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PART-TIME E LAVORATORI CON DISABILITÀ

Fonte www.superando.it – La Legge 183/14, meglio nota come Jobs Act, ha previsto la successiva emanazione di Decreti Legislativi, allo scopo di regolare vari aspetti legati all’occupazione e ai rapporti di lavoro. In queste settimane il Consiglio dei Ministri ne ha approvati quattro, che ora passano all’esame delle Camere per il relativo parere prima dell’emanazione definitiva.

Ci soffermiamo qui sul Decreto relativo alle tipologie contrattuali e alle mansioni, nella parte riguardante il part-time, tema di cui ci eravamo già occupati, nei giorni scorsi, parlando nello specifico di sclerosi multipla.

La trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a parziale rappresenta per molti lavoratori l’opportunità di conciliare esigenze personali e familiari di diversa natura con il mantenimento di una occupazione stabile. Di fatto, ad oggi il diritto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a part time è limitato ai lavoratori con malattia oncologica, che conservano anche la possibilità di “ritornare” al tempo pieno al termine di percorsi di terapia. In tutti gli altri casi il passaggio è condizionato da una contrattazione fra le parti (lavoratore-azienda). Ebbene, proprio su questo aspetto è la principale novità introdotta dal Decreto Legislativo in via di perfezionamento, relativa al fatto che d’ora in poi potranno contare sugli stessi diritti anche i lavoratori affetti da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, accertate da un’apposita commissione presso l’ASL.

Mentre poi per questi lavoratori viene stabilito un diritto cui l’azienda non si potrà opporre, per una serie di familiari, invece, viene fissata solo una priorità nella concessione del part-time. Si tratta esattamente di quei lavoratori che siano coniuge, figlio o genitore di una persona con patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti e di quei lavoratori che assistano una persona convivente «con totale e permanente inabilità lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita».

In altri due casi, poi, viene ammessa la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, ma essa è limitata ai soli genitori: nel caso cioè di figlio convivente di età non superiore a 13 anni e nel caso di figlio convivente portatore di handicap «ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 104 del 1992» (da notare che non è richiesta la gravità indicata dal comma 3 dell’articolo citato).

C’è inoltre un’ulteriore opportunità riguardante il part-time e derivante dai nuovi provvedimenti. Il lavoratore, cioè, può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale «spettante ai sensi del Capo V del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151», la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, per un periodo corrispondente, con una riduzione d’orario non superiore al 50%. Il congedo richiamato, per altro, non è quello previsto dall’articolo 42 (Capo VI) del citato Decreto Legislativo 151/01, concesso ai parenti che assistono un familiare con handicap grave, retribuito e della durata massima di due anni, ma si tratta di quei congedi parentali concessi per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, a ciascun genitore e che non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi (salvo casi particolari). Fino al terzo anno di vita del bambino è riconosciuta un’indennità pari al 30% della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi.

Inoltre, i congedi sono coperti da contributi figurativi. Nel caso poi il bambino sia persona con handicap grave (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992) il congedo estende la sua durata a tre anni (con indennità fino a sei mesi e copertura previdenziale figurativa).

Qual è dunque la nuova opportunità? Anziché fruire dei congedi, si può chiedere il passaggio al part-time per la stessa durata del congedo. Ad esempio, anziché chiedere e ottenere sei mesi di congedo retribuito con indennità al 30% (e “rimanere a casa”), si può passare al part-time per sei mesi, percependo una retribuzione proporzionata e una copertura previdenziale effettiva.

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VITA INDIPENDENTE PER TUTTE LE PERSONE CON DISABILITÀ

Fonte www.superando.it – Un ampio documento è stato inviato dal Consiglio Direttivo della LEDHA – la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap*) – agli assessori della Regione Lombardia Maria Cristina Cantù (Famiglia e Solidarietà Sociale) e Mario Mantovani (Salute), oltreché al presidente della Terza Commissione Consiliare Fabio Rizzi. In tale testo, come si legge in una nota prodotta dalla stessa LEDHA, «si sottolinea che quello alla Vita Indipendente è oggi un diritto di tutte le persone con disabilità; si evidenzia come le modalità di promozione e riconoscimento reale di questo diritto possano essere diverse, ma non possano prescindere dal supporto alla realizzazione di progetti di vita globali e integrati, sostenuti da una presa in carico pubblica; si ricorda che la Vita Indipendente sottintende il riconoscimento al diritto all’autodeterminazione, che dev’essere consentito in ogni misura possibile a tutte le persone con disabilità, in special modo a chi conviva con menomazioni di carattere intellettivo e relazionale».

Si tratta di affermazioni con cui la LEDHA si propone di incidere concretamente sui percorsi di riforma regionali in tema di servizi sanitari e sociosanitari, così come sui percorsi normativi sulla vita indipendente, «percorsi – prosegue la nota della Federazione lombarda – che avranno probabilmente tempi lunghi di approvazione e di implementazione. Nel frattempo, però, le esigenze delle persone con disabilità che aspirano alla Vita Indipendente non possono rimanere senza risposta». Ed è proprio per questo che nella lettera di presentazione al citato documento, vengono proposte alla Regione Lombardia alcune azioni immediatamente attuabili, vale a dire «la definizione della presa in carico globale e integrata come Livello Essenziale di Assistenza Regionale; l’istituzione del Fondo Regionale per la Non Autosufficienza, con una dotazione minima di 10 milioni di euro; la dotazione del Fondo Sociale Regionale con almeno 70 milioni di euro».

Un altro punto che la Federazione intende puntualizzare con forza è quello relativo al corretto significato di alcune “parole chiave”.

«Valutiamo positivamente – dichiara infatti Maria Villa Allegri**, presidente della LEDHA – le varie iniziative sviluppatesi in questi mesi (Delibere Regionali su Fondo per le Non Autosufficienze 2014 e 2015; Proposte di Legge avanzate da diversi gruppi consiliari), che stanno facendo emergere anche in Lombardia il dibattito attorno al tema del diritto alla Vita Indipendente. E tuttavia, molto spesso, si tende a dare un significato non corretto a “parole chiave” come autonomia, autogestione e indipendenza. Un’interpretazione errata di questi termini può infatti creare confusione nelle risposte che il livello istituzionale deve garantire all’esigibilità dei diritti e alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini lombardi con disabilità. Speriamo dunque, con questo nostro documento, di dare un contributo alla discussione, al fine di contribuire a indirizzare le politiche sociali sulla disabilità nella nostra Regione in modo adeguato e sostenibile».

Da ultimo, ma non ultimo, il tema dell’assistenza indiretta. «Attraverso l’assunzione di assistenti personali – concludono dalla LEDHA – molte persone con disabilità motoria (ma non solo) hanno avuto in questi anni la possibilità di affermare la propria indipendenza e crearsi un progetto di vita soddisfacente. Che ha evitato, in molti casi, l’istituzionalizzazione. Alla Regione chiediamo quindi di garantire la continuità di questi progetti di vita e, attraverso le sperimentazioni in atto, di programmare e offrire esperienze similari ad altre persone che decidano di utilizzare lo “strumento” dell’assistenza indiretta, per creare le premesse di un progetto di Vita Indipendente». 

È disponibile il testo integrale del documento sulla Vita Indipendente inviato dalla LEDHA ai rappresentanti della Regione Lombardia e anche la lettera che lo presenta.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti

ufficiostampa@ledha.it

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RIFORMA DEL TERZO SETTORE: INTRODOTTO FINALMENTE L’AUTOCONTROLLO

Prosegue in commissione Affari sociali alla Camera la discussione sul DDL Delega di Riforma Terzo Settore. Il relatore ha presentato un emendamento che specifica che il Ministero del Lavoro “promuove l’adozione di adeguate forme di autocontrollo degli enti del terzo settore, anche attraverso l’utilizzo di strumenti atti a garantire la più ampia trasparenza e conoscibilità delle attività svolte dagli enti medesimi, sulla base di apposite convenzioni stipulate con gli organismi maggiormente rappresentativi degli enti stessi o con il sistema dei centri di servizio per il volontariato per consentire il necessario supporto agli enti di dimensioni ridotte.”

“Valutiamo molto positivamente l’introduzione di forme di autocontrollo per il terzo settore, una richiesta che abbiamo fatto sin dall’inizio del percorso e che riteniamo lo strumento più idoneo per il nostro mondo. Riteniamo positiva infatti la responsabilizzazione del terzo settore rispetto al tema della trasparenza, che passi attraverso l’auto-organizzazione per le grandi reti dell’associazionismo, e attraverso il coinvolgimento dei centri di servizio per il volontariato per le organizzazioni più piccole.”

“Rispetto all’ art.4, di cui la Commissione sta vagliando gli emendamenti, siamo al momento soddisfatti dell’iter intrapreso. Aspettiamo tuttavia con particolare attenzione il delicato passaggio che riguarda il tema della distribuzione degli utili nelle imprese sociali.” Conclude il Portavoce

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RIFORMA TERZO SETTORE, NIENTE AGENZIA O AUTHORITY

Fonte www.vita.it – Così la relatrice della Legge Delega di Riforma del Terzo settore, Impresa sociale e Servizio Civile, on. Donata Lenzi ha presentato l’emendamento che ha chiuso la discussione sull’art. 2 della Riforma: “Nell’illustrare il contenuto di tale proposta emendativa, sottolinea di non considerare opportuna l’istituzione di un’Agenzia di settore o di una Autorità indipendente. Osserva in proposito che una vigilanza efficace su una platea così vasta richiederebbe una struttura di dimensioni rilevanti, con conseguenti problemi nell’individuazione delle risorse necessarie, manifestando contrarietà per il prospettato utilizzo dei fondi per il 5 per mille. Dichiara, in ogni caso, di avere voluto raccogliere le sollecitazioni a rafforzare il sistema di vigilanza e controllo sul Terzo settore, prevedendo un ruolo più incisivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con gli altri Ministeri interessati. Sottolinea l’importanza della previsione di un raccordo con l’Agenzia delle entrate, esigenza emersa anche nel corso della audizioni svolte dalla Commissione, nonché l’indicazione esplicita dell’estensione del controllo alle imprese sociali.   Evidenzia che il secondo comma dell’articolo aggiuntivo da lei presentato, che raccoglie alcuni degli spunti presenti in altre proposte emendative, mira ad assicurare un coinvolgimento degli stessi soggetti del Terzo settore nelle procedure di controllo, anche tramite la collaborazione con i centri di servizio per il volontariato per consentire il necessario supporto agli enti di dimensioni ridotte”.

L’emendamento approvato dal Governo e dalla Commissione dice no sia all’ipotesi di Unità di missione proposta dal testo Governativa sia alla richiesta contenuta in tanti emendamenti di procedere a una riedizione della Agenzia o di un’Authority. Il compito della Vigilanza e controllo rimarrà (perchè già ora è così e con scarsi risultati) in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

A questo punto gli articoli 1, 2, 3 e 5 sono stati approvati, in discussione, attualente c’è l’art. 4 dedicato alla Riforma dell’impresa sociale.

Leggi il commento del Forum Terzo Settore

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VIOLENZA DI GENERE, UNA GUIDA PER LE DONNE CON DISABILITÀ

Fonte www.vita.it – Una guida preventiva sulla violenza di genere per le donne con disabilità. L’ha elaborata Human Rights Watch in vista della Giornata internazionale della donna, l’8 marzo.

Tutti i governi, sostiene Human Rights Watch, dovrebbero garantire che le donne e le ragazze con disabilità siano incluse nei programmi dedicati alla prevenzione della violenza di genere. Le donne e le ragazze con disabilità sono maggiormente a rischio violenza di genere nelle loro case, nelle scuole e sono spesso escluse dai programmi di prevenzione, dai servizi di supporto, e accesso alla giustizia a causa degli stereotipi sulla loro sessualità, le barriere fisiche, quelle di comunicazione e la mancanza di materiali informati accessibili.

La guida mostra come riconoscere, prevenire e ottenere protezione, e spiega come ricevere assistenza legale, medica e psicologica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 35% delle donne abbia subito degli atti di violenza. Donne e bambini con disabilità sono sproporzionatamente vulnerabili alla violenza. Le persone con disabilità sono più esposte al rischio di essere vittime di abuso fisico, abuso sessuale e stupro. Affrontano molteplici forme di discriminazione che li rende più isolate, emarginate e vulnerabili alle violenze.

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APPELLO DELL’EDF PER LA PARITÀ DI GENERE

Fonte www.edf-feph.org – In occasione della Giornata internazionale della donna, l’European Disability Forum ha chiesto uguaglianza e piena inclusione delle donne e delle ragazze con disabilità in tutte le azioni che l’Unione europea e i suoi Stati membri stanno intraprendendo.

L’appello cade in un anno speciale: nel 2015 infatti ricorre il 20° anniversario della Piattaforma d’azione di Pechino che mira a portare alla luce le disuguaglianze strutturali e le violazioni dei diritti umani affrontati da tutte le donne e le ragazze, e di preparare il terreno per azioni concrete per realizzare la parità di genere

Per maggiori informazioni consulta il sito dell’EDF (in lingua inglese) cliccando qui

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EXTRACOMUNITARI E PROVVIDENZE PER CECITÀ: NUOVA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Fonte www.handylex.org – Per l’ennesima volta la Corte Costituzionale è tornata sulla annosa questione delle provvidenze assistenziali, correlate alla disabilità, da corrispondere ai cittadini extracomunitari.

Lo ha fatto con la Sentenza n. 22 del 27 gennaio 2015, n. 22 (depositata il 27 febbraio) confermando, ancora una volta, i precedenti pronunciamenti sulla materia: sono illegittime le disposizioni che condizionano la concessione di quelle provvidenze alla titolarità del permesso di soggiorno di lunga durata. Già la Corte si era pronunciata sull’indennità di frequenza, indennità di accompagnamento, pensione agli invalidi civili totali e all’assegno mensile agli invalidi parziali.

Ora, in modo sovrapponibile, si pronuncia anche sulla pensione e sull’indennità speciale riconosciute ai ciechi parziali.

Merita di essere ricostruita l’intera vicenda per meglio comprenderne i risvolti: l’articolo di HandyLex è disponibile a questo link