità. Una transizione efficace dall’assistenza istituzionale all’assistenza basata sulla comunità è di fondamentale importanza per garantire una vita indipendente. Ciò dovrebbe includere la revisione della normativa che priva le persone con disabilità dal loro capacità giuridica e li pone sotto tutela. Le persone con disabilità soffrono l’impatto dell’istituzionalizzazione per tutta la vita, le persone che sono state rinchiuse in istituti hanno bisogno di un sostegno adeguato, servizi e reali opportunità di vivere la loro vita in modo indipendente. Tuttavia, la vita indipendente non è possibile senza un riconoscimento davanti alla legge sulla base dell’eguaglianza e della parità di diritti.
Lo scorso Martedì a Ginevra, come parte della 15 ° sessione, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha organizzato una Giornata di Dibattito Generale sull’articolo 19, della Convenzione: il diritto di vivere in modo indipendente ed essere inclusi nella comunità. L’obiettivo di questo evento, che ha riunito esperti del mondo accademico e della società civile, è stato quello di discutere le mancanze nell’attuazione della vita indipendente e l’inclusione nella comunità e di scambio sugli standard per la vita indipendente. La discussione cercherà di aiutare i membri del comitato per lo sviluppo di un commento generale sull’articolo 19.
Inclusion Europe opera per l’inclusione di tutte le persone con disabilità nella comunità. E ‘solo attraverso lo sviluppo di alternative basate sulla comunità che si può rispondere alle esigenze e ai desideri di ogni individuo che siano in grado di garantire una vita indipendente per tutti.
Senada Halilčević, Presidente della Piattaforma europea di auto-rappresentanti (EPSA) e vice-presidente di Inclusion Europe, è stata invitata dal Comitato CRPD a prendere parte alla discussione a proposito della deistituzionalizzazione e del servizio basato sulla comunità. Come una sopravvissutoa alla istituzionalizzazione, ha riportato le sue maggiori preoccupazioni sull’attuazione dell’articolo 19 della Convenzione, a sostegno per le pari opportunità per le persone con disabilità intellettive.
“L’istruzione e l’occupazione sono fondamentali per vivere in modo indipendente. Dovremmo tutti chiedere che il CRPD vengo implementato in tutti i paesi. Le leggi esistenti devono cambiare per rispettare la CRPD“, ha detto Senada Halilčević nel richiedere azioni urgenti necessarie per garantire una vita indipendente. Avere un lavoro è un passo fondamentale verso la vita indipendente. Alla maggior parte delle persone con disabilità che hanno vissuto in istituti è stato negato l’accesso all’istruzione o hanno ricevuto una formazione inadeguata nelle scuole speciali, impedendo loro di ottenere qualifiche per trovare un lavoro. Senada ha sottolineato, “Scuole speciali insegnano principalmente professioni che non rispecchiano le esigenze del mercato del lavoro. Le scuole speciali separano le persone con disabilità dai loro coetanei con pochissime opportunità di crescita personale e l’indipendenza nella vita futura.”
Evidenziando la prospettiva e le esperienze delle persone con disabilità intellettive, Senada Halilčević ricorda che nessuno dovrebbe essere lasciato indietro sulla strada verso la piena indipendenza. Alle persone con esigenze complesse e gravi disabilità dovrebbero essere offerte le stesse opportunità. I servizi di supporto dovrebbero responsabilizzare le persone con disabilità intellettive e dare loro la libertà di esprimere le proprie opinioni e desideri. Nessuno può essere veramente indipendente quando gli viene impedito di prendere le proprie decisioni, gli viene negato l’accesso ai servizi pubblici regolari, e non può gestire il proprio denaro o avere un lavoro.
La sua testimonianza mette in luce perfettamente l’importanza di un’autentica transizione dall’assistenza istituzionale all’assistenza basata sulla comunità: “Molte persone con disabilità intellettive ancora dipendono da istituzioni, servizi di supporto e genitori. Auto-rappresentanti lamentano del fatto che i servizi di supporto e il personale hanno ancora molto controllo su di loro. Spesso non rispettano opinioni e desideri auto-rappresentanti. Questo perché i vecchi modi di pensare, comuni per le istituzioni, sono ancora presenti in servizi di supporto. Sebbene il processo di trasformazione delle istituzioni in servizi di supporto per vivere nella comunità è un passo positivo in avanti, dobbiamo essere molto attenti. Invece di grandi istituzioni, potremmo finire con migliaia di “bed & breakfast” piccoli nella comunità dove la gente ancora non hanno la libertà di fare scelte “.
Infine, Senada Halilčević ha sottolineato che le persone con disabilità dovrebbero essere coinvolte attivamente nella pianificazione, attuazione e monitoraggio dei progetti di deistituzionalizzazione e nella pianificazione dei servizi basati sulla comunità al fine di promuovere un cambiamento significativo: “Dobbiamo anche essere quelli che partecipano al processo politico attivamente nelle nostre comunità, in modo che possiamo essere la generazione che lascia la possibilità di altre generazioni a vivere in modo indipendente “.
Potete leggere la testimonianza piena di Senada Halilčević qui.
LEDHA.IT – La vicenda, ormai, è nota. Una classe di terza media di una scuola di Legnano (Va) si sta preparando alla gita scolastica. Ma i ragazzi non vogliono che una loro compagna di classe, affetta da autismo, partecipi alla gita con loro: nessuna delle compagne, infatti, la vuole come compagna di stanza. E così gli insegnanti chiedono ai genitori di tenere a casa la figlia durante i giorni della gita. Scoppia la polemica, prima sui giornali locali, poi su media nazionali. Infine interviene il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che sospende la visita d’istruzione per tutti.
In questi giorni quotidiani, radio e tv hanno dato spazio a tutte le voci: è stata data la parola agli insegnanti, ai genitori della studentessa esclusa, all’esperto che difende le ragioni della ragazza con disabilità e – infine – a un avvocato che ha difeso le ragioni dei ragazzi. Ineccepibile, da un punto di vista giornalistico.
Ma.
Ma se al posto di un gruppo di ragazzi preoccupati di passare una notte nella stessa camera con una compagna con autismo ci fossimo trovati davanti a un gruppo di ragazzi preoccupati di passare una notte nella stessa camera con un compagno:
– straniero, “perché siamo a disagio, è diverso da noi, non siamo preparati”;
– omosessuale, “perché potrebbe cercare di baciarci, non siamo preparati”;
– femmina, “perché potrebbe turbare i maschi, non siamo preparati”.
Ecco se al posto di una bambina discriminata a causa della sua disabilità si fosse trattata di una bambina discriminata a causa della sua nazionalità, genere o orientamento sessuale le reazioni e la gestione da parte dei media sarebbero state le stesse?
L’avvocato che ha diffuso la lettera dei genitori parla di semplici “problemi di comunicazione” tra la scuola e la famiglia della ragazza. Avrebbe usato gli stessi argomenti se la vittima fosse stata una ragazza omosessuale o di origine straniera?
Avremmo avuto la stessa “comprensione”, non tanto per i ragazzi, ma per i loro pensieri e timori sulla disabilità che riflettono inevitabilmente quello degli adulti che li circondano?
Perché possiamo comprendere l’errore dei ragazzi. Quello che non possiamo accettare è che gli adulti non abbiano svolto il proprio ruolo di educatori: avrebbero dovuto rassicurare i ragazzi, aiutarli a superare i loro pre-giudizi. La scelta (a priori) di escludere la ragazza con autismo dalla gita di classe è stata la soluzione più rapida. Una soluzione che rende ancora evidente la discriminazione.
Una vicenda che provoca un danno gravissimo: rafforzare i pre-giudizi degli adolescenti nei confronti della loro compagna di classe.
Saremo idealisti e dei pericolosi visionari ma noi continuiamo il nostro impegno per costruire una società dove sia del tutto normale e ovvio che tutti i bambini e ragazzi con disabilità vadano in gita con i loro compagni (come del resto capita tutti i giorni nelle scuole italiane) e che mettere in dubbio questa possibilità fosse considerata semplicemente una assurdità. Come in effetti è.
Non c’è semplicemente nessuna buona ragione perché un ragazzo con disabilità non vada a scuola e anche in gita con i suoi compagni a causa della sua disabilità.
Punto e a capo.
Anche quest’anno Anffas-Onlus Corigliano, propone il concorso letterario abbinato alla Festa della Mamma.
L’argomento da sviluppare è incentrato sulla Inclusione Scolastica. Il tema di questa 10^ edizione del concorso è il seguente: “Inclusione, come arricchimento della Persona. Attraverso la tua personale esperienza, metti in evidenza quale risorsa e quale arricchimento rappresenta la disabilità per te e per il gruppo classe.”
Il Concorso è riservato agli studenti che frequentano attualmente la classe III^ degli Istituti secondari di I° grado e agli studenti del Triennio degli istituti secondario di II° grado di Corigliano e Rossano.
Il termine per la presentazione degli elaborati è stato fissato per il 2 maggio.
Gli elaborati possono essere recapitati personalmente o tramite posta presso la segreteria dell’associazione sita n via degli Iris nr 15 – Schiavonea.
Per ulteriori informazioni contattare la segreteria al nr 0983.854879 o email: segreteria@anffascorigliano.it.
La premiazione avverrà nel corso della manifestazione “Festa della Mamma 2016”.
Anffas Onlus Corigliano
Il corso, aperto ai soci anffas si tiene presso il maneggio sito in Fabrizio piccolo dell’A.S.D Corigliano Equitazione ogni lunedì da aprile a giugno ed è coordinato dal tecnico federale Tatiana Boscarelli.
Lo scopo è quello di stimolare la socializzazione, il rispetto, l’aggregazione e l’autostima e sul piano fisico sviluppare le proprie potenzialità residue per l’ottenimento di una maggiore autonomia psichica e fisica.
L’andare a cavallo richiede sforzo, sacrificio e costanza, un equilibrio tra mente e corpo, fonte di piacere ed appagamento, inoltre consente un forte recupero delle proprie esperienze percettive, l’utilizzo cosciente della memoria, dell’attenzione, della concentrazione, all’interno di uno spazio-tempo definito e chiaro. Oltre a canalizzare le proprie reazioni istintive si impara a dare risposte motorie e linguistiche adeguate, prendendo rapide decisioni e concentrandosi sul proprio corpo. Nei soggetti con problemi di disabilità, di svantaggio, o con problemi di comunicazione e relazionali, il cavallo, come mezzo sportivo e ricreativo, è un ottimo strumento di mediazione che facilita, oltre allo sviluppo motorio, l’apertura della comunicazione, la socializzazione, e di conseguenza apporta un miglioramento nella loro qualità della vita.
Anffas Onlus Corigliano
Prende il via ufficiale Anffas#Giovani: un innovativo progetto di Anffas Onlus – Associazione Nazionale Famiglie di Persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, pensato con l’obiettivo di coinvolgere i giovani, con e senza disabilità, nella vita associativa ed, in particolare, in iniziative volte a promuovere e garantire l’inclusione sociale delle persone con disabilità intellettiva e/o relazionale di tutte le età.
Il progetto prende spunto da un’iniziativa promossa da Anffas Onlus Salerno volta a coinvolgere giovani con e senza disabilità di età compresa tra i 16 e i 30 anni nella vita associativa e per questo è coordinato a livello nazionale dal giovane salernitano Alessandro Parisi, nipote di una persona con disabilità intellettiva e da tempo impegnato nella vita associativa e nel coinvolgimento di altri giovani alla “causa” della disabilità.
La presenza e il contributo di persone giovani alla vita associativa consente di affrontare le criticità che vivono le persone con disabilità da prospettive diverse e di declinare in maniera innovativa i percorsi di riflessione, sensibilizzazione e promozione, ma anche di concreta azione, nella direzione dell’inclusione sociale delle persone con disabilità intellettiva e/o relazionale.
Il progetto nazionale Anffas#Giovani mira a riverberare l’esperienza di Salerno in tutte le realtà associative con l’obiettivo di sensibilizzare e coinvolgere le persone giovani nell’affermazione dei diritti delle persone con disabilità.
La finalità è sperimentare modelli di comunicazione poco frequentati dalla generazione non digitale e favorire la crescita dell’empowerment comunitario, attivando gruppi locali ed una rete nazionale di giovani che si impegnino, in modo nuovo e con forme che loro stessi potranno definire, per l’inclusione sociale.
Il progetto Anffas#Giovani quindi, mira a raggiungere importanti traguardi attraverso la costruzione di una rete di giovani che divenga un’alleata della nostra Associazione nel promuovere la nostra importante mission, nella speranza di riuscire a scrivere, tutti insieme, una nuova e significativa pagina della storia di Anffas.
Le attività del progetto, che ha mosso i suoi primi passi nel luglio scorso e che è già attivo sul territorio nazionale con 21 gruppi locali, sono già state molte su diversi territori: convegni, sensibilizzazione nelle scuole, progetti contro il bullismo, attività di socializzazione, per il tempo libero e sportive, comunicazione tramite le nuove tecnologie solo per citarne alcune.
L’auspicio di Anffas e dei giovani che già aderiscono al progetto è, però, che la rete ed i gruppi crescano molto di più. Per questo l’associazione desidera invitare tutti i giovani che desiderano dare un contributo di qualità alla vita della propria comunità ed a quella delle persone con disabilità e delle loro famiglie a partecipare a questa importantissima iniziativa.
Per tenersi aggiornati sulle attività è possibile collegarsi alla pagina facebook https://www.facebook.com/AnffasGiovani-insieme-per-linclusione-sociale-1725382921032012/
o al sito Anffas nella sezione dedicata a questo link: http://www.anffas.net/Page.asp/id=680/anffas-giovani
Per avere maggiori informazioni ed entrare in contatto con i gruppi di giovani sul proprio territorio è possibile scrivere a anffas@giovani.net
oppure a segreteria@anffascorigliano.it.