IL PRESIDENTE NAZIONALE DI ANFFAS ONLUS COMMENTA GLI ULTIMI DATI FORNITI DALL’INPS
I falsi invalidi esistono e vanno scovati e perseguiti assieme a coloro che falsamente li hanno certificati e riconosciuti.
Lo sostiene da tempo Anffas Onlus, Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, che, tutelando i diritti delle “vere” persone con disabilità e delle loro famiglie ritiene fondamentale il contrasto ad ogni forma di abuso. Ma l’Associazione, al tempo stesso, non “ci sta” a sentire attribuire i risultati ed i meriti delle truffe giustamente scovate dai programmi di verifica condotti da INPS e ritiene sia importante, ancora una volta garantire una corretta informazione a tutta la comunità, facendo chiarezza su numeri, dati, dichiarazioni che continuano ad emergere sull’argomento. Le persone con disabilità ed i loro familiari sono infatti stanchi di essere vessati ed additati come “scrocconi”.
“I risultati del contrasto – quello vero – ai falsi invalidi non possono essere certo ascritti ad INPS, ma alle Forze dell’Ordine e della Magistratura, a cui va il nostro plauso ed incoraggiamento a proseguire nella direzione intrapresa” dichiara Roberto Speziale, Presidente Nazionale dell’Associazione “Ma per commentare quanto realizzato dall’INPS in questi ultimi anni ci verrebbe da dire che «errare umanun est, perseverare autem diabolicum» (errare è umano, ma perseverare è diabolico) e con un ancora più appropriato «Cui prodest?» (a chi giova?)”
E prosegue il Presidente commentando la risposta data, in Commissione Affari Sociali della Camera, dal sottosegretario Biondelli all’interrogazione parlamentare presentata dall’On. Lenzi del PD per conoscere le cifre dell’attività dell’INPS nel “contrasto ai falsi invalidi” degli ultimi anni: “È importante fare chiarezza e leggere bene i dati forniti al Parlamento dall’INPS per le verifiche straordinarie sulle persone con disabilità negli ultimi cinque anni”.
I dati, infatti, riportano un numero di alcune migliaia di persone a cui sono stati revocati in tutto o parte i benefici economici precedentemente riconosciuti per invalidità civile, ma non si precisa che tali revoche sono determinate da una serie di fattori che ben poco hanno a che vedere con lo smascheramento di truffatori in possesso di certificazioni false.
Innanzitutto l’INPS ha illegittimamente conteggiato tra le verifiche straordinarie anche le revisioni ordinarie, ossia gli accertamenti previsti dopo un certo lasso di tempo rispetto al primo accertamento per quelle patologie che possono col tempo regredire, come per esempio quelle tumorali, debellabili o contenibili attraverso interventi chirurgici o trattamenti oncologici. Non a caso, appunto, le maggiori revoche indicate nelle tabelle dell’Inps sono per le patologie tumorali.
“Anffas lo ha fatto notare ormai da tempo, ma adesso lo si è definitivamente acclarato – precisa Speziale – con la sentenza del Tar Lazio n. 3851 del 9 aprile scorso su ricorso presentato dalla nostra Associazione con il supporto della FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap). La sentenza ha infatti confermato che per anni l’INPS ha illegittimamente considerato nel novero delle verifiche straordinarie di contrasto ai falsi invalidi le revisioni ordinarie, utilizzando, tra l’altro poteri eccezionali (vedasi l’unica visita diretta innanzi all’INPS) con minori garanzie per i cittadini”.
Altro dato da chiarire è quello della percentuale delle revoche inerenti le certificazioni per le persone con disabilità intellettiva e/o relazionale che ha risentito di due ulteriori circostanze.
“Nel considerare il 17% delle revoche dei benefici per persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, che tutto possono essere ma certamente mai falsi invalidi, bisogna ricordare che tali persone sono state sottoposte a visita senza la presenza del medico di categoria Anffas, come prevedono precise normative, privandole, quindi, di quell’apporto scientifico e professionale che sarebbe servito per una più consona valutazione da parte della Commissione Inps”.
“Tutto ciò – ricorda il Presidente Speziale – è stato censurato anche nella ricordata sentenza del Tar Lazio e le determinazioni prese in tali commissioni saranno del tutto sconfessate attraverso l’impugnazione dei verbali emessi”.
Tra l’altro, molto spesso tali Commissioni, nel valutare la capacità delle persone con disabilità intellettiva e/o relazionale a compiere gli atti quotidiani della vita per confermare le pregresse indennità di accompagnamento, hanno fatto riferimento solo alla capacità meccanica, da parte delle stesse, di compiere tali atti, senza valutare anche la capacità di programmazione e di autodeterminazione nel compimento degli stessi, così come da decenni insegna costante giurisprudenza della Cassazione ed anche questo, secondo l’Associazione, determinerà censure giudiziarie delle revoche così emesse.
Conclude Roberto Speziale: “Tutto ciò pone un problema più ampio; è impossibile continuare a valutare le persone con disabilità, con mere tabelle percentuali di incapacità lavorativa generica, senza considerare l’effettiva necessità di sostegni delle persone nel vivere i vari ambienti sociali. Occorre un’immediata riforma che azzeri l’attuale sistema di valutazione ed accertamento, utilizzando sistemi e strumenti aggiornati – a partire dall’ICF – e costruendo progetti personalizzati che garantiscano a ciascuno i sostegni adeguati a poter vivere una vita di qualità incluse nella società. Ciò è previsto anche dal Programma d’azione biennale sulla disabilità del Governo ed è un tema al quale la stessa Fish ha dedicato uno specifico gruppo di lavoro, che sarà – tra l’altro – coordinato da Anffas per tramite del sottoscritto”.
Fonte www.vita.it – In data 19 maggio 2014 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale serie generale n.78 la L. 78 del 16 maggio 2014 che, convertendo il D.L.34/2014, ha apportato modifiche alla norma originaria chiamata Jobs Act.
Contratto a tempo determinato (art.1)
La prima novità è data dal prolungamento della durata di questa formula contrattuale, compreso il contratto di somministrazione, da 12 a 36 mesi per i contratti per i quali viene ribadita la non necessità di indicare la causale per la sua stipula. Il numero massimo di proroghe per un contratto a tempo determinato passano da un massimo di 8 volte previsto dal D.L.34/2014 a 5, entro il limite temporale di 36 mesi, purchè le proroghe si riferiscano alla identica attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato. Rimane confermata l’obbligo per l’azienda di non superare assunzioni a tempo determinato oltre il 20% dell’organico complessivo e per le aziende che in organico hanno non più di 5 dipendenti è sempre possibile assumere una persona con un contratto a tempo determinato. Questa decisione è stata presa per venire incontro alle piccole realtà, come ad esempio ODV e coop. Sociali.
Esiste l’obbligo per il datore di lavoro di fornire al lavoratore, entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione copia dell’atto scritto del contratto. La norma lascia comunque inalterata qualunque indicazione provenga dalla contrattazione collettiva per il numero dei contratti a tempo determinato. Importante novità è quella relativa alla prosecuzione del rapporto di lavoro dopo il superamento del termine prefissato o successivamente prorogato. Il datore di lavoro dovrà pagare una maggiorazione della retribuzione del:
– 20% per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non risulti superiore ad uno;
– 50% per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale risulti superiore ad uno. Il datore che alla data di entrata in vigore del D.L.34/2014 ha superato tali limiti percentuali dovrà rientrare entro il 31 dicembre 2014, tranne che un contratto collettivo applicabile al datore non preveda un limite percentuale o un termine più favorevole.
Nel caso in cui il datore non dovesse adeguarsi, non potrà più assumere a tempo determinato fino a quando non regolarizza la propria posizione Dalla conversione in legge esce rafforzato il diritto di precedenza ad essere assunte da parte di donne in congedo di maternità per assunzioni a tempo indeterminato che il datore di lavoro intende effettuare nei 12 mesi successivi per personale da impiegare con le stesse mansioni oggetto del contratto a termine.
Contratto di apprendistato
La forma scritta è stata prevista per il contratto e il periodo di prova, e reintrodotta per il piano formativo individuale considerando moduli e formulari che verranno stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali. L’obbligo di stabilizzazione degli apprendisti scende dal 30% previsto dal decreto legge n.34/2014 al 20% previsto dalla legge di conversione. È stato previsto che spetta alle singole regioni dover comunicare al datore di lavoro pubblico l’offerta formativa pubblica, entro quarantacinque giorni dalla data in cui è avvenuta la comunicazione della avvenuta assunzione. È stato anche previsto che nelle regioni e nelle province autonome di Trento e Bolzano che abbiano previsto un sistema di alternanza scuola lavoro, i CCNL stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, dovranno prevedere modalità specifiche di utilizzo dei contratti di apprendistato per lo svolgimento di attività stagionali.
Il lavoratore che viene assunto con un contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale non percepirà più la retribuzione piena dovuta durante il periodo formativo, ma per la parte riferita alle ore di formazione la retribuzione dell’apprendista dovrà essere pari al 35% della retribuzione prevista dal contratto.
D onne che intendono rientrare nel mondo del lavoro
Le donne che intendono rientrare nel mondo del lavoro, possono provare il loro stato disoccupazionale non più solo nel Centro per l’impiego dove si trova il proprio domicilio, ma in qualunque Centro per l’impiego italiano.
Semplificazione del Durc
È prevista l’emanazione, entro 60 giorni dal 21 marzo 2014, di un Decreto Interministeriale (lavoro e finanze) per la semplificazione del Durc (Documento unitario regolarità contributiva). In pratica dalla data di entrata in vigore del decreto interministeriale sarà possibile visualizzare telematicamente la regolarità dell’azienda nei confronti dell’Inps, dell’Inail e della cassa Edile. L’esito di questa interrogazione sostituirà di fatto l’attuale Durc.
Contratti di solidarietà
Questo articolo prevede l’emanazione di un decreto interministeriale (Lavoro e Finanze) con cui dovranno essere definiti i criteri per individuare i datori di lavoro che potranno beneficiare della riduzione contributiva per i lavoratori interessati dai contratti di solidarietà.
Fonte www.superabile.it – Scende la spesa per le politiche di welfare nei comuni italiani. Nel 2011, per la prima volta dal 2003, la spesa sociale risulta in diminuzione rispetto all’anno precedente. Le risorse destinate dai Comuni alle politiche sociali territoriale ammontano, infatti, a circa 7 miliardi e 27 milioni di euro, al netto della compartecipazione alla spesa da parte degli utenti e del Sistema sanitario nazionale, con una diminuzione dell’1 per cento rispetto al 2010.
“Fra il 2010 e il 2011” – spiega l’Istat nel suo rapporto annuale – “la spesa procapite diminuisce in quasi tutte le regioni italiane ma, in rapporto ai valori preesistenti, il calo più consistente si osserva al Sud (-5 per cento), dove i valori medi erano già nettamente al di sotto della media nazionale”.
Al Nord-ovest e al Nord-est la spesa diminuisce rispettivamente del 3 e dell’1 per cento, mentre aumenta dell’1 per cento sia al Centro che nelle Isole. Una persona residente al Sud beneficia mediamente di una spesa sociale annua di circa 50 euro per i servizi e gli interventi offerti dai Comuni, contro i 160 euro del Nord-est. Nel 2011, la spesa corrente impegnata dai Comuni per gli asili nido, al netto della compartecipazione pagata dagli utenti, è stata pari a 1 miliardo e 245 milioni di euro; quella impegnata per i servizi integrativi per la prima infanzia, che include i cosiddetti “nidi famiglia”, risulta di poco inferiore ai 60 milioni di euro, comprensiva degli oltre 9 milioni e mezzo a carico delle famiglie.
L’offerta di asili nido e di servizi integrativi per la prima infanzia mostra ampi divari territoriali. I bambini che usufruiscono di asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,5 per cento del Sud al 17,1 per cento del Nord-est, mentre la percentuale di Comuni che garantiscono la presenza del servizio varia dal 24,3 per cento del Sud all’82,6 per cento del Nord-est.
La spesa rivolta alle persone con disabilità aumenta di circa 35 milioni di euro dal 2010 al 2011 (+ 2,2 per cento). Anche in questo caso le differenze territoriali sono molto rilevanti: mediamente un cittadino con disabilità residente al Nord-est usufruisce di servizi e interventi per una spesa annua pari a 5.370 euro, contro i 777 euro del Sud.
La spesa dei Comuni rivolta agli anziani è in diminuzione rispetto all’anno precedente, sia in valore assoluto che come quota percentuale sul totale della spesa sociale: si passa da 1 miliardo 492 milioni del 2010 a 1 miliardo 388 milioni del 2011 (-7 per cento) e dal 20,9 per cento al 19,8 per cento della spesa sociale complessiva.
In calo anche la spesa dei Comuni per la povertà e il disagio (-2 per cento dal 2010 al 2011), nonostante risultino in crescita le difficoltà economiche nella popolazione.
Per maggiori informazioni
Fonte www.superando.it – «A settembre, con l’inizio del nuovo anno scolastico, c’è il rischio che non tutti gli studenti possano tornare a sedersi sui banchi di scuola. Infatti, gli alunni con gravi disabilità che frequentano le scuole superiori potrebbero non avere il supporto dell’assistenza educativa, mentre i bambini e gli adolescenti con disabilità visiva e uditiva potrebbero non trovare in classe l’assistente alla comunicazione».
La denuncia arriva dalla LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’handicap), alla luce della situazione causata dall’impasse di alcuni enti e dai tempi programmati in base alla Legge 56/07 (Disposizioni sulle Città Metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni), meglio nota come “Legge Delrio”, che prevede la riorganizzazione delle Province e la redistribuzione delle loro competenze.
«Il rischio più concreto – secondo la LEDHA – è che gli interventi destinati agli alunni con difficoltà non vengano attivati per tempo, costringendo quindi decine di ragazzi a non poter di fatto frequentare le lezioni».
«Queste settimane – si legge ancora nella nota diffusa dalla Federazione lombarda -, rappresentano un momento di transizione delicato che preoccupa non poco le famiglie e le associazioni di persone con disabilità. In tal senso abbiamo raccolto la preoccupazione di molti familiari e delle associazioni della nostra rete, tra cui quelle provenienti dall’ALFA (Associazione Lombarda Famiglie Audiolesi) e dall’ANS (Associazione Nazionale Subvedenti). In esse viene fotografata una situazione di incertezza che mette in seria difficoltà anche la programmazione, da parte delle scuole, per il prossimo anno scolastico».
«Gli interventi che garantiscono ai bambini e agli adolescenti con disabilità di frequentare la scuola – concludono i rappresentanti della LEDHA – devono essere attivati già dal mese di settembre su tutto il territorio della Lombardia e non possono essere rimandati. Per questo motivo, oltre ad avere già attivato i nostri referenti territoriali per avere un quadro più completo della situazione, chiediamo a tutte le Istituzioni coinvolte (Province, Regioni e Ufficio Scolastico Regionale) il massimo impegno per garantire tempistiche e modalità certe sull’erogazione di questi fondamentali servizi». (S.B.) Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it.
Fonte www.vita.it – No alla tassazione di scopo sull’azzardo, qui ne va del futuro di tutti, non del bilancio dei comuni. La richiesta è arrivata forte e chiara, per voce di Riccardo Bonacina e Franco Bomprezzi, al Premier Renzi, in visita nella redazione di Vita il 20 maggio scorso, per illustrare l’imminente riforma del Terzo Settore.
La trappola potrebbe infatti nascondersi proprio tra le pieghe di una riforma, a lungo attesa e sempre disattesa, che oggi sembra trovare una insperata accelerazione finale.
Il terzo settore, ha ribadito Renzi solo pochi giorni fa, è centrale nel suo progetto. Un progetto che – il Premier ne è consapevole – non inciamperà come molti sperano su una questione tanto delicata. Da anni, i concessionari dell’azzardo legale vanno dicendo che il modello da seguire per finanziare il terzo settore e il welfare che verrà è quello spagnolo o finlandese.
Che cosa significa? Significa che, anziché finire nelle fiscalità generale, la tassazione dell’azzardo dovrebbe essere vincolata a uno scopo. Da parte loro, i rappresentanti di alcune amministrazioni comunali stanno facendo passare l’idea che una tassa di scopo sull’azzardo non li vedrebbe affatto contrari. Di recente, un ex sottosegretario all’economia, molto vicino a un mondo che movimenta, si era spinto a ipotizzare l’istituzione delle municipalizzate dell’azzardo.
Una provocazione? Non troppo, vista l’insistenza con cui, da più parti, si invoca il provvedimento. L’imposta di scopo è segnata in bilancio con contabilità separata.
Si definisce “di scopo” perché è – o dovrebbe essere – finalizzata a una particolare destinazione. Con due conseguenze evidenti a tutti: poiché le risorse per scuole, ospedali, associazioni e via discorrendo si prendono dalla tassazione sull’azzardo, da un lato l’azzardo si ritroverebbe eticamente “ripulito” e, dall’altro, sarebbe in futuro impossibile intervenire su di esso e sulle sue distorsioni senza produrre effetti negativi sul settore che da lì trae le proprie risorse.
Un esempio: io rovino la gente con le “macchinette” o i gratta & qualcosa, ma poi i soldi li do al comune che, tramite i suoi servizi sociali, si occuperà di “sostenere” le persone che io ho rovinato. Un circolo vizioso, anzi: una vera e propria trappola.
Le risorse vanno trovate altrove e l’azzardo deve tornare a essere considerato per quello che è: una distorsione della vita comunitaria, non un mezzo per indurla a batter cassa.
Detto questo, una tassazione che vada invece nel senso della fiscalità generale – con l’aumento dei prelievi, spesso risibili, sulla filiera dell’azzardo legale – senza vincolarli a uno scopo resta invece un’opzione non solo possibile, ma necessaria in termini di equità.
Per approfondire
Leggi l’articolo “Ecco come è nata la riforma del Terzo Settore”
Leggi il comunicato stampa FISH sulla riforma
Fonte www.grusol.it – Anche se la Legge Quadro 104/92 si occupava per lo più di scuola, essa stabiliva chiaramente che al bambino da 0 a 3 anni con disabilità dovesse essere «garantito l’inserimento negli asili nido». E già all’inizio degli Anni Settanta, si era parlato di «educazione e socializzazione dei bambini, prima dell’ingresso nella scuola dell’infanzia».
Vediamo dunque l’attuale situazione del settore, fornendo anche qualche utile indicazione alle famiglie
Così, più di quarant’anni fa, la Legge 1044 del 1971 aveva definito gli asili nido: «L’assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a tre anni, nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico». Quella norma sembrava poggiare l’attenzione soprattutto sul sollievo della famiglia, e in particolare delle madri, dal peso della gestione quotidiana dei figli piccoli, al fine di consentir loro l’attività lavorativa. Proprio a tale scopo, infatti, furono anche stanziati dei fondi a favore dei Comuni. Con il passare del tempo, però, a quell’obiettivo originario se n’è affiancato un altro, sempre più emergente, e cioè quello dell’educazione e della socializzazione dei bambini, prima dell’ingresso nella scuola dell’infanzia. Per tale motivo, ad assumere un maggiore peso educativo fu via via l’articolo 6, comma 1, punto 3 di quella norma, che recitava: «[gli asili-nido debbono] essere dotati di personale qualificato, sufficiente ed idoneo a garantire l’assistenza sanitaria e psicopedagogica del bambino».
La formazione psicopedagogica degli operatori, in sostanza, venne acquistando sempre più importanza. Quando poi nel 1992 fu approvata la Legge Quadro 104 sulla disabilità, essa, pur occupandosi per lo più di scuola, all’articolo 12, comma 1 stabiliva che al bambino da 0 a 3 anni con disabilità fosse «garantito l’inserimento negli asili nido». Qui l’espressione «garantito» significa chiaramente che la legge riconosce un diritto e che tale diritto è rafforzato dall’articolo 3, comma 3 della medesima Legge, laddove si dice che per gli alunni in situazione di disabilità grave l’accesso ai servizi previsti «assume connotazione di priorità». Ciò significa che i bimbi con certificazione di disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 3 della Legge 104/92 hanno diritto di priorità di accesso agli asili nido, in caso di eccesso di domande di iscrizione.
Questo, ovviamente, purché si tratti di asili nido attivati dal Comune di residenza del bimbo; in quelli, invece, di altri Comuni, il bambino con disabilità, anche grave, deve rispettare le graduatorie, secondo i criteri fissati localmente. A riprova della prevalente funzione educativa di tali servizi, va ricordato poi che sempre la Legge 104, all’articolo 13, comma 2, prevede che i Comuni possano adeguare «l’organizzazione e il funzionamento degli asili-nido» alle esigenze dei bambini con disabilità, «al fine di avviarne precocemente il recupero, la socializzazione e l’integrazione, nonché l’assegnazione di personale docente specializzato e di operatori ed assistenti specializzati».
Addirittura la previsione di tre tipologie di personale specializzato, docente, assistente educativo ed operatore per l’assistenza materiale, chiarisce bene quale sia stata la volontà del Legislatore nella necessità di assicurare interventi precoci di recupero, socializzazione e integrazione. Pertanto, alla luce di tutto ciò, le famiglie possono chiedere ai Comuni la costituzione di asili nido propri o il convenzionamento con asili nido privati che abbiano i requisiti richiesti dai Comuni stessi, anche sulla base delle rispettive Leggi Regionali in materia.
Alcune considerazioni, infine, anche rispetto al pagamento delle rette. Per quelle previste dagli asili nido comunali, si ritiene che i Comuni intendano adottare criteri orientati all’utilizzo dell’ISEE familiare [l’ISEE è l’Indicatore della Situazione Economica equivalente, N.d.R.], tenendo conto del coefficiente concernente la presenza di minori con disabilità.
Si ritiene tuttavia possibile l’applicazione dell’articolo 3, comma 2 ter del Decreto Legislativo 130/00, secondo il quale – nei percorsi sociosanitari – i servizi vanno forniti alle persone con disabilità sulla base del solo ISEE personale e non familiare, poiché dall’espressione indicata sia nell’articolo 6, comma 1, punto 3 della citata Legge 1044/71 («assistenza sanitaria»), sia nell’articolo 13, comma 2 della Legge 104/92, risulta chiaramente che gli interventi precoci sono non solo di socializzazione, ma anche di «recupero sanitario ed integrazione» e quindi hanno una stretta interconnessione sociosanitaria.
In caso di conflitto, pertanto, occorrerà attendere le decisioni del Governo, conseguenti al recente Decreto sul nuovo ISEE
*Già vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, cui Anffas Onlus aderisce). Responsabile del Settore Legale dell’Osservatorio Scolastico dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down). Il presente testo è il riadattamento di una scheda apparsa anche nel sito dell’AIPD