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INFANZIA: DIRITTI DEI MINORI ANCORA NEGATI TRA POVERTÀ, CARENZA DI SERVIZI E MANCANZA DI COORDINAMENTO DELLE STRUTTURE PREPOSTE ALLA TUTELA

Fonte Gruppo CRC* – Nel Belpaese, 1 bambino su 7 nasce e cresce in condizioni di povertà assoluta, 1 su 20 assiste a violenza domestica e 1 su 100 è vittima di maltrattamenti. 1 su 20 vive in aree inquinate e a rischio di mortalità. 1 su 50 soffre di una condizione che comporterà una disabilità significativa all’età dell’ingresso nella scuola primaria, 1 su 500 vive in strutture di accoglienza. Più di 8 bambini su 10 non possono usufruire di servizi socio-educativi nei primi tre anni di vita e 1 su 10 nell’età compresa tra i 3 e i 5 anni.

Nel 2013 in Italia sono andati al nido solo 218.412 bambini, pari al 13,5% della popolazione sotto i tre anni. E la situazione nel Mezzogiorno è ancora più grave, se si considera che tutte le regioni del Sud si collocano sotto la media nazionale, come la Sicilia con appena il 5,6% dei bambini che ha avuto accesso al nido; la Puglia con il 4,4%; la Campania con il 2,7% e la Calabria con il 2,1%.

Questi i principali dati che emergono dal Rapporto di monitoraggio sull’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel nostro Paese, giunto alla sua ottava edizione, alla cui redazione hanno contribuito 124 operatori delle 90 associazioni del Gruppo CRC**, e presentato stamane alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti.

Il Rapporto, evidenzia che, a vent’anni esatti dal primo Rapporto sullo stato di attuazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC), inviato dall’Italia al Comitato ONU per la CRC, “il sistema organico di politiche per l’infanzia” su cui il nostro paese si era impegnato con la ratifica della Convenzione non è stato realizzato.

Le associazioni auspicano che l’adozione del nuovo Piano Infanzia, con priorità e azioni ben definite e supportate da un adeguato impegno economico, possa essere il primo passo per rimettere al centro dell’agenda politica le misure per la tutela per l’infanzia.

“Ci sono bambini che fin dalla nascita soffrono di carenze che ne compromettono lo sviluppo fisico, mentale scolastico, relazionale – sottolinea Arianna Saulini, di Save the Children e coordinatrice del Gruppo CRC. “Tra questi eventi, indicati come fattori di rischio, figurano condizioni sfavorevoli durante la gravidanza, cure genitoriali inadeguate, violenza domestica ed esclusione sociale. Per questo chiediamo – aggiunge Saulini – che il prossimo Piano Nazionale Infanzia dedichi speciale attenzione ai primi anni di vita del bambino, che vengano realizzate politiche adeguate per superare il divario territoriale nell’offerta educativa e di costruire un qualificato sistema integrato per l’infanzia e l’adolescenza, impegnando adeguati e stabili investimenti finanziari e introducendo un meccanismo permanente di monitoraggio della spesa”.

A proposito di risorse dedicate all’infanzia e l’adolescenza, il Rapporto denuncia che a distanza di anni non esiste ancora un monitoraggio a livello istituzionale, manca una strategia nazionale e una visione di lungo periodo nell’allocazione delle risorse. Le carenze, tuttavia, non sono solo di tipo economico, ma anche di raccolta e coordinamento delle informazioni.

Così, ad esempio, se si considera il problema dei minori privi di un ambiente familiare, gli stessi dati forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali presentano lacune e incongruenze. Sappiamo infatti che al 31 dicembre 2012 i minorenni affidati a parenti erano 6.750, quelli affidati a terzi 7.444, per un totale complessivo di 14.191 affidamenti familiari, e che i minori inseriti in comunità erano 14.255.

Poco o nulla sappiamo però sulle cause dell’allontanamento dalla famiglia e sui motivi che hanno portato a scegliere l’accoglienza in comunità o l’affido, il tipo di struttura di accoglienza e i tempi di permanenza. Informazioni che mancano soprattutto per i minorenni tra 0 e 5 anni.

A ciò si aggiunge che molte Regioni non forniscono i dati richiesti, come la Calabria che non ha aderito alla rilevazione, la Liguria e la Sardegna che hanno fornito dati discordanti rispetto ai criteri della rilevazione, l’Abruzzo che non ha inviato i dati sull’affidamento familiare. Ed è incomprensibile il divario tra i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e quelli del Dipartimento per la Giustizia Minorile sugli affidamenti familiari consensuali o giudiziari.

Sempre in merito al sistema di raccolta dati, la Banca Dati Nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione è operativa soltanto in 11 Tribunali per i Minorenni sui 29 esistenti e ciò rende difficile garantire a ogni bambino la scelta della miglior famiglia, quantificare e monitorare la situazione dei piccoli che non vengono adottati nonostante le tante famiglie disponibili.

Riguardo alle difficoltà economiche di molte famiglie con minori, pur riconoscendo l’impegno del Governo con la sperimentazione della nuova social card, Arianna Saulini ricorda che la povertà minorile in Italia è in continuo aumento – dal 2012 al 2013 i minori in condizioni di povertà assoluta sono passati da 1.058.000 (10,3%) a 1.434.000 (13,8%) – e ribadisce l’urgenza di un Piano nazionale di contrasto alla povertà, che tenga in debita considerazione le famiglie con figli minorenni e che sia in grado di mettere a sistema in maniera organica le varie e frammentate misure messe in campo in questi anni.

Il rapporto dedica poi un paragrafo ai minori stranieri non accompagnati (MSNA), tema di grande attualità considerati i numerosi sbarchi di questo periodo, rilevando la necessità di rendere subito operativo il nuovo sistema di accoglienza. Dal primo gennaio al 31 marzo 2015 sono sbarcati in Italia 10.165 migranti, di cui 902 minori (289 accompagnati e 613 non accompagnati), dato che a giugno è balzato a quasi 5.000 minori. Nel 2014, 26.122 minori hanno raggiunto le coste italiane e di questi 13.026 sono risultati essere non accompagnati, ovvero un numero pari a due volte e mezzo quello registrato nel 2013. Si tratta per la maggior parte di ragazzi tra i 15 ed i 17 anni, originari dell’Eritrea (3.394), dell’Egitto (2.007) e della Somalia (1.481). Va menzionato anche l’elevato flusso migratorio via mare dalla Siria: nel 2014 sono sbarcati 10.965 minori (10.020 accompagnati e 945 non accompagnati).

Alla data di stesura del Rapporto erano oltre 500 i minori ancora in attesa del collocamento in comunità, che si trovano, da mesi, in strutture temporaneamente adibite alla loro accoglienza, attivate “in emergenza” a livello locale, in Sicilia, Puglia e Calabria.

*Cui Anffas Onlus aderisce

**Alla stesura ha collaborato anche Anffas Onlus

Il Rapporto è disponibile cliccando qui

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PIÙ ASSEGNI DI INVALIDITÀ MA CHI HA UNA DISABILITÀ È SEMPRE PIÙ POVERO

Fonte www.disabili.comMentre ai cittadini italiani con disabilità sembra di trovare sempre meno soldi di in tasca, con servizi sempre più di frequente sospesi e costi da sostenere (ricordiamo che la presenza di una o più persone disabili in famiglia è causa di impoverimento in Italia), dall’altro lato i numeri ci dicono che nel biennio 2013-2014 la spesa per le prestazioni sociali per invalidità civile, pensioni ed altri assegni è aumentata di oltre centomila unità. Poco più di 50mila nel 2013 e altrettante nel 2014. Sono i dati dell’Inps su cui il Corriere ha pubblicato domenica scorsa una inchiesta, che lancia diversi punti interrogativi.

UN FENOMENO TRASVERSALE – Il fenomeno, riporta il Corriere, è trasversale non solo dal punto di vista della distribuzione geografica per i beneficiari, ma anche da quello politico, rispetto ai governi che si sono succeduti negli anni n cui si è registrato questo continuo aumento. Negli ultimi dodici anni, riporta il Corriere, si è passati da 1,8 a 2,8 milioni di assegni mensili, con una crescita da 11,8 a circa 18 miliardi di Euro. Nel solo biennio 2013-2014, sul fronte geografico, il Corriere riporta i vari + 8,4% della Calabria, + 5,7% del Lazio, + 5% della Sicilia e Puglia, + 4,2% della Liguria, + 3,5% della Lombardia e Veneto e +3,1% della Campania, +1,7% della Toscana, + 2,2% dell’Emilia Romagna, mentre nel biennio l’Umbria risulta pressoché stabile. I dati ci dicono inoltre che in alcune province del sul, una pensione su 4 è una pensione di invalidità civile.

L’OMBRA DEI FALSI INVALIDI – Aumentano quindi le erogazioni, e questo significa quindi che sono in più persone ad averne bisogno? Non proprio. Fermo restando il gran numero di prestazioni che sono rese giustamente e in maniera dovuta per migliorare la qualità della vita di chi ne ha legittimamente diritto e bisogno, il Corriere si pone qualche domanda su queste cifre in crescita. L’aumento, secondo il Corriere, non sembra giustificato dall’invecchiamento generale o imputabile a un peggioramento delle condizioni di salute della popolazione. Caso emblematico Savona, provincia dove si registra l’età media più alta del Paese, e nella quale invece il peso degli assegni di invalidità è inferiore rispetto a oltre la metà delle altre province italiane. Da qualche parte, insomma, i conti non tornano.

Nella sua inchiesta, il Corriere mette poi in correlazione lo sforzo che i governi, a partire dal 2003, hanno posto nella lotta alle frodi legate alla erogazione di queste prestazioni (leggi falsi invalidi), inserendola di volta in volta nell’agenda di governo con campagna e più o meno efficaci, e questo aumento. Anche qui, qualcosa deve essere andato storto.

IL FALLIMENTO DELLE VERIFICHE STRAORDINARIE – Non vanno per il sottile i deputati del Movimento 5 Stelle in commissione Affari Sociali della Camera, che commentando i dati dell’inchiesta del Corriere, affermano: “ (…) Si tratterebbe dell’ennesima prova del fatto le politiche di verifiche straordinarie, condotte dall’Inps negli ultimi sei anni, sono state un disastro totale, come da noi sempre sostenuto. Tra l’altro, questo metodo ha avuto come effetto collaterale l’aumentato dei ricorsi e leso i diritti dei veri cittadini disabili, come confermato da una sentenza del Tar dell’aprile 2014”. Continua la nota:

“Adesso resta da chiarire un dato fondamentale: quale sia o siano le cause di tale aumento esponenziale. Sta di fatto che gli ultimi governi, compreso quello in carica, sembrano non essersi accorti di nulla mentre questa ‘bolla’ gli passava sotto al naso. Per attuare una selezione adeguata rispetto all’assegnazione delle pensioni di invalidità, ed evitare abusi e frodi, è indispensabile una riforma dei criteri di accertamento che, nonostante le nostre numerose richieste e segnalazioni, evidentemente questi partiti non intendono attuare. In realtà tale riforma era stata promessa nel novembre 2013, quando hanno adottato il piano d’azione per la disabilità, ma da allora non è stato stanziato un euro. Ci domandiamo se questo insabbiamento della riforma non sia anche dovuto al fatto che quello delle false pensioni di invalidità è un fenomeno che, in alcuni casi, va a braccetto con clientelismo e bacino di voto elettorale”.

Gli effetti della falla sono dunque evidenti, c’è da capire dove il sistema sia inceppato, e davvero sembra il momento di ripensare l’intero sistema, prima che a esserne fagocitati siano coloro che davvero ne hanno bisogno.

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FINE ANNO SCOLASTICO ED ESAMI

Fonte www.disabili.com – Anche quest’anno è giunto il suono dell’ultima campanella e molti alunni hanno già iniziato le attese vacanze estive. Non tutti, però. Alcuni di essi, nelle scuole secondarie, dovranno sostenere gli esami e quindi sono già alle prese con lo studio per la preparazione, in vista di questa prova impegnativa. Tra di essi, naturalmente, vi sono anche gli alunni per i quali è stato redatto un Piano Educativo Individualizzato (PEI) o un Piano Didattico Personalizzato (PDP).

Come si svolgeranno le loro prove d’esame?

La loro prova dovrà tener conto di quanto indicato nel PEI o nel PDP e potrà portare al conseguimento del titolo o a un attestato di credito formativo.

Cosa è previsto per gli esami di stato?

Come stabilito dall’OM n. 11/15, in vista degli esami di stato delle scuole secondarie di secondo grado, le prove degli alunni con disabilità saranno equipollenti nel caso in cui sia atteso il raggiungimento del titolo e differenziate se, invece, è previsto il conseguimento di attestazione. Nel caso di alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), invece, in sede d’esame dovranno essere attivate le misure compensative indicate nel PDP e, in caso di percorso didattico differenziato, è prevista la predisposizione di prove differenziate, in base alle quali potranno ottenere il conseguimento dell’attestazione.

Nell’OM vengono forniti ulteriori dettagli per le situazioni in cui gli alunni siano dispensati dalla seconda prova scritta in lingua straniera, che potranno sostenere oralmente.

Per gli studenti con altri Bisogni Educativi Speciali (BES), infine, potranno essere attivati strumenti di tipo compensativo, coerenti con quanto indicato nel PDP, ma non misure di tipo dispensativo.

Per ciascuna situazione, dunque, in relazione alle specificità indicate nei documenti redatti, vengono indicate le condizioni, le modalità e gli strumenti adeguati per favorire il successo formativo degli studenti in sede d’esame. Va da sé, naturalmente, che per tutti, nessuno escluso, vale la regola dell’impegno e dello studio necessario per raggiungere il traguardo previsto.

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8° RAPPORTO CRC

Sarà presentato mercoledì 17 giugno a Roma, alla presenza del del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti, l’ottavo Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2014-2015, a cui ha collaborato anche Anffas Onlus.

Con la pubblicazione del Rapporto di aggiornamento il Gruppo CRC prosegue il monitoraggio dell’attuazione in Italia della Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) e dei suoi Protocolli Opzionali, intrapreso a partire dall’elaborazione del 1° Rapporto Supplementare nel 2001.

Negli oltre dieci anni di lavoro il Gruppo CRC ha pubblicato otto Rapporti di aggiornamento annuale e due Rapporti Supplementari che sono stati inviati al Comitato ONU per contribuire insieme al Rapporto governativo all’analisi dello stato di attuazione della Convenzione in Italia.

Per maggiori informazioni

www.gruppocrc.net

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DISABILITÀ A SCUOLA: LO STATO DEVE ASSICURARE IL SOSTEGNO

Fonte www.personaedanno.it Il Tar Veneto, sez. III, con sentenza 28 maggio 2015, n. 603 si è pronunciato su un tema molto delicato per tante famiglie che devono affrontare il tema del sostegno didattico dei propri figli a scuola.

Il ricorso verteva sul provvedimento con il quale è stato approvato l’orario definitivo per l’anno scolastico 2014/15, nel quale secondo il giudizio di parte ricorrente alla scuola è stato assegnato un numero d’insegnanti insufficiente ad assicurare un adeguato sostegno scolastico agli studenti con disabilità gravi presso la scuola medesima stessa.

Nello specifico, parte ricorrente ha lamentato che, tenuto conto del Progetto Educativo Individualizzato, del Profilo Dinamico Funzionale e della Diagnosi Funzionale, in sede di verifica del Piano Educativo Individualizzato, alla figlia minore doveva essere riconosciuto un sostegno didattico pari a18 ore, ossia l’intero orario di servizio settimanale del docente specializzato (rapporto 1:1). Conseguentemente, la ricorrente “ha chiesto la condanna dell’Amministrazione scolastica ad assegnare in favore della figlia minore il sostegno didattico per l’intero orario di servizio settimanale del docente specializzato (rapporto 1:1), ossia per complessive 18 ore settimanali, nonché, a risarcire il danno non patrimoniale asseritamente sofferto dalla minore.”

I giudici amministrativi veneti hanno ritenuto che, anche in forza della “plurima e consolidata giurisprudenza, anche di questo TAR,” ha ribadito che “deve essere riconosciuto il diritto del minore di essere assistito da un insegnante di sostegno secondo il rapporto previsto dal PEI e quindi, per la fattispecie in esame, secondo il rapporto 1/1 e per 18 ore.”

Il Tar ha sottolineato che “il quadro normativo vigente è infatti tale da evidenziare la necessità che l’amministrazione eroghi il servizio didattico in modo da assicurare, per le disabilità gravi come quella di parte ricorrente, le misure di sostegno necessarie per permettere che il disabile sia messo effettivamente in grado di fruire del percorso di istruzione e quindi, per quanto specificamente attiene alla presenza dell’insegnante di sostegno, che siano assicurate le ore nel rapporto ritenuto necessario in sede di PEI.”

Nel quadro sopra delineato, quindi, il Tar del Veneto ha accolto il ricorso provvedendo all’annullamento degli atti impugnati nella parte in cui hanno assegnato alla minore un insegnante di sostegno per un numero di ore settimanali inferiore a quello necessario secondo il rapporto 1:1. I giudici amministrativi hanno quindi condannato l’amministrazione “ad assegnare alla minore il sostegno didattico per l’intero orario di servizio settimanale del docente specializzato (rapporto 1:1) fino a che non sopravvenga una certificazione medica di contenuto diverso dagli atti che hanno fondato la pretesa oggetto del presente ricorso con riferimento alle specifiche esigenze della minore.”

La sentenza in epigrafe conferma la bontà e la validità delle previsioni normative contenute nella l. 104 del 1992, la cui implementazione può essere fatta efficacemente valere dalle associazioni di tutela delle persone con disabilità.

Una “speciale” funzione di (talune) associazioni non profit attiene, infatti, alla loro legittimazione di agire per la difesa di interessi dei loro associati, specie se persone fragili, quale peculiare mission associativa. Invero, le associazioni non riconosciute, al pari di quelle riconosciute e dei comitati, in quanto portatori di interessi diffusi cui possa derivare un pregiudizio da un provvedimento amministrativo, possono, ai sensi dell’art. 9 della l. 7-8-90, n. 241, intervenire nel procedimento amministrativo.

Alle organizzazioni non profit è riconosciuta la legittimazione ad agire in quanto esse tutelano beni e diritti della personalità di ciascuna persona. Alle associazioni di tutela è riconosciuta, dunque, una funzione per così dire “strategica”, soprattutto quando si tratta di intervenire a difesa e a tutela di interessi e diritti che afferiscono alla sfera soggettiva dei singoli cittadini-associati.

N.B. Per quanto attiene lo specifico caso oggetto della sentenza in commento, giova ricordare che l’art. 13 della l. 104/92 dispone in ordine all’integrazione scolastica e il comma 3 dell’articolo stabilisce che i Comuni sono chiamati a fornire assistenza per l’autonomia e la comunicazione, fermo restando che sono garantiti dallo Stato docenti specializzati di sotegno.

Sull’argomento, é opportuno ricordare anche che il D.Lgs 112/98, all’art. 139, comma 1, punto c attribuisce ai comuni i compiti di supporto organizzativo del servizio di istruzione per i gli allievi in situazione di handicap. I servizi di cui trattasi attengono dunque all’istruzione e nello specifico al diritto allo studio: in questo ambito, ai Comuni é richiesto di assicurare servizi per l’autonomia e la comunicazione, quali, ad es. trasporti assistiti, igiene personale, mobilità all’interno della scuola, interpreti nella lingua dei segni. Nella condizione economico-finanziaria attuale, a causa della perdurante carenza di insegnanti di sostegno, ai Comuni viene chiesto soprattutto di fornire educatori specializzati, altra figura comunqe rispetto all’insegnante di sostegno.

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L’inclusione (e l’esclusione) è un affare di tutti

Fonte www.superando.it «Quanto possa essere devastante – scrive Giorgia Zavalloni – per un bambino con disabilità e la sua famiglia calpestarne le necessità è facilmente intuibile. Del tutto ignorati, o quasi, sono invece gli effetti diseducativi prodotti sullo sviluppo dei compagni di quel bambino con disabilità. Un fatto riguardante un genitore mi ha reso lucidamente consapevole di questo aspetto, che avevo sotto gli occhi da anni, eppure non avevo ancora colto»

Quanto può essere devastante l’effetto diseducativo prodotto dai docenti che calpestano le necessità di un bambino con disabilità? Quanto possa esserlo per il bambino con disabilità e per la sua famiglia è facilmente intuibile. Da anni lo denunciamo, puntualizzando gli elementi e le responsabilità dello stato attuale dell’inclusione scolastica, suggerendo cambiamenti necessari, per altro indicati nell’ottima normativa che il nostro Paese si è data. Del tutto ignorati, o quasi, sono invece gli effetti prodotti sullo sviluppo dei compagni dei bambini con disabilità.

Vado per ordine, perché dall’episodio che vorrei brevemente raccontare consegue l’assunzione di un’ottica dell’inclusione sociale che non è più solo quella specifica delle associazioni di famiglie di persone con disabilità.
Nella diagnosi di Paolo, c’è una casella barrata accanto alla voce Gravità, relativa alla sua disabilità. I genitori si sono dovuti ben presto attrezzare di tutto ciò che serviva a garantirgli pari opportunità: conoscere le normative, sapere a chi rivolgersi e cosa chiedere, gestire la complessa regìa tra i tanti medici che si occupano di lui, dialogare ogni anno con il Dirigente Scolastico e con gli insegnanti, da quando ha iniziato a interpretare il ruolo sociale di “alunno h”.
Quest’ultimo aspetto ha condotto i genitori di Paolo a bussare allo Sportello per l’Inclusione Scolastica della nostra Associazione [ANFFAS Riviera del Brenta, N.d.R.] e a farsi Soci, in seguito a un episodio di rara e inaudita gravità.
Una docente della classe di Paolo (prima media), dopo l’ennesimo colloquio chiesto dal papà per indicare – pacatamente e rispettosamente – il coinvolgimento anche del proprio figlio nello sviluppo di un programma di lavoro di quella disciplina, una mattina si è rivolta allo stesso Paolo, di fronte ai compagni, dicendogli: «Tuo padre pensa che tu sia un genio… invece sei solo un povero handicappato».
Alla sera i genitori di Paolo, ancora ignari della vicenda, hanno ricevuto la telefonata di una mamma: diceva che il proprio figlio, compagno di classe di Paolo anche alla scuola primaria, le aveva raccontato quanto accaduto, scoppiando in lacrime.

Eppure esistono metodologie didattiche inclusive, che potrebbero coinvolgere e valorizzare i processi di apprendimento sia di Paolo che dei compagni. Quella docente – e tanti altri, purtroppo, come lei – anziché attrezzarsi a modificare la propria didattica, per rispondere professionalmente ai bisogni di quella classe, individua nel bambino con disabilità “il problema”, che mette in crisi il proprio “metodo di lavoro”, e contro di lui agisce comportamenti di aggressività, di palese e inaccettabile discriminazione.
Le attenzioni, i comportamenti di cura, l’affettività nei confronti degli allievi sono segnali di profondo rispetto della persona e di accoglienza. In una scuola inclusiva gli adulti fanno propri questi comportamenti e, in modo esemplare, li agiscono, creando una base fondamentale per il clima di classe, di apprendimento, di relazione.
In una classe inclusiva, la presenza di Paolo rappresenta per i compagni uno stimolo a interrogarsi su se stessi, a condividere domande di carattere etico-filosofico sulla persona, a sviluppare se stessi nel rispetto degli altri, divenendo buoni amici, giocatori leali, cittadini responsabili.
Al contrario, una classe che esclude getta al di fuori di sé Paolo e altri allievi “difficili”: gli adulti eludono, soffocano ogni domanda che possa lasciare traccia di disagio, rendendone impossibile l’elaborazione. Nel clima di classe permea la paura e il disprezzo per la diversità e i comportamenti discriminatori, vessatori (bullismo), aggressivi non riescono ad essere arginati.
In una classe che esclude, il messaggio adulto dice che il pieno rispetto della dignità della persona e il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona sono suscettibili di essere “sospesi”, laddove vi sia una disabilità o una “differenza”. Gli adolescenti vengono abbandonati a loro stessi nell’interrogarsi, con angoscia, sulle proprie differenze.

Ecco perché la questione dell’inclusione scolastica non è solo affare dei genitori di Paolo (o delle Associazioni delle famiglie di persone con disabilità), ma riguarda, eccome, tutte le famiglie.
Occupiamocene insieme. Chiediamo ai Comitati Genitori delle scuole di ogni ordine e grado e alle Associazioni dei Genitori di vigilare affinché le scuole siano effettivamente inclusive, offrendo ai compagni dei bambini/ragazzi con disabilità l’opportunità di un pieno sviluppo della persona*.

*Dario Ianes, L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva, Trento, Erickson, 2014, p. 5: «Una finalità “parallela” dell’integrazione scolastica, riferita molto frequentemente dagli insegnanti, è lo sviluppo personale di tutti gli alunni della classe, che crescono sotto vari punti di vista: aumentano le loro abilità relazionali di aiuto e comunicative, la loro empatia e le capacità di comprendere e gestire i propri stati d’animo, la loro autostima, le loro competenze metacognitive e di “insegnamento”, le loro conoscenze biologiche, antropologiche e sociali sulle differenze umane».

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La lettura, il teatro e la disabilità visiva

Si chiama “ACT – ACcessible Thatre” ed è un laboratorio rivolto a persone con disabilità visiva, che unisce teatro, lettura e tecnologie, per rafforzare l’inclusione , muovendo le persone verso la cultura accessibile. A lanciarlo è la Fondazione LIA, che promuove il libro e la lettura in tutte le sue forme, tradizionali e digitali, garantendone princìpi fondamentali quali l’accessibilità, l’integrazione e la socialità, come sta facendo in queste settimane anche con un altro progetto alla lettura digitale accessibile.

La rappresentazione nell’aprile scorso a Torino dello spettacolo intitolato Io provo a volare!, omaggio a Domenico Modugno scritto e interpretato da Gianfranco Berardi, ha lanciato il progetto ACT – ACcessible Theatre, laboratorio professionale di lettura accessibile per il teatro e di tecniche attoriali, rivolto a non vedenti e ipovedenti, che ha come obiettivo principale quello di formare appunto le persone con disabilità visiva all’utilizzo consapevole delle nuove tecnologie e dei formati oggi disponibili per la lettura.
A promuoverlo – in collaborazione con la Fondazione TPE (Teatro Piemonte Europa) e il sostegno della Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di Torino) – è la Fondazione LIA (Libri Italiani Accessibili), organizzazione non profit che promuove il libro e la lettura in tutte le sue forme, tradizionali e digitali, e che partendo dall’idea che la lettura non sia solo uno strumento di piacere e conoscenza, ne ha affidato la direzione artistica al citato Gianfranco Berardi, giovane, ma già assai apprezzato attore non vedente.

«Per un attore – spiega lo stesso Berardi – leggere rappresenta un’attività fondamentale per la propria formazione e per la propria professione. Leggere significa, infatti, conoscere storie, approfondire personaggi ed epoche storiche, ma soprattutto potersi aggiornare costantemente e rapidamente sui tanti temi di attualità su cui un attore è chiamato a cimentarsi. L’incontro con la Fondazione LIA mi ha aperto la possibilità di leggere diversamente. Grazie infatti all’ausilio della tecnologia e dei nuovi formati accessibili (e-book), oggi, per chi non vede, si apre la possibilità di poter leggere quello che leggono tutti, con gli stessi tempi e le stesse modalità».

«Noi – dichiara dal canto suo Cristina Mussinelli, segretario generale della Fondazione LIA – lavoriamo sulle tecnologie e i formati digitali accessibili secondo il principio del cosiddetto Design for All, con l’obiettivo di mettere le persone in contatto in modi nuovi, pervasivi, diffusi e accessibili. Ma il valore delle tecnologie digitali non esiste se non si lavora sulla conoscenza, la comprensione e il coinvolgimento all’uso da parte delle persone. Gianfranco Berardi è un brillante attore e un’autentica forza della natura, esempio raro di come non esista nessuna vera limitazione alla realizzazione dei propri sogni». «Sono certa – conclude – che questo laboratorio che unisce teatro, lettura e tecnologie, sarà un’esperienza all’insegna dell’educazione, della conoscenza e del divertimento, rafforzando l’inclusione e, sostanzialmente, il benessere delle persone, oltreché muovendone tante verso la cultura accessibile».

Tra qualche mese, dunque (tra settembre e ottobre) prenderanno il via gli incontri di ACT – ACcessible Theatre, che tutti, tra l’altro, possono supportare, con donazioni che contribuiscano a scrivere una pagina di un e-book LIA. Già da queste settimane, però, è in corso un’altra interessante iniziativa della Fondazione LIA, vale a dire 4LIA (Formazione LIA), progetto di informazione e formazione alla lettura digitale accessibile, rivolto anch’esso a persone non vedenti e ipovedenti e articolato su incontri di formazione in aula e a distanza, con il finanziamento del Fondo di Beneficenza di Intesa San Paolo.
Avviato in maggio all’Istituto dei Ciechi Cavazza di Bologna (vi si concluderà il 5 giugno), 4LIA proseguirà l’8, 10, 17 e 18 giugno, presso la sede della Fondazione LIA a Milano, e in parallelo all’IRIFOR ((Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) di Roma, l’11, 12, 25 e 26 giugno.
«4LIA – spiegano dalla Fondazione LIA – è un progetto che favorisce l’inclusione sociale e culturale delle persone con disabilità visiva e la riduzione del digital divide [“divario digitale”, N.d.R.]. Infatti, attraverso la conoscenza delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie e la formazione al loro utilizzo, anche i lettori non vedenti e ipovedenti possono scegliere più agevolmente cosa, come e quando leggere, al pari di qualunque altra persona».