Fonte www.superabile.it ROMA – Ritorna, ma solo temporaneamente, l’indennità prevista per le mansioni aggiuntive dei collaboratori scolastici. In parole più semplici, i bidelli incaricati di provvedere a servizi particolari, primo fra tutti l’igiene degli alunni disabili, continueranno – per il momento – a percepire la piccola somma riconosciuta dal contratto collettivo. Il Senato ha infatti approvato l’emendamento, che “mette una toppa alla falla che si era aperta con la sospensione decisa unilateralmente dal governo”, spiega Anna Maria Santoro, responsabile di Cgil-Flcgil. Decisione a cui il sindacato, di concerto con la Fish (Federazione italiana superamento handicap) aveva reagito proclamando uno sciopero del personale, che dal 21 febbraio si sarebbe astenuto da tali mansioni aggiuntive. In pratica, da 10 giorni a questa parte, l’igiene personale degli alunni disabili non spettava ufficialmente a nessuno, all’interno della scuola. Nei fatti, “ci sono scuole che hanno subito gravi disagi – spiega Santoro – altre che hanno trovato soluzioni diverse: alcuni collaboratori scolastici, per esempio, hanno dichiarato sciopero e hanno manifestato attraverso magliette che spiegavano la propria protesta. Ma poi, per coscienza, hanno continuato a prestare assistenza”.
Ora, la notizia che arriva dal Senato “mette fine allo scippo, visto che revoca la decisione relativa alla restituzione delle indennità pregresse, che ad alcuni lavoratori sarebbe costata fino a 9 mila euro. L’emendamento approvato non revoca però il blocco, ma si limita a rinviarlo al 1 settembre. E’ solo una toppa, insomma, peraltro a carico dei fondi della scuola. Bene quindi che si sia trovata una soluzione, male però per il carattere temporaneo e le modalità di reperimento dei fondi. Continueremo quindi a lavorare, perché questo istituto contrattuale sia definitivamente ripristinato e perché, insieme ad esso, sia ripristinata la formazione, che accompagnava il riconoscimento economico. Con la sospensione dell’indennità, infatti, si sospende anche il mini corso previsto per il personale incaricato dell’igiene degli alunni disabili. Formazione invece necessaria per garantire a questi alunni l’attenzione di cui hanno bisogno”.
Fonte www.superando.it – Sembra ormai che quasi tutti i Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) italiani stiano pronunciando Sentenze sull’aumento delle ore di sostegno, usando letteralmente il meccanismo del “copia e incolla”, rispetto alle motivazioni di precedenti pronunciamenti, a riprova che ormai si tratta di una giurisprudenza ultraconsolidata.
Ben lo testimoniano anche le due recenti Sentenze 484/14 e 488/14, depositate il 14 febbraio scorso dalla Sezione Staccata di Catania del TAR della Sicilia, che hanno rispettivamente assegnato 22 ore per un alunno di scuola primaria e 18 per uno di scuola secondaria, certificati con disabilità grave.
Questa l’identica motivazione adottata: «Nella specie, l’amm.ne scolastica non ha tenuto conto della esigenza di garantire opportune ed adeguate misure di sostegno volte ad assicurare l’effettività dell’inserimento nel percorso scolastico frequentato, avendo assegnato al figlio dei ricorrenti un insegnante di sostegno per un numero di ore settimanali inferiore a quello necessario come per altro previsto originariamente dalla stessa istituzione scolastica».
Ovviamente, alla soccombenza, è seguita anche la condanna alla rifusione delle spese. Va detto innanzitutto che le due Sentenze si sono limitate a rendere valida la pronuncia solo per l’anno scolastico 2013-14, senza per nulla accennare all’eventualità di una possibile ulteriore validità – nel caso non migliorino le condizioni di disabilità degli alunni -, come affermato ad esempio da altri TAR (Sentenza 1850/13 del TAR di Palermo).
Inoltre, questi due provvedimenti sembrano contraddittori, laddove rigettano la domanda di risarcimento dei danni, «per mancanza dell’essenziale presupposto della colpa dell’amministrazione scolastica, attesa la carenza di risorse finanziarie e di personale derivanti dalle misure di c.d. spending review adottate dal Governo in ogni settore dell’attività amministrativa».
Infatti, la contraddizione – come già rilevato anche su questo giornale – sta nel fatto che poco sopra si richiamano le motivazioni della Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, scrivendo che con quest’ultima, «la Corte costituzionale ha affermato la natura incomprimibile – rispetto a contingenti esigenze della finanza pubblica – del diritto fondamentale del soggetto disabile a fruire di un percorso scolastico effettivo ed ha espressamente circoscritto lo spazio della discrezionalità legislativa in materia entro limiti tali da non interferire con la garanzia del richiamato diritto fondamentale, escludendo in tal modo che quest’ultimo possa qualificarsi come diritto finanziariamente condizionato».
Dove invece le due Sentenze sono ineccepibili, è nell’attribuire al sostegno il valore dell’unica risorsa valida per l’inclusione scolastica. Ineccepibili non tanto con riguardo alla normativa, quanto piuttosto alla mancata attuazione della stessa da parte del Ministero, che non riesce assolutamente a rendere operante la risorsa più importante per l’inclusione scolastica e cioè dei docenti curricolari preparati nelle didattiche inclusive.
Conseguentemente si determina una delega da parte di questi ultimi ai soli docenti per il sostegno, rispetto alla presa in carico dei singoli progetti inclusivi. Come si è quindi già ripetutamente scritto anche su queste stesse pagine, sino a quando il Ministero non dimostrerà che i docenti curricolari sono preparati sulle didattiche inclusive, i TAR continueranno a sentenziare sull’aumento delle ore di sostegno. Anzi, nel caso del Tribunale siciliano, le due Sentenze si limitano a un massimo di una cattedra completa, mentre altri TAR – come quello della Toscana – assegnano addirittura assegnano un numero di ore di sostegno pari a tutte le ore di frequenza e quindi, talora, anche fino a quaranta ore settimanali.
*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap cui Anffas Onlus aderisce).
Fonte www.nonprofitonline.it – Il Consiglio dei Ministri, lo scorso 28 febbraio, ha approvato un decreto legge contenente disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche. Questa normativa riguarda anche il nuovo tributo sui servizi indivisibili (Tasi) che sostituisce l’Imu, e quindi la questione delle esenzioni a favore degli enti non profit.
Ma vediamo prima i punti principali del decreto legge che riguardano da vicino gli enti non profit (elencati in modo completo sul sito www.governo.it):
TASI
Per consentire le detrazioni sulla prima casa di cui hanno beneficiato le famiglie italiane nel 2012 l’aliquota massima della Tasi (tributo sui servizi indivisibili) per l’anno 2014 per ciascuna tipologia di immobili può essere aumentata complessivamente fino ad un massimo dello 0,8 per mille complessivo. L’incremento può essere deliberato dai Comuni a condizione che il gettito relativo sia destinato a finanziare detrazioni o altre misure relative all’abitazione principale in modo tale che gli effetti sul carico dell’imposta Tasi siano equivalenti a quelli dell’Imu prima casa.
Modalità di pagamento
Il versamento della Tasi avviene mediante modello F24 e/o bollettino di conto corrente postale (per consentire all’Amministrazione finanziaria di disporre dei dati in tempo reale non è possibile utilizzare servizi elettronici di incasso e di pagamento interbancari e postali). Il Comune stabilisce le scadenze di pagamento della Tasi e della Tari (tassa sui rifiuti) prevedendo almeno due rate a scadenza semestrale. È consentito il pagamento in un’unica soluzione entro il 16 giugno di ciascun anno.
Immobili della Santa Sede
Sono esentati dal versamento della Tasi i fabbricati della Chiesa indicati nei Patti Lateranensi (si tratta di circa 25 immobili ubicati a Roma). (…)
Ma nel dettaglio, la nuova Tasi, chi dovrà effettivamente pagarla e chi no? In attesa della pubblicazione del decreto legge in Gazzetta Ufficiale, ecco alcune anticipazioni.
Repubblica.it spiega che nulla cambierà per gli immobili della Chiesa, che restano esenti dal pagamento della Tasi così come era per l’Imu. Nella bozza uscita dal Consiglio dei ministri di venerdì 28 febbraio, a cui faceva riferimento anche il comunicato di Palazzo Chigi che abbiamo riportato sopra, venivano menzionati solo i circa 25 immobili della Santa Sede (tra cui le Basiliche di San Paolo e Santa Maria Maggiore e il Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo) esentati grazie all’ex-territorialità garantita dai Patti Lateranensi. Invece nella bozza definitiva del decreto legge (di cui l’Agi dà conto) viene espressamente richiamata la norma applicata fin dal 1992 ai fini dell’Ici e poi dell’Imu. In pratica quindi, stando alla bozza definitiva del decreto, sugli immobili di proprietà della Santa Sede e delle Onlus il decreto legge prevede per la Tasi le stesse esenzioni dell’Imu.
Confermate le esenzioni sui fabbricati esclusivamente destinati all’esercizio del culto (purchè compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze) oltre che sui fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14,15 e 16 del Trattato lateranense sottoscritto l’11 febbraio 1929 e reso esecutivo con la legge 810 del 1929. Restano invece soggetti all’imposizione fiscale gli immobili della Chiesa destinati a usi commerciali.
Tra gli altri edifici esclusi dall’imposta, anche dopo il passaggio da Imu a Tasi: destinazione culturale (musei, biblioteche,…), fabbricati appartenenti a Stati esteri e organizzazioni internazionali, immobili delle associazioni no profit (escluse le sedi di partito).
Avvenire.it conferma che non saranno soggetti alla nuova tassa sui servizi comunali anche i fabbricati “destinati unicamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, sanitarie, didattiche, ricreative, ricettive, culturali”. Nel caso poi nello stesso immobile si svolgano attività diverse, l’esenzione si applica “ solo alla parte che viene utilizzata per lo svolgimento delle attività meritevoli con modalità non commerciali”.
Il versamento della Tasi quindi sarà condizionato alla verifica dell’effettivo utilizzo: si pagherà solo per le parti destinate ad attività commerciali, con l’eccezione dei partiti i cui edifici saranno comunque soggetti all’imposta.
Dopo la pubblicazione del decreto, Camera e Senato dovranno disegnare nei dettagli il nuovo prelievo in vista della prima scadenza, fissata al 16 giugno prossimo.
Per approfondire
Fonte www.disabili.com – Questione di fiducia: quella in un futuro con una tutela dal punto di vista affettivo ed economico. È quanto desiderano i genitori di una persona con disabilità quando arriva il momento di pensare al “dopo di noi”. Nel panorama delle possibili forme di protezione, da alcuni anni si sta affermando uno strumento che ha il suo punto di forza nella fiducia, indicata appunto con il suo corrispettivo inglese “trust”. Si tratta di una soluzione con cui si destinano beni a favore di una persona, costituendo un fondo che viene gestito da un soggetto fidato. Il patrimonio serve così a garantire assistenza alla persona da tutelare.
Il nome anglosassone rivela l’origine estera del trust, che l’Italia legittima dal 1992, anno in cui è entrata in vigore la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 sulla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento. Condizione essenziale è che siano italiani i soggetti compresi nel trust: chi lo dispone, il beneficiario, il trustee che amministra il patrimonio, e il guardiano che sorveglia le operazioni del trustee. Non sempre un trust coinvolge tutte queste figure, ma essenziale è comunque la presenza del trustee, come pure del patrimonio da destinare al beneficiario.
Questa osservazione dimostra come lo strumento sia flessibile e personalizzabile, in particolare adattandosi alle esigenze della persona da tutelare. Il trust si inserisce nell’ambito delle protezioni legali di soggetti deboli, che comprendono soluzioni in genere più note come l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno.
Il trust rappresenta un’alternativa, ma anche una forma di tutela complementare: alcune funzioni tipiche dei suoi soggetti, ad esempio, possono coinvolgere attivamente il tutore o l’amministratore di sostegno. Per avere un primo contatto con il trust, abbiamo preparato un apposito speciale, con informazioni utili a inquadrare questo strumento dal punto di vista legislativo e del suo funzionamento.
Nella pratica, poi, è necessario il consulto di un professionista, come un avvocato, un notaio, un commercialista: decidere di istituire un trust richiede una valutazione approfondita che tenga conto di elementi come il patrimonio disponibile, le persone da coinvolgere, le esigenze della persona da tutelare, ma anche gli aspetti prettamente burocratici e fiscali. Prospettive che variano di caso in caso, sempre però con la fiducia come cardine.
Per approfondire
Leggi la news sul convegno dedicato al Trust a cui hanno partecipato Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas Onlus, e Emilio Rota, presidente della Fondazione Nazionale “Dopo di Noi” Anffas Onlus
Fonte www.vita.it – Un’associazione non riconosciuta avente la qualifica di onlus può subentrare nella gestione di un’albergo ristorante? Quindi in forma più sintetica e brutale: può una onlus fare business?
La risposta, affermativa, è arrivata qualche giorno fa dal ministero dello Sviluppo Economico dopo una consulenza giuridica richiesta all’Agenzia delle Entrate lo scorso novembre. E lo ha fatto con la risoluzione 15452 i cui passaggi più significativi meritano di essere ripresi.
Scrive la Direzione Generale per il mercato del Mise: «Siamo dell’avviso che tutte le associazioni, sia riconosciute che non riconosciute, anche se avente la qualifica di onlus, possono svolgere attività commerciali finalizzate alla vendita o attività che si concretizza nella prestazione di servizi».
Il ministero ha poi precisato anche che «le entrate di tipo commerciale non dovrebbero essere prevalenti sul complesso delle entrate di una determinata annualità, per la perdita della qualifica di ente non commerciale».
In altri termini: una onlus (ong, cooperativa sociale, odv…) può svolgere attività commerciale a patto che questa sia ancellare rispetto alla mission dell’ente che deve rimanere sociale e non lucrativa.
Dal sito www.superabile.it Appena ricevuto l’incarico alle Politiche sociali individua una prima azione, “a costo zero”, da attuare subito: “No alle doppie visite e tempi di attesa dimezzati per i disabili”. E sul nuovo Isee: “Ascolterò le ragioni di chi protesta”
ROMA – “Darò tutta me stessa, ce la metterò tutta”. E per partire con il piede giusto individua una “cosa che può essere fatta subito e a costo zero”: il certificato unico per il riconoscimento dell’invalidità civile e dell’indennità di accompagnamento. Le prime parole di Franca Biondelli, nuovo sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, affrontano uno dei temi più delicati per le persone con disabilità: “Dobbiamo abbreviare i tempi, oggi ci vogliono 400 giorni per avere una cosa che è un diritto della persona”. Parla chiaro, la deputata del Pd: “Oggi una persona fa in tempo a morire prima di vedersi riconosciuto un diritto, occorre rendere le cose più facili, dobbiamo almeno dimezzare i tempi”. Il che si fa intanto “evitando doppie visite” e poi applicando le norme contenute nel decreto legge n. 5 del 2012 in materia di semplificazione della documentazione per persone disabili e patologie croniche. Alcune delle norme di quel decreto, infatti, non sono ancora attuate.
Franca Biondelli, piemontese di Borgomanero (Novara), diploma di operatore sanitario e di dirigente di comunità, ha lavorato in passato alla Asl di Novara: sindacalista Cisl, è stata poi senatrice nella passata legislatura ed è deputata in quella attuale. Eletta sempre nelle fila del Pd, si è segnalata come una delle componenti della Commissione Affari sociali di Montecitorio più attenta al tema della disabilità. E infatti, commentando a caldo il nuovo incarico, fa riferimento anzitutto al Piano d’azione biennale sulla disabilità adottato dal precedente governo e al quale va ora data attuazione: “C’è il tema del lavoro alle persone disabili, che andrebbe rivisto in alcuni aspetti, e c’è poi la partita dei servizi e dei modelli organizzativi sulla vita indipendente”, dice, ricordando poi anche “l’attenzione alla fase neonatale e prenatale e l’accoglienza ai bambini disabili abbandonati in culla”.
“E’ un piano molto ambizioso, dobbiamo focalizzarci su alcune cose e portarle a compimento”. Fa riferimento al tema dei Lea, i livelli essenziali di assistenza (che vanno aggiornati e con i quali comunque “non si risolve tutto”), e riguardo alle polemiche che ancora solleva la riforma dell’Isee – portata a termine dall’ex viceministro Guerra e ormai in vigore – afferma: “Tanto è stato fatto con il lavoro portato a termine finora: ciò detto, sui punti che sono oggetto di contestazione vorrei incontrare le associazioni per ascoltarle nuovamente, e decidere il da farsi dopo un ulteriore e ampio dialogo con loro”. Una modalità di azione che, dice, sarà attuata anche su altri temi, compreso quello riguardante gli interventi di contrasto alla povertà e alla realizzazione di una misura di sostegno e di reddito garantito.
Dal sito www.superabile.it Il parlamento europeo ha votato un ddl che prevede che tutti i siti della pubblica amministrazione e quelli privati che forniscono servizi come banche e asili nido siano resi fruibili. Ma le ong temono che il testo venga indebolito dagli stati membri
L’obiettivo di una piena accessibilità dei siti della pubblica amministrazione in tutta l’UE sembra un po’ più vicino, dopo che il parlamento Europeo ha votato a larghissima maggioranza (593 voti a favore e quaranta contrari, con tredici astenuti) un disegno di legge più ambizioso di quello presentato agli Eurodeputati dalla Commissione. Eppure secondo le organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità e gli anziani (European Disability Forum, Age Platform e Anec), il rischio è che il testo approvato a Strasburgo venga indebolito in fasi di negoziazione dagli Stati membri che dovranno dare il semaforo verde finale in Consiglio. Ma cosa prevede il disegno di legge? In sintesi, che tutti i siti gestiti da enti pubblici siano accessibili, e che lo siano anche i siti gestiti da privati che però forniscono servizi pubblici (come le compagnie elettriche, i fornitori di gas e acqua, gli asili nido, le poste e le banche, le società di trasporti e i servizi sanitari. Uniche eccezioni potranno essere fatte per le aziende con meno di dodici dipendenti, ma il poter applicare o meno una tale eccezione dipenderà dai singoli Stati membri e da come recepiranno la direttiva nelle legislazioni nazionali.
Sarà possibile poi, per gli utenti, presentare reclami in caso di inadempienza riguardante l’accessibilità di un sito, e sono previste penali per le compagnie che non rispettino la legge. Infine, i siti dovranno essere accessibili indipendentemente dallo strumento usato dall’utente per la navigazione (computer, tablet, smart phone etc.). Sono oltre 761.000 i siti coinvolti dal testo nella sua redazione attuale (solo un terzo di essi è accessibile al giorno d’oggi), e oltre 167 milioni i cittadini per cui – una volta che il disegno di legge sarà approvato – diventerà più agevole utilizzare il web per compiere attività semplici quali compilare la dichiarazione dei redditi, chiedere il sussidio di disoccupazione o iscrivere i figli a scuola.
Per essere accessibile, un sito web dovrebbe rispettare il più possibile delle linee guida tecniche chiamate standard Wcag 2.0 e permettere, ad esempio, agli utenti di ingrandire il testo o le immagini, di navigare solo con la tastiera e con l’ausilio di lettori di schermo, di avere sottotitoli per i video etc. Questo rende il web utilizzabile non solo ai disabili (sordi ciechi o persone con disabilità motoria), ma anche più fruibile da parte degli anziani. Il testo approvato in Parlamento Europeo suggerisce un limite di tempo di un anno perché i nuovi contenuti siano resi accessibili, che può essere prolungato a tre anni per i vecchi contenuti già presenti online e a cinque per l’accessibilità di audio e video o contenuti live. Cosa succederà ora? Il Consiglio, composto dai ventotto Stati membri, potrà o accettare il testo del parlamento o proporre, come temono le Ong che rappresentano le persone con disabilità e gli anziani, un suo testo indebolito da ridiscutere poi di nuovo in Parlamento.
“Chiediamo a tutti gli Stati membri di adottare velocemente il testo approvato in parlamento, e alla presidenza greca dell’UE di dare massima priorità al dossier”, scrivono in una nota lo European Disability Forum, la Age Platform e l’Anec. Bisognerà aspettare per capire se queste richieste verranno esaudite ma, mai come in questo contesto, la paura è che sia valido l’adagio popolare secondo cui non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.