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«QUESTA RIFORMA DEL SOSTEGNO È UNA PRESA IN GIRO»

Fonte www.vita.it – Riforma del sostegno e dell’inclusione scolastica, non ci siamo. Come denunciato proprio su Vita.it, erano molte le aspettative, in larghissima parte tradite: così la FISH- Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap* «rigetta all’unanimità» lo Schema di decreto legislativo recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”.

«Non si può certo dire che negli ultimi due anni la nostra Federazione non abbia praticato un confronto tecnico e politico con il Ministero dell’Istruzione. Lo abbiamo dimostrato ripetutamente in confronti diretti con la dirigenza politica e tecnica di quel Dicastero e siamo giunti persino ad elaborare e presentare anche una specifica proposta di legge, concordandone correzioni e aggiustamenti con il Ministero stesso», commenta Vincenzo Falabella, il presidente, alla conclusione della Giunta Nazionale della FISH convocata per confrontarsi sul testo della delega recentemente presentato dal Governo in Parlamento.

La proposta di Fish e Fand, sottoscritta da alcuni parlamentari e assegnata alla VII Commissione Cultura con il numero AC 2444 (qui il testo) puntava a favorire la continuità didattica, oggi frenata dal diffuso precariato, creando degli appositi ruoli per i docenti per il sostegno; ribadiva l’obbligo di riduzione del numero di alunni per classe e del numero di alunni con disabilità nella stessa classe e introduceva l’obbligo di formazione iniziale ed in servizio dei docenti sulle didattiche inclusive.

In questi mesi, dopo l’approvazione del testo della legge 107 sulla Buona Scuola, dalle dichiarazioni giunte dal Miur, sembrava che proprio a questa proposta di legge sarebbe stata sostanzialmente recepita dal Governo proprio come base della delega. Grandissima quindi la delusione nel vedere il testo dello schema di decreto: quella proposta era per Falabella «di ben altra qualità rispetto al papocchio che ora assume la veste di Atto del Governo. Ma quando l’Esecutivo ha assunto la delega in forza della legge sulla ‘buona scuola’, di quella apparente disponibilità al confronto si è persa la sostanza e il senso. Anzi, le istanze delle persone con disabilità sono state largamente ignorate se non contrastate.

Vediamo tradite le principali istanze del movimento delle persone con disabilità, mascherandole dietro dichiarazioni di intento ma declinandole in un nulla di davvero concreto, anzi tornando indietro rispetto anche alle minime garanzie attuali.

Temi come quelli della continuità scolastica, della garanzia di sostegno adeguato, della formazione dei docenti, della qualità scolastica, della corretta valutazione delle necessità e delle potenzialità degli alunni con disabilità, della programmazione sostenibile e congruente, della rivisitazione intelligente di ruoli, competenze, responsabilità sono – in tutta evidenza – tradite e, a tratti, irrise. In termini ancora più schietti: una presa in giro!».

A fronte a tali gravi considerazioni, visto ed analizzato il testo dello schema di decreto, il Presidente Vincenzo Falabella ribadisce che «la FISH e le associazioni federate non potranno che avviare una mobilitazione e tutte le forme di protesta e di denuncia utili a rivedere profondamente questo testo da cui prendiamo con vigore le distanze come associazioni e come cittadini».

*Cui Anffas Onlus aderisce

Il comunicato della Fish è disponibile cliccando qui

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DELEGA SUL SOSTEGNO, IL NUOVO CHE SI ATTENDEVA NON C’È

Fonte www.vita.itSono oltre 224.000 gli studenti con disabilità iscritti alle scuole d’Italia. Le loro famiglie guardavano con grandissime aspettative alla delega collegata alla legge 107, che doveva non solo ridefinire le regole per la formazione degli insegnanti di sostegno e il loro accesso al ruolo, ma soprattutto ridisegnare il sistema dell’inclusione scolastica italiana, a quarant’anni dalla legge Falcucci.

«Nel testo che stiamo elaborando stiamo tenendo conto di tutte le criticità che sono emerse fin qui sul tema dell’inclusione degli studenti disabili, per eliminarle e per spazzare via una volta per tutte le ipocrisie che sporcano un sistema d’eccellenza a confronto con gli altri paesi europei. Per questo stiamo andando sempre più nella direzione di una maggiore formazione e competenza per i docenti di sostegno, che fanno un lavoro straordinario ma vanno preparati adeguatamente e in maniera più specializzata, ma anche e soprattutto di tutta la comunità scolastica, perché l’inclusione è responsabilità di tutti e non soltanto di un insegnante particolare per un certo numero di ore. Stiamo andando incontro alle esigenze delle famiglie dando continuità al sostegno per i propri figli, semplificando e uniformando a livello nazionale il sistema di certificazione. Stiamo guardando a un “progetto di vita” per questi ragazzi che tenga conto delle loro abilità e che vada oltre il piano educativo della scuola»: così ci diceva a settembre Davide Faraone, allora sottosegretario all’Istruzione.

Lo schema di decreto è stato approvato il 14 gennaio ed è stato trasmesso alla Camera (qui il testo) realizza quelle aspettative? Vita lo ha chiesto a tre esperti.

1. DARIO IANES «Una delega pensata per ridurre le ore di sostegno» Docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento. «C’è ben poco da dire, tutte le grandi attese sono deluse, soprattutto delle associazioni di famigliari», sbotta il professore: «non vedo nessuna evoluzione concettuale del sistema». Partiamo dalla continuità, tema cruciale per alunni e famiglie, che oggi vivono il caos assoluto: «il fatto che l’insegnante di sostegno prima di chiedere il passaggio sui posti comuni debba stare per dieci anni sul sostegno, non garantisce alcuna continuità didattica», spiega il professore, poiché anche stando sul sostegno l’insegnante potrebbe cambiare ogni anno scuola e alunno.

Quanto alla formazione degli insegnanti, con la richiesta di una formazione di base sui temi dell’inclusione per tutti gli insegnanti, compresi quelli della scuola secondaria, «non c’è nulla e questo è un grave problema. Noi nei mesi scorsi abbiamo denunciato le preoccupazioni rispetto all’ipotesi di separazione dei percorsi universitari, che non c’è; d’accordo, non c’è quella biforcazione dei percorsi che temevamo, però non è che io sia contento, perché anche le cose buone che c’erano nella proposta quadro di Fish e Fand, ad esempio sulla continuità, qui non ci sono».

Tornando alla formazione degli insegnanti, tanto ripetuta, per Ianes «c’è solo un corso di specializzazione sul sostegno, da 60 crediti, come oggi. I 120 crediti di cui parla il testo sono divisi in realtà in due, 60 al corso e 60 pregressi per poter accedere al corso. E cosa devo fare per maturare quei 60 crediti? Per la primaria ti puoi far riconoscer quelli fatti durante l’università, il tirocinio e la tesi, quindi di fatto la formazione è uguale ad oggi. Sulla secondaria invece, che in università ha solo 6 o 7 crediti sull’inclusione, non si capisce dove uno possa andare a prenderli. Forse facendo un anno di scienze della formazione, ma è folle: 5 anni per la laurea + 3 per la formazione secondaria per insegnare, più uno per accedere al corso di specializzazione più uno di corso: dieci anni di formazione? È ridicolo».

Ma il nodo più pericoloso per il professor Ianes si nasconde nell’articolo 8, quello che disegna il GIT, Gruppo per l’inclusione territoriale. «Ce ne saranno 300, uno per ambito, composti da docenti e dirigenti e saranno loro a quantificare la proposta di ore di sostegno. A quantificare il sostegno di cui l’alunno ha bisogno non sarà più dunque la realtà decisionale più vicina alla scuola, al ragazzo, alla famiglia, c’è questo “allontanamento” che sarà un meccanismo di freno, è scritto nella relazione. Dopo aver avuto le ore, la scuola fa il PEI, partendo dalle risorse assegnate. Il PEI non è più la fonte delle risorse, c’è uno scollamento. A pensar male, si può dire che tutta delega sia fatta per questo, per ridurre le ore di sostegno. La sola parte dove si modificano i meccanismi è questa e non mi piace perché sono meccanismi che frenano la spesa, il resto sono proclami».

2. SALVATORE NOCERA «Nessuna possibilità concreta di presa in carico da parte dei docenti curricolari» Avvocato, esperto tecnico della Fish in campo di inclusione scolastica «Ho letto la relazione, il testo ancora no perché purtroppo non è accessibile ai non vedenti. Il mio giudizio è prevalentemente positivo, il testo accoglie molte delle nostre richieste, anche se ne lascia indietro altre», afferma Nocera, precisando di parlare «a titolo personale». Positivo è il passaggio al profilo di funzionamento, che rimanda alla disabilità come una situazione dinamica, collocata nel contesto. Positivo è anche il collegamento fra scuole ed enti locali, perché non deve essere solo la scuola ad occuparsi degli alunni con disabilità, come pure il riferimento al PEI come parte integrante del progetto individuale previsto dalla legge 328 e soprattutto il chiarimento sull’istruzione a domicilio in analogia con l’istruzione in ospedale. Cinque invece per Nocera sono i punti dolenti: «Primo, non viene messa in luce l’importanza della famiglia nella formulazione del PEI, la 328 prevede che la famiglia partecipi, qui invece questo non è previsto. È un passo indietro inaccettabile».

Secondo punto si abroga il GLIP provinciale per il GIT, però nel GLIP erano presenti le associazioni e gli enti locali, nel GIT ci sono solo componenti interni all’amministrazione scolastica, questo non va bene».

Terzo, il numero massimo di alunni per classe, nelle classi iniziali di ogni ciclo, qualora vi sia un alunno con disabilità: «è una manovra quasi truffaldina, si dice al massimo 22, ma la regola diceva invece già dal 2009 al massimo 20 di norma, tranne casi eccezionali». L’avvocato cita articoli e commi, il succo è che «di fatto si lascia la libertà di creare classi-pollaio. Qua si va indietro, decisamente».

Venendo alla presa in carico da parte di tutti i docenti curricolari, «non c’è nessuna novità sulla formazione che disegni la possibilità concreta che i curricolari si occupino di inclusione: tutta la novità che si pensava non c’è. Per chi insegnerà alla scuola secondaria sei crediti erano e sei restano, noi ne chiedevamo 30». E pure per la carriera degli insegnanti di sostegno «non abbiamo la classe di concorso separata, si prevedono 4 ruoli di sostegno ma sempre con la possibilità di passare a cattedre comuni dopo 10 anni, sì, c’è la possibilità di avere una supplenza per un anno in più, ma noi chiedevamo almeno una continuità di almeno due anni o dell’intero ciclo. Questo è un punto nodale e non c’è una riga». Infine, guardando al decreto sulla valutazione degli alunni, c’è un «arretramento pauroso», arrivato del tutto a sorpresa, là dove si dice che alla fine della scuola secondaria di primo grado gli alunni «devono fare prove d’esame equipollenti, dimostrando di conoscere elementi basilari della disciplina e non prove differenti, come previsto dalla legge 104. Moltissimi ragazzi non avranno il diploma ma solo un attestato, andranno alla scuola superiore ma anche lì non potranno fare l’esame maturità, potranno avere solo un attestato. È un punto che non condividiamo assolutamente».

Dal punto di vista politico, già lunedì pomeriggio il presidente della Fish, Vincenzo Falabella, aveva esternato la sua «amarezza» per un testo «assolutamente non condiviso, che non ha fato nemmeno un passaggio in Osservatorio, in palese violazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e del nulla su di noi senza di noi. La stessa cosa è stata fatta con i Lea. Credo ci sia la volontà deliberata di tener fuori dal confronto politico le persone con disabilità» (Clicca qui per leggere il comunicato)

3. EVELINA CHIOCCA «La famiglia, la grande esclusa» presidente del CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno) Testi alla mano, la professoressa esamina articolo per articolo il testo della legge. «La prima osservazione che voglio fare però è complessiva: vedo poco la presenza della famiglia, che dovrebbe invece essere più partecipe», afferma. Positivo per lei è l’articolo che prevede una valutazione della qualità dell’inclusione, «è un primo passaggio, segno di un cambiamento di cultura». Bene anche l’introduzione della valutazione diagnostico-funzionale, a sostituire i due documenti precedenti: «la cosa importante è l’esplicito riferimento all’approccio ICF, che ci dice non l’elenco di ciò che manca all’alunno ma quello di ciò che l’alunno possiede, tenendo conto di tutti gli aspetti di vita del ragazzo. È un’ottica pedagogica importante».

Perfetto anche a livello di principio il quantificare le risorse non in base a un codice standard ma in base agli effettivi bisogni di ciascuno. Il problema è che «le risorse non discenderanno dal PEI ma saranno quantificate e decise dal GIT, un soggetto dove non ci sono né famiglie né associazioni. Intanto noto che le risorse non sono più scritte nel PEI, quindi non ci sarà più possibilità di fare ricorso per le famiglie per chiedere più ore di sostegno. In secondo luogo il PEI viene elaborato dai docenti insieme ai genitori, ma approvato solo dai docenti, ma la famiglia non può essere esclusa in questo modo».

La professoressa si dice «disorientata» anche dal passaggio sul corso di specializzazione: dove si fanno i 60 crediti necessari per accedervi? Durante l’università? Con un anno in più di università? Per la secondaria in particolare non si capisce proprio come si possa fare. «Delusione» quindi, anche sul fronte della formazione iniziale obbligatoria per tutti gli insegnanti curricolari, su cui «non vedo novità».

Per approfondire leggi il comunicato Fish cliccando qui

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DECRETO SU INCLUSIONE SCOLASTICA DA RIGETTARE

Fonte comunicato stampa Fish* – Unanimità della Giunta FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap nel rigettare con forza lo “Schema di decreto legislativo recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”, l’Atto del Governo (378) approdato all’esame delle Camere in questi giorni.

“Non si può certo dire che negli ultimi due anni la nostra Federazione non abbia praticato un confronto tecnico e politico con il Ministero dell’Istruzione. Lo abbiamo dimostrato ripetutamente in confronti diretti con la dirigenza politica e tecnica di quel Dicastero. Siamo giunti persino ad elaborare e a presentare anche una specifica proposta di legge concordandone correzioni e aggiustamenti con il Ministero stesso di ben altra qualità rispetto al papocchio che ora assume la veste di Atto del Governo. Ma quando l’Esecutivo ha assunto la delega in forza della legge sulla ‘buona scuola’, di quella apparente disponibilità al confronto si è persa la sostanza e il senso. Anzi, le istanze delle persone con disabilità sono state largamente ignorate se non contrastate.” Così commenta Vincenzo Falabella alla conclusione della Giunta Nazionale della FISH convocata per confrontarsi su questo aspetto e per stabilire la posizione da tenere.

“Vediamo tradite le principali istanze del movimento delle persone con disabilità, mascherandole dietro dichiarazioni di intento ma declinandole in un nulla di davvero concreto, anzi tornando indietro rispetto anche alle minime garanzie attuali. Temi come quelli della continuità scolastica, della garanzia di sostegno adeguato, della formazione dei docenti, della qualità scolastica, della corretta valutazione delle necessità e delle potenzialità degli alunni con disabilità, della programmazione sostenibile e congruente, della rivisitazione intelligente di ruoli, competenze, responsabilità sono – in tutta evidenza – tradite e, a tratti, irrise. In termini ancora più schietti: una presa in giro!”

E di fronte a tali gravi considerazioni, visto ed analizzato il testo dello schema di decreto, il Presidente Vincenzo Falabella ribadisce che “la FISH e le associazioni federate non potranno che avviare una mobilitazione e tutte le forme di protesta e di denuncia utili a rivedere profondamente questo testo da cui prendiamo con vigore le distanze come associazioni e come Cittadini.”

* Cui Anffas Onlus aderisce

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PROVVIDENZE ECONOMICHE PER INVALIDI CIVILI, CIECHI CIVILI E SORDI

Fonte www.handylex.org – Ogni anno vengono ridefiniti, collegandoli agli indicatori dell’inflazione e del costo della vita, gli importi delle pensioni, assegni e indennità che vengono erogati agli invalidi civili, ai ciechi civili e ai sordi e i relativi limiti reddituali previsti per alcune provvidenze economiche.

Per il 2017 importi delle provvidenze e limiti reddituali sono stati fissati dalla Direzione Centrale delle Prestazioni dell’INPS con Circolare 17 gennaio 2017, n. 8.

Il sito HandyLex riporta in un tabella gli attuali importi in euro, comparati con quelli del 2016. La tabella è disponibile a questo link

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DOPO DI NOI: ECCO COME FARE PER ATTUARLO DAVVERO NEL 2017

Fonte www.vita.it – Sono trascorsi sei mesi dall’entrata in vigore della legge 112/2016, meglio nota come legge sul “dopo di noi”. Erano sei i passaggi previsti per rendere davvero operativa la legge e di essi, a sei mesi da quel 25 giugno 2016, ne è stato fatto solo uno, quello fondamentale, ovvero il decreto per individuare i requisiti di accesso alle misure di assistenza, cura e protezione a carico del Fondo e di riparto delle risorse del Fondo tra le regioni (questo decreto, firmato il 23 novembre, non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale). Vita ha chiesto al Presidente Nazionale di Anffas Onlus, Roberto Speziale, di fare il punto nell’ultimo giorno dell’anno che ha visto la legge venire alla luce: queste le sue osservazioni, che riportiamo in toto.

Cosa manca

Manca la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nel campo sociale da garantire ai destinatari della legge, manca la definizione degli obiettivi di servizio per le prestazioni da erogare ai destinatari della legge (decreto previsto entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, quindi entro il 24 dicembre 2016), manca il decreto per definire le modalità di attuazione dell’articolo inerente i trust, i vincoli di destinazione e fondi speciali (previsto entro 60 giorni, quindi al 24 agosto 2016), manca la campagna di comunicazione e informazione sul nuovo strumento, e mancano gli atti delle Regioni, che devono adottare indirizzi di programmazione e definire i criteri e le modalità di erogazione dei finanziamenti, le modalità per la pubblicità dei finanziamenti e per la verifica dell’attuazione delle attività svolte (tutte queste attività di programmazione prevedono il coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza delle persone con disabilità). Occorre continuare nella stessa direzione che si è delineata con il primo decreto attuativo, se non si vuole che la legge non “abbia le gambe” per andare avanti.

Agevolazioni fiscali

È il decreto in questo momento più urgente. L’articolo 6 della legge 112/2016 prevede agevolazioni fiscali e tributarie per i trust, i vincoli di destinazione ed i fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione, ma se non esce il decreto attuativo (atteso già entro il 24 agosto), non si sa come potersi regolare per la fruizione delle agevolazioni previste dalla legge. Ci sono già casi concreti di famiglie che vorrebbero mettere in atto questi nuovi strumenti previsti dalla legge, in favore di figli o nipoti con disabilità gravi – la legge ha suscitato un certo fermento tra le famiglie – ma per il momento tutto è bloccato in attesa del decreto, per essere certi di rispettare, negli atti, tutte le condizioni formali che saranno previste. Già per l’anno 2016 sarebbe stato possibile effettuare erogazioni liberali, donazioni e atti a titolo gratuito nei confronti dei trust e dei fondi speciali previsti per persone con disabilità, usufruendo poi, con la dichiarazione dei redditi da presentare nel 2017, dell’agevolazione della deducibilità degli stessi nel limite del 20% (dal 10% attuale) e per un massimo non più di 70.000 euro, ma di 100.000 euro. Cosa succederà quindi per chi si è trovato nell’ipotesi più ampia della nuova norma? Il Ministero dovrà dare subito risposte, quanto meno per la compilazione della prossima dichiarazione dei redditi. Tutte le altre agevolazioni inerenti i trust, i vincoli di destinazione ed i fondi speciali si applicano, per legge, a decorrere dal 1° gennaio 2017 e ancor di più era essenziale che questo decreto uscisse almeno entro il 31 dicembre 2016, proprio per non creare problemi per la fruizione anche delle altre agevolazioni.

Livelli essenziali delle prestazioni e obiettivi di servizio

In attesa della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (DL 68/2011), l’articolo 2 della legge sul dopo di noi prevede la definizione di obiettivi di servizio per le prestazioni specifiche da erogare ai beneficiari del fondo, cioè specifici per il dopo di noi. Questi obiettivi di servizio dovevano essere definiti entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge (quindi entro il 24 dicembre 2016). Gli obiettivi di servizio non sono ancora dei livelli essenziali delle prestazioni, ossia dei livelli minimi da garantire in maniera omogenea in ogni Regione ed immediatamente esigibili dai cittadini beneficiari della legge, ma quantomeno definiscono in termini quantitativi cosa concretamente deve essere fatto, determinando quindi anche un controllo sull’azione attuativa della Legge. Sappiamo che i sei mesi non sono perentori, però l’inutile decorso del tempo è indice di una certa responsabilità politica, visto che gli obiettivi di servizio erano addirittura il traguardo più basso da raggiungere rispetto ai veri e propri Livelli essenziali.

La programmazione delle Regioni

Il decreto che fissa i requisiti per l’accesso alle prestazioni a carico dell’apposito Fondo istituito dalla legge 112/2016 e che stabilisce la ripartizione tra le Regioni dei 90 milioni per l’anno 2016, introduce anche alcune novità – o almeno sottolineature che nella legge non erano così esplicite – e definisce alcune priorità.

Partendo da quel decreto, quali indicazioni di lavoro si devono ricordare quindi alle Regioni?

◾La condizione imprescindibile per finanziare una misura attraverso il Fondo per il dopo di noi è l’esistenza di un progetto individuale, o già esistente (quindi la misura sul dopo di noi si inserisce in quel progetto, in coerenza con esso) oppure steso ex novo, considerando, fin dall’inizio, anche l’aspetto del dopo di noi. Il fatto è che il progetto individuale in Italia, pur essendo previsto fin dal 2000 con legge 328, non si fa. Ne esistono pochissimi e si è iniziato a farli solo a seguito di sentenze. Si potrebbero citare decine di episodi in proposito: uno per tutti è quello del progetto individuale chiesto nel 2010 al Comune di Cassano allo Jonio per una studentessa universitaria e redatto solo a novembre 2016 dopo due cause al Tar ed interlocuzioni estenuanti anche mediate il poderoso intervento dell’Anffas Nazionale e dell’Anffas locale di Corigliano. Uno dei nodi più importanti da superare è che le unità di valutazione multidisciplinare presso cui devono essere redatti i progetti individuali, pur essendo previste sulla carta, pressoché da tutte le Regioni, non sono quasi mai partite o non lavorano in base a criteri legati all’ICF, espressamente richiamato invece nel decreto di riparto del Fondo.

Le Regioni, quindi, sono chiamate a ragionare su tali aspetti chiarendo le competenze ed i ruoli delle unità di valutazione multidisciplinare oltre che i criteri e l’approccio che le stesse devono seguire nella costruzione del progetto individuale. Infatti, col progetto individuale si assiste ad un cambio radicale di logica: non si tratta solo di elencare i servizi formali da attivare, ma di ragionare in termini dinamici, prospettici, considerando anche i bisogni della persona che oggi non necessitano di interventi pubblici (perché trovano una risposta informale nel sostegno della famiglia) ma che occorre avere presenti in previsione di quando, al posto del sostegno informale, saranno necessari interventi pubblici, semmai iniziando anche a costruire un percorso di avvicinamento a questi.

Il decreto fa esplicito riferimento a questa logica di progettazione, tanto che si dovrebbe auspicare che nei prossimi anni, a regime, il criterio di riparto del Fondo per il dopo di noi non sia, come avvenuto per questo primo anno, il numero delle certificazioni di disabilità gravi in ogni Regione, ma il bisogno emergente dai vari progetti individuali esistenti.

◾Il secondo aspetto innovativo è che il decreto aggancia al progetto individuale un budget di progetto: il progetto individuale pertanto conterrà, da ora in avanti, il budget di progetto. Il tema concreto quindi sarà come fare in modo che, in sede di atti di programmazione e di provvedimenti regionali per l’utilizzo sul territorio delle risorse attribuite dal Fondo Nazionale, si valorizzino i singoli budget di progetto, facendo in modo quindi che le misure finanziate producano effetti sulle persone ed in coerenza con i loro effettivi bisogni, così come delineati dai loro specifici progetti individuali e non finanzino invece “strutture” di enti, piccoli o grandi. Per essere chiari, facciamo un esempio. Una Regione potrebbe fare un bando aperto agli enti del terzo settore che presentino il progetto di un appartamento per il dopo di noi, apparentemente coerente con la legge e con i requisiti (di capienza, ecc..) previsti dal decreto attuativo, anche rispetto al target dei beneficiari ultimi, ma senza che questi siano concretamente individuati in specifiche persone con un loro specifico progetto individuale, che si dimostri coerente con il progetto dell’Ente stesso.

La Regione in questo modo continuerebbe ancora a finanziare servizi di enti, non i budget di progetto dei singoli. Questa modalità striderebbe con due indicazioni del decreto riparto, quella che parla di budget di progetto (art. 2 del decreto) e quella che nel disegnare le priorità degli interventi (art. 4) parla di singoli beneficiari.

La scelta fatta invece con la nuova legge, e più che mai col decreto attuativo, è che le Regioni tengano conto di questo nuovo approccio. Si possono anche prevedere bandi per il finanziamento di interventi progettati dal Terzo Settore, ma che questi siano costruiti partendo dalle persone concretamente individuate ed in base al loro progetto individuale. È la singola persona che viene prima del progetto ed il progetto deve essere “tagliato su misura” sulle varie persone che rientrano nel progetto di cui si chiede il finanziamento.

Nella prospettiva della legge 112/2016 si deve partire dai progetti individuali e costruire singoli budget di progetto; non fare come si è fatto fino ad oggi finanziando un’ idea progettuale generale e poi andando a cercare i singoli destinatari che possano “riempirla”. È un cambiamento radicale, una sfida epocale, ma contemporaneamente un nodo molto complesso, perché molte sarebbero le difficoltà operative per la Regione che si rivolgesse direttamente alle singole persone e al singolo budget di progetto.

Che fare quindi?

Occorre fare bandi per erogare risorse solo ai progetti che partono dalle persone, anche quando sono presentati da enti del Terzo Settore che, semmai, hanno avuto la capacità e la sensibilità di accompagnare la costruzione del progetto e del budget di progetto di ciascuna persona ed anche eventualmente di mettere insieme persone che hanno progetti di vita e budget tra loro conciliabili, dovendosi – si ripete – sempre partire da questi.

L’esperienza di Anffas insegna che il Terzo settore ha la capacità di andare a coniugare tutti questi aspetti, di fare una progettazione non di “case”, ma di progetti individuali, di fare un accompagnamento alla costruzione di un budget di progetto o di convogliare budget di più persone in una soluzione che valorizzi i singoli progetti individuali delle stesse. È possibile pensare di creare protocolli di intesa della Regione con organizzazioni del Terzo settore esperte in questa progettazione, anche perché si aiutino le famiglie o i gruppi di famiglie a costruire loro soluzioni, facendogliele pure presentare direttamente.

Quanto ipotizzato per il Terzo settore può essere pensato anche per gli enti locali?

Sì, ma solo se questi non pensino che in tal maniera, ricorrendo alle risorse del Fondo, possano dismettere gli interventi cui istituzionalmente sono tenuti, visto anche che tali misure sono, per definizione stessa della legge, integrative ed aggiuntive a quelle già esistenti.

◾Il terzo tema da affrontare operativamente, nelle Regioni, riguarda la verifica degli esiti delle misure finanziate. La legge parla di revoca dei finanziamenti (art 3 comma 3) e di verifica dell’attuazione delle attività svolte.

“Verifica dell’attuazione” significa verificare che le cose siano fatte? O anche verifica degli esiti di quelle azioni, dell’impatto, dei miglioramenti delle condizioni di vita delle persone con disabilità beneficiarie delle misure? Nella logica del progetto individuale, dinamico, stiamo parlando indiscutibilmente della seconda verifica: in un progetto dinamico si devono verificare gli esiti avuti sulle persone e ricalibrare continuamente i sostegni, anche perché non serve pagare servizi che non servono a niente.

Tutto questo è molto complesso, ma per esempio, Anffas ha sperimentato le cosiddette “matrici ecologiche e dei sostegni” ossia un innovativo sistema, tradotto in software, tramite il quale non solo è possibile progettare in maniera flessibile servizi e sostegni per le persone con disabilità, ma soprattutto verificarne gli esiti, nel tempo (clicca qui per maggiori informazioni sul progetto). Purtroppo il decreto attuativo nulla ha aggiunto a tal proposito, ma sarebbe bene che in sede di atti regionali, si individuino subito quantomeno alcuni indici numerici con cui poter fare una prima verifica, auspicando poi gradualmente il raggiungimento anche di quella verifica, sopra detta, sugli esiti rispetto alla condizione delle persone con disabilità beneficiarie. Ad esempio, sarebbe interessante verificare il numero di persone che hanno ottenuto un progetto personalizzato, il dettaglio del numero di persone inserite in ciascuna misura prevista dal fondo (casa, gruppo appartamento, “palestre di vita”….), la dimensione delle soluzioni alloggiative, oltre ad aversi una verifica rispetto ai finanziamenti erogati , come previsto dalla legge.

La campagna informativa

Un ultimo aspetto per la piena attuazione della legge sul dopo di noi riguarda il rendere le persone con disabilità, le famiglie e chi è vicino alle stesse consapevoli dei nuovi strumenti e delle nuove possibilità. Questo cambiamento non può esserci se le persone con disabilità con il supporto ed il sostegno della famiglia o di chi le protegge giuridicamente (tutore, curatore, amministratore di sostegno) non chiedono il progetto individuale e se non si crede al protagonismo della persona con disabilità. Occorre anche rendere informate le famiglie su come essere co-protagonisti nella costruzione del progetto di vita, lasciando loro anche la possibilità di partecipare alla costruzione di tutto ciò con le loro risorse, mettendo, ad esempio, a disposizione proprio la casa di abitazione dove la persona con disabilità continuerà a vivere o facendo un trust.

Manca ancora, quindi, una campagna informativa che si rivolga alle persone con disabilità ed alle loro famiglie e dica loro “Sai che hai diritto a un progetto individuale? A un budget di progetto? Sai che la persona con disabilità insieme al tuo supporto e sostegno ha diritto a progettare il suo futuro?”. Molte famiglie possono non avere la capacità di costruire da sole questo percorso, specie quello di prevedere un modello dell’abitare in autonomia e per questo devono sapere che possono anche collaborare con altre famiglie o ricorrere all’esperienza di organizzazioni del Terzo settore.

Le stesse Regioni ed enti locali devono essere consapevoli delle opportunità di tale legge, visto che, anche loro, come le famiglie e gli enti del Terzo settore, possono co-finanziare gli interventi sostenuti sul loro territorio con le risorse del Fondo per valorizzarle e dar vita ad un nuovo “welfare generativo”. Per vincere la sfida bisogna unire tutti: Regioni, Comuni, famiglie, associazioni, fondazioni ed enti privati.

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DELEGA INCLUSIONE, INSEGNANTI DI SOSTEGNO VINCOLATI PER 10 ANNI

Fonte www.vita.it – Sono stati trasmessi alla Camera i testi degli otto decreti legislativi approvati il 14 gennaio dal Consiglio dei Ministri, per l’esercizio delle deleghe contenute nella legge sulla Buona Scuola.

Ecco una sintesi dei 21 articoli che costituiscono il testo dello Schema di decreto legislativo recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità (n. 378). Il testo sarà esaminato delle commissioni VII Cultura e XII Affari Sociali e V Bilancio, con termine il 17 marzo 2017.

La premessa

Nella relazione si legge che «il concetto di “scuola inclusiva” ha avuto un’evoluzione storico-culturale» rispetto alla legge del 1971 che propose un nuovo modello di scolarizzazione degli alunni con disabilità nelle classi comuni anziché nelle classi “speciali”. Se inizialmente l’inclusione era «garantire il diritto di istruzione e successo formativo dei minori disabili», oggi «rappresenta un valore fondamentale e fondante l’identità stessa delle singole istituzioni scolastiche, siano esse statali o paritarie, valido per tutti gli alunni e studenti». Citando gli atti legislativi di questi anni, tra cui la Convenzione Onu, si afferma che «tutti gli atti citati vanno nella direzione di superare, necessariamente, la vecchia concezioni di “presa in carico” da parte dei docenti degli alunni e degli studenti con disabilità di cui alla legge n. 104 del 1992, ribadendo che l’inclusione scolastica, perché sia effettiva, interessa tutte le componenti scolastiche, e non solo il docente di sostegno, ovvero dirigenti scolastici, docenti, personale ATA, studenti e famiglie nonché tutti gli operatori istituzionali deputati al perseguimento degli obiettivi di inclusione e che vivono l’esperienza scolastica inclusiva in termini di “supporto” all’alunno e allo studente con disabilità, qualificandola quale “impegno fondamentale” per tutte le risorse umane e professionali che operano nelle scuole».

Nel testo è scritto quindi che «l’inclusione riguarda tutti gli alunni e gli studenti» ed è «impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica». Lo strumento per attuare l’inclusione è il Piano Educativo Individualizzato, parte integrante del progetto individuale di cui alla legge 328/2000 (che sappiamo ha trovato fino ad ora scarsissima realizzazione, quindi ben venga questa citazione esplicita).

«La norma – è scritto – ricalca appositamente il concetto di “condivisione” nell’ambito della definizione del PEI, agganciandosi così a quell’idea cooperativa di inclusione scolastica che non riguarda solo il docente di sostegno, ma tutte le componenti scolastiche rimarcando al contempo, nell’ambito dei diritti, tutte le misure previste a legislazione vigente, per il supporto, anche materiale, necessario per l’inclusione scolastica».

L’articolo 3 (Prestazioni e competenze), individua le prestazioni per l’inclusione scolastica, scandendo un chi fa cosa rispetto ai compiti di Stato ed enti locali. L’articolo 4 qualifica l’inclusione scolastica come un elemento portante dei processi di valutazione e di autovalutazione delle scuole, nell’ambito del Sistema Nazionale di Valutazione (2013). Ad oggi nel Sistema di Valutazione, nei RAV e nei Piani di miglioramento, l’inclusione è un po’ una cenerentola (qui la denuncia delle associazioni), mentre ora al comma 2 almeno formalmente vengono introdotti dei criteri relativi al processo di valutazione e di autovalutazione delle Istituzioni scolastiche, statali e paritarie, in tema di inclusione scolastica, obiettivi che dovrebbero consentire alle scuole di valutare la propria azione inclusiva, di misurarla e di individuare le opportune strategie per migliorarla o consolidarla.

Le novità operative

La disabilità di un alunno verrà certificata con una “valutazione diagnostico-funzionale” in luogo della “diagnosi funzionale” e del “profilo dinamico-funzionale”. Su questa valutazione si appoggeranno le diverse provvidenze, ivi incluso il diritto al sostegno didattico, di cui l’alunno ha bisogno (e diritto) per una piena inclusione scolastica.

La relazione afferma che «si tratta di una semplificazione sia in termini documentali (un solo documento in luogo di due) che in termini temporali (i due documenti, redatti da soggetti diversi, implicavano un allungamento dei tempi». L’articolo 6 modifica l’attuale assetto delle Commissioni mediche, prevedendo che siano composte da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici dei quali uno scelto tra gli specialisti in neuropsichiatria infantile e l’altro tra gli specialisti in pediatria.

Le Commissioni sono integrate dal medico INPS, da un rappresentante dell’ Amministrazione scolastica con specifiche competenze in materia di disabilità, da uno specialista (terapista della riabilitazione) e dall’operatore sociale. L’idea è che si definisca collegialmente sia il funzionamento dell’alunno e dello studente con disabilità sia, in un momento successivo a quello della redazione della valutazione diagnostico-funzionale, la tipologia di provvidenze di cui ha diritto, «invertendo l’attuale prassi» che fa sostanzialmente coincidere la condizione di gravità e l’attribuzione delle provvidenze, incluso il sostegno didattico, senza che vengano rilevati i bisogni effettivi di assistenza e di educazione per il singolo alunno.

«La Commissione, come integrata nelle modalità indicate, sarà maggiormente responsabilizzata nell’identificare le provvidenze sulla base della valutazione diagnostico-funzionale e non sul solo dato della “disabilità certificata”. In tal modo, si corrisponderà meglio agli effettivi bisogni dell’alunno e dello studente con disabilità nell’ambito delle provvidenze che ciascun soggetto istituzionale è tenuto ad erogare, evitando attribuzioni “meccaniche” che nulla hanno a che vedere con i bisogni effettivi di integrazione».

L’articolo 7 definisce la procedura per l’inclusione scolastica nell’ambito delle certificazione, specificando, per ciascuna fase chi fa cosa e introducendo tempistiche certe per l’evasione delle pratiche: « La procedura, in sintesi, solleva la famiglia da numerosi incombenti burocratici perlopiù demandati al medico di base e alla scuola».

Gli insegnanti di sostegno

L’articolo 12 istituisce i ruoli del personale per il sostegno per ciascun grado di istruzione, inclusa la scuola dell’infanzia (come previsto dalla Buona Scuola). Gli insegnanti di sostegno dovranno restare 10 anni sul sostegno al posto degli attuali cinque (nel conto vale anche il servizio pregresso, non si parte da oggi). «Si tratta di una disposizione di particolare rilievo che favorisce la continuità didattica ed elimina trattamenti giuridici differenziati tra personale con contratto di lavoro a tempo determinato e personale a tempo indeterminato», si legge nella relazione.

Per diventare insegnante di sostegno nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria si prevede un corso di specializzazione in pedagogia e didattica speciale per le attività di sostegno didattico e l’inclusione scolastica, annuale e ad accesso programmato, con 300 ore di tirocinio e 60 crediti che sostituisce il precedente corso annuale.

Dall’anno 2019 potranno accedervi solo chi ha una laurea magistrale in Scienze della Formazione primaria che abbiano oltre ai crediti previsti dalla laurea altri 60 crediti formativi specifici.

«In pratica, per rafforzare le conoscenze necessarie per poter svolgere la professione di docente di sostegno, si richiede agli aspiranti insegnanti una preparazione più solida sui temi dell’inclusione, corrispondente in totale a 120 CFU da acquisire 60 preventivamente allo svolgimento del corso e ulteriori 60 nell’ambito del predetto corso di specializzazione, fermo restando il conseguimento preventivo della laurea abilitante in scienze della formazione primaria quale requisito “base” per lo svolgimento della funzione docente».

Idem per la scuola secondaria di primo e secondo grado, tranne che la laurea richiesta è quella di ciascuna classe di concorso, con prova d’accesso al corso di specializzazione.

L’articolo 15 prevede anche formazione in servizio per il personale della scuola, con specifiche attività formative appositamente calibrate per quei docenti, curricolari e di sostegno, che insegnano in classi in cui sono presenti alunni o studenti con disabilità. La formazione dovrà essere rivolta anche al personale ATA, che è tenuto a parteciparvi, al personale dirigenziale, sia all’atto dell’immissione in ruolo che durante lo svolgimento dell’intera carriera.

Il dirigente può proporre anche ai docenti dell’organico dell’autonomia di svolgere attività di sostegno, ma solo se in possesso di specifica specializzazione. Per favorire la continuità didattica in sede di conferimento delle supplenze, si prevede una disposizione per cui, in caso di fruttuoso rapporto docente-alunno, il contratto a tempo determinato possa essere prorogato al medesimo docente per l’anno scolastico successivo, ma solo a lezioni avviate e fermi restando i diritti del personale a tempo indeterminato.

L’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica

L’articolo 17 formalizza l’esistenza di un Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica, già esistente, ma ora scritto nero su bianco in una fonte di rango primario. L’Osservatorio è composto dai rappresentanti delle Associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative sul territorio nazionale nonché da altri soggetti pubblici e privati individuati dal Ministro. Quello in carica, nominato a fine agosto 2015, è stato convocato una, forse due sole volte e mai – nonostante le dichiarazioni iniziali – ha esaminato e discusso il presente testo della delega sull’inclusione scolastica, «in palese violazione di quanto afferma la Convenzione Onu, il mondo della disabilità è stato tenuto fuori dalle decisioni», chiosa Vincenzo Falabella, presidente della Fish*.

La copertura finanziaria

Tutto avviene nell’ambito delle risorse disponibili, fatta eccezione per gli oneri relativi all’istituzione del GIT-gruppo per l’inclusione territoriale (art 8) per cui si prevedono 3,32 milioni di euro per il 2017 e 9,95 per il 2018, presi dal fondo della Buona Scuola (che viene conseguentemente ridotto).

*Cui Anffas Onlus aderisce

Diadmin

QUASI UN ALUNNO SU DUE HA CAMBIATO INSEGNANTE DI SOSTEGNO

Fonte www.dire.itSono oltre 100mila gli alunni con disabilità (il 43% del totale) su 233mila che quest’anno hanno cambiato insegnante di sostegno. E’ uno degli effetti della mobilità delle scuole statali secondo il rapporto di Tuttoscuola.com, che in generale ha riguardato oltre 250mila docenti, uno su tre.

A livello generale, gli alunni che hanno iniziato l’anno scolastico con almeno un insegnante nuovo sono più di 2 milioni e mezzo (33%). Secondo il rapporto, ad alimentare il clima di instabilità che ruota attorno ai docenti, non aiuta l’ingente numero di contratti a tempo determinato: circa 100mila supplenti annuali, quasi il 13% dei posti, tra i quali 41mila impegnati nel sostegno ai disabili. Una discontinuità didattica che non aiuterebbe gli alunni affetti da disabilità – ripartiti quasi equamente tra nord e sud – che necessitano di un rapporto con il docente nettamente maggiore rispetto agli altri ragazzi.