Fonte www.superando.it – Come si evince dalla “Seconda Relazione sullo stato di attuazione della Legge 112/16” (la “Legge sul Dopo di Noi”), recentemente trasmessa alle Camere, in larghissima parte i fondi messi a disposizione da quella norma non sono ancora arrivati alle famiglie. «Sono le Regioni – sottolinea il presidente dell’ANFFAS Speziale – che vanno aiutate a spendere quei soldi e a spenderli bene», «ma il tempo che scorre senza risposte – aggiunge – fa male e le famiglie non possono aspettare».
6.000 beneficiari, a fronte di una platea potenziale che la Relazione Tecnica che nel 2016 accompagnava la Legge nel dibattito parlamentare aveva quantificato in 127.000 persone [il riferimento è alla Legge 112/16, meglio nota come “Legge sul Dopo di Noi”, N.d.R.]. Le stime erano dell’ISTAT: 38.000 disabili gravi al di sotto dei 65 anni che vivono soli e hanno perso entrambi i genitori e 89.000 che vivono con genitori anziani. «Nell’arco dei prossimi cinque anni circa 12.600 perderanno tutti i familiari», aveva affermato nei mesi successivi l’Istituto.
«Cinque anni non sono passati, ma quattro sì. E anche quando i genitori sono ancora vivi, basti pensare che quelli che nel 2016 avevano 80 anni e un figlio di 60, oggi di anni ne hanno 84 e il figlio 64. Quattro anni a quell’età cambiano tutto. Per questo i dati della Seconda Relazione al Parlamento, sono francamente sconfortanti», ammette Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), uno di coloro che più ha creduto nella Legge 112/16. «E ci credo ancora – dice -, perché per le nostre famiglie il “Dopo di Noi” non è un tema qualunque, è “il” tema per eccellenza».
Come spiegare questi dati? E come fa a essere ancora ottimista?
«Intanto c’è da dire che la Relazione fotografa la situazione al 31 dicembre 2018, quindi a un anno fa. Poi c’è da ricordare che i primi due anni della Legge sono stati anni di rodaggio, in cui se n’è scontata la portata innovativa, con i territori che hanno dovuto metabolizzare le novità. Non possiamo dire “tutto male”. Nelle prossime annualità sono certo che i numeri dei beneficiari si innalzeranno, da questo punto di vista sono ottimista.
Certo, se pensiamo invece alle famiglie, al bisogno, alla realtà… i numeri sono sconfortanti. Quello dei 6.000 beneficiari come anche la cartina d’Italia contenuta nella Relazione, con le 380 nuove soluzioni alloggiative tutte concentrate al Centro Nord.
Una cosa che la Relazione evidenzia, ed è importante, è che dove la Legge ha funzionato, c’è stato un forte raccordo con le Associazioni e le famiglie, non solo a livello di consultazione, ma anche di coprogettazione e compartecipazione: questo è uno degli elementi qualificanti della norma e anche il riscontro diretto che abbiamo dai territori ci dice questo».
La parte che proprio non ha funzionato è quella relativa alle agevolazioni per trust e assicurazioni.
«Se lo ricorderà sicuramente, all’epoca ci furono molti attacchi da parte dei 5 Stelle, che dicevano che la Legge 112 era nata per fare un favore alle assicurazioni e ai trust… Sono opportunità, ma nessuno che conoscesse un po’ il nostro mondo poteva realisticamente immaginare che ci sarebbe stata “una corsa” dettata dall’agevolazione fiscale. Lì ha pesato moltissimo la mancanza di una campagna informativa, che in realtà era prevista dalla Legge stessa, ma che non è mai stata fatta.
Sono strumenti complessi, che le famiglie non conoscono e verso cui in prima battuta sono diffidenti, vanno spiegati. Poi la Relazione stessa dice che sarebbe opportuno lavorare su altri strumenti».
Quel che è certo è che le mancate entrate sono state di un ordine di grandezza incomparabilmente inferiore al previsto e dal momento che quelle risorse, secondo la Legge, vanno nel Fondo per finanziare gli interventi per il “Dopo di Noi”, significa che sono in arrivo un sacco di soldi in più…
«Avremo un sacco di soldi in più, è vero, che rischiano però di andare ad accumularsi a quelli che le Regioni hanno già fermi e che non vengono spesi perché le Regioni stesse non sono pronte… Tant’è che la Relazione non lo dice quante sono le risorse che sono state effettivamente utilizzate.
Le famiglie hanno bisogno, anzi, sono disperate. Ma alle famiglie i soldi messi a disposizione dalla Legge 112 in larghissima parte non sono ancora arrivati. Non è la Legge ad essere sbagliata o ad essere un “flop”, è che le Regioni vanno aiutate a spendere questi soldi e a spenderli bene. Questo è il problema principale della Legge 112».
È paradossale e sconcertante…
«Prendiamo la Puglia. Su 52 domande, in tre anni ne sono state accolte 9 e altre 9 hanno iniziato ad essere prese in carico; i soldi realmente spesi sono poche decine di migliaia di euro a fronte di 12 milioni disponibili. Il Molise ha un solo progetto approvato in tre anni…
Ce lo siamo detti più volte, la Legge prevede l’attribuzione delle risorse alle Regioni a fronte della dimostrazione di avere speso le risorse degli anni precedenti. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha proceduto all’erogazione delle quote spettanti per l’annualità 2018 a 14 Regioni per circa 41 milioni di euro, mentre per Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia è ancora in corso l’approfondimento istruttorio relativamente alla rendicontazione per l’annualità 2016. Ma per assegnare quelle risorse, il Ministero si è “accontentato”, come dice la Relazione stessa, dell’«attribuzione agli Ambiti delle risorse relative all’annualità 2016». Attribuzione agli Ambiti, però, non vuol dire ancora “risposte ai cittadini”. Non è che le famiglie in Puglia non abbiano bisogno, è che il sistema che è stato costruito è farraginoso e complesso».
Esattamente il problema nelle Regioni qual è?
«Non sanno fare i progetti. La Legge 112 si attua solo in presenza di una valutazione multidimensionale e di un progetto individualizzato. Sa cosa fanno invece alcune Regioni? Dicono di presentare un’istanza telematica, indicando l’ISEE [Indicatore della Situazione Economica equivalente, N.d.R.] e caricando il progetto. Chi lo scrive il progetto? Le famiglie. Ma quello non è un progetto, quello al massimo sono i tuoi desiderata. L’alternativa offerta è quella di pagare un’agenzia privata, con al massimo il 10% del contributo, per farti scrivere il progetto. Che senso ha?».
Come si possono “aiutare” le Regioni, come dice lei?
«Per il 14 febbraio prossimo l’ANFFAS ha in programma l’evento di lancio del progetto Liberi di scegliere… dove e con chi vivere, che è una citazione dell’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, realizzato con il cofinanziamento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per l’annualità 2018.
L’obiettivo di questo progetto è mettere in campo iniziative utili a fornire concrete soluzioni per la corretta applicazione della Legge 112/16, anche attraverso l’attivazione di trentacinque sportelli territoriali per la predisposizione dei progetti individuali di vita. Sperimenteremo un modello virtuoso per la valutazione multidimensionale, dando il nostro contributo al potenziamento della rete di infrastrutturazione sociale. La nostra storia è questa, da sempre: non quella di lamentarsi, ma di fare cose. In parallelo, stiamo lavorando a un modello di progetto individuale semplificato, pur di avviare il processo».
Quale altro dato le balza all’occhio leggendo la Relazione?
«La misura più utilizzata è stata la Misura C, quella per le “palestre” per la vita indipendente, che prevedono un distacco progressivo dalla famiglia e servizi per lo sviluppo dell’autonomia… È molto positivo, però forse può anche celare qualcosa di deprecabile, cioè che da qualche parte si stiano finanziando con i soldi della legge 112 i classici e ordinari servizi dei Centri Diurni»
Nel mondo ANFFAS, quante nuove realtà sono nate con la Legge 112/16?
«Ad oggi abbiamo censito oltre cento nuove realtà nate su ispirazione della Legge 112. “Su ispirazione”, nel senso che le nostre Associazioni sono molto pratiche, le iniziative sono conformi alla Legge e al suo senso, ma sono state realizzate talvolta con risorse proprie, non con i finanziamenti del fondo della Legge stessa. D’altronde, come dicevo, questo tema è assolutamente all’ordine del giorno per tutte le nostre famiglie; su questo in ANFFAS c’è un fiorire di incontri e di ipotesi… La Legge 112 è stato un attivatore straordinario, abbiamo fatto oltre cinquanta convegni, ma il tempo che scorre senza risposte fa male e noi non possiamo aspettare».
Fonte www.superando.it – «L’assistenza alle persone con disabilità non può né deve dipendere dalle risorse finanziarie disponibili, e nemmeno dai posti presso le strutture semiresidenziali»: lo ha stabilito una recente Sentenza del Consiglio di Stato, che memore di altri fondamentali pronunciamenti prodotti soprattutto in àmbito di inclusione scolastica, ha rovesciato un precedente provvedimento del TAR del Veneto, dando ragione ai familiari di un minore con disabilità cui l’Azienda ULSS 6 del Veneto aveva negato l’inserimento in un Centro Diurno, motivando la decisione con «ragioni di bilancio».
I genitori di un minore con disabilità erano ricorsi al Consiglio di Stato, per chiedere l’annullamento di un provvedimento prodotto nell’ottobre del 2017 dall’Azienda ULSS 6 del Veneto, mediante il quale era stata rigettata una loro precedente istanza-diffida, volta all’«immediato inserimento del minore in un Centro Diurno al fine di permetterne la tempestiva fruizione».
Nello specifico l’ULSS aveva respinto la richiesta, sostenendo di «essere tenuta a garantire i livelli essenziali di assistenza socio sanitaria nel rispetto dei vincoli di bilancio assegnati annualmente dalla Regione e dalla Conferenza dei Sindaci».
Dal canto suo, il TAR del Veneto (Tribunale Amministrativo Regionale) aveva dato ragione all’Azienda Sanitaria, dichiarando che anche il diritto alla salute deve essere «bilanciato e contemperato con altri beni di rilevanza costituzionale», come, nel caso particolare, l’equilibrio del bilancio pubblico e, in particolare, del bilancio regionale.
Ebbene, la Sezione Terza del Consiglio di Stato, tramite la Sentenza 1/20, e memore di altri fondamentali pronunciamenti prodotti soprattutto in àmbito di inclusione scolastica, a partire dalla Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, ha rovesciato quanto sancito dal TAR del Veneto e dato pienamente ragione ai familiari del minore con disabilità, dichiarando in sostanza che l’assistenza alle persone con disabilità non può né deve dipendere dalle risorse finanziarie disponibili, e nemmeno dai posti presso le strutture semiresidenziali.
Secondo i giudici del principale organo di giustizia amministrativa, infatti, «essendo stato privato l’interessato, fino a luglio 2018, di quel grado di assistenza socio sanitaria a cui aveva diritto al fine di consentirne un adeguato sviluppo educativo, di socializzazione, di occupazione, di costruzione della sua condizione di autonomia, tenuto conto delle sue gravi condizioni, il provvedimento impugnato va dichiarato illegittimo».
Inoltre, si legge ancora nella Sentenza, una volta individuate le necessità delle persone con disabilità tramite il Piano Individualizzato, «l’attuazione del dovere di rendere il servizio comporta l’attivazione dei poteri-doveri di elaborare tempestivamente le proposte relative all’individuazione delle risorse necessarie a coprire il fabbisogno e, comunque, l’attivazione di ogni possibile soluzione organizzativa [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.]».
Il Consiglio di Stato ha altresì condannato l’Azienda ULSS 6 del Veneto alla rifusione del danno patrimoniale e non patrimoniale, quantificata nella misura di 10.000 euro, oltreché alle spese di giudizio.
Fonte www.disabili.com – Un censimento online vuole mappare il numero dei caregiver e le loro principali esigenze.
Parliamo spesso dei caregiver familiari: quelle persone che si occupano a tempo pieno all’assistenza di congiunti non autosufficienti o con gravi disabilità. Si tratta di un piccolo grande “esercito” di familiari che operano lì dove lo Stato non arriva, e alleggerendolo di fatto da un compito assistenziale molto gravoso.
Per comprendere il fenomeno e l’urgenza di intervenire anche sul profilo normativo con tutele nei confronti di queste persone (ricordiamo che è depositato un disegno di legge sui caregiver al Senato in attesa di approvazione, ndr), le prime domande da porsi sono: chi sono i caregiver, e quanti sono?
Al fine di mappare la situazione e avere un quadro d’insieme, anche numerico, sull’universo italiano dei caregiver, l’associazione Genitori Tosti in tutti i posti, formata da genitori di figli con disabilità, promuove una sorta di censimento online: uno strumento per contarci (….) e avere delle linee su cui indirizzare il nostro lavoro di tramite con le istituzioni.
Il questionario, che si inserisce nell’ambito dell’iniziativa #unaleggebuonapertutti, è del tutto anonimo: l’obiettivo dei promotori è quello di raccogliere il maggior numero di risposte possibili entro gennaio, che possano in qualche modo essere rappresentative delle principali istanze dei caregiver.
I promotori si rivolgono direttamente ai caregiver invitando a compilare il questionario e a farlo girare il più possibile: Vi chiediamo perciò di impegnarvi, è per la causa comune: noi vogliamo arrivare al riconoscimento come lavoratori e non ci fermeremo finché non succederà.
Per compilare il questionario visitare la pagina: www.genitoritosti.it
Fonte www.disabili.com – Bambini esclusi dalle recite, ragazzi insultati al ristorante, famiglie rifiutate in albergo: l’inclusione è fragile, le derive sono troppe.
Abbiamo da poco festeggiato l’inizio del nuovo anno, abbiamo alzato i calici augurandoci ancora una volta un mondo migliore, più equo, più giusto, più civile per noi e per i nostri figli. Abbiamo ancora accolto il futuro speranzosi, pieni di buoni propositi, allegramente, con fiducia.
Eppure tante e troppe sono ancora le diseguaglianze, le iniquità, le marginalizzazioni, le esclusioni, le stigmatizzazioni, in un mondo che vuole dirsi in crescita, in un divenire consapevole verso una cittadinanza globale, aperta, ormai conscia delle specificità, delle differenze di tutti e di ciascuno, della banale normalità di un’accoglienza totale, piena, inclusiva.
Non è esattamente così, non è sempre così. E’ ciò verso cui tendiamo, ma fatica e annaspa questa crescita, traballa in vorticose derive, agghiaccianti e inquietanti. Lo sappiamo, purtroppo, ce lo dice la cronaca, ce ne parlano gli eventi. Parliamo e con forza e determinazione di inclusione, ma non possiamo ignorare l’evidenza, perché essa non si consumi nella retorica: l’inclusione è una tendenza, una via, un progetto magnifico e inalienabile, ma è di lunga durata, siamo ancora forse a concepire più stabili fondamenta, perché essa non crolli come un palazzo di cristallo.
Non possiamo ignorare le derive, non possiamo fare finta che non vi siano ancora e pure a scuola delle eclatanti occasioni di vergona: un bambino escluso da una recita. Ma come si può? Che importanza può avere se non parla, se non riesce a stare fermo, se non riesce a recitare una parte? Che importanza può avere il plauso di gaudenti famiglie se un bambino e sua madre piangono? Quante volte avrà fallito quella scuola, quel dirigente, quell’insegnante che ha reso infelice un bambino? Cosa conta, una recita perfetta o l’inclusione di un bambino? Cos’è l’essenziale?
Non si può mangiare ci viene il vomito. Capisco che sono malati, addirittura portali in pizzeria…. Bisognerebbe lasciarli a casa. Così avrebbero detto i componenti di una famigliola intenta a cenare in un ristorante in un giorno di festa, natalizio, di pace e amore. Lo avrebbero detto riferendosi al alcuni ragazzi con sindrome di Down, che occupavano un tavolo vicino al loro. Pare abbiamo lasciato il ristorante, per non tollerare oltre la vicinanza. C’era forse una madre, un padre, che hanno fatto piangere altre madri, altri padri e i loro ragazzi, per i quali quel tavolo in autonomia era forse una grande conquista. Quante volte hanno fallito? Quanta consapevolezza manca nella gente comune, che incontriamo per strada, che ci appare gentile, rispettosa, civile?
Non manca Capodanno: calorosa accoglienza ricevuta da diverse famiglie in un albergo di una zona termale, fino a quando non è comparsa la parola autismo. A quel punto sono iniziate le scuse del direttore: dal numero chiuso per i bambini al fatto che la struttura non fosse attrezzata. Rifiutati con la stessa normalità con cui alcuni alberghi specificano che non accettano cani e altri animali domestici: dovete capire, bisogna assicurare il benessere degli altri clienti… No, non capiamo, non riusciamo a capire. Non capiamo perché questa mentalità possa ancora imperare, non capiamo come una struttura ricettiva possa essere ancora affidata a tanta grettezza. Non capiamo più, non vogliamo e non possiamo capire il senso di questo fallimento.
Abbiamo fallito pure noi? Pure noi che da anni parliamo di inclusione nei salotti della formazione, nei libri, per le strade e nelle scuole? Abbiamo fallito nel nostro tentativo di promuoverla, nella volontà di praticarla, di realizzarla? Leggendo alcuni episodi potremmo essere tentati di ritenere di aver fallito, leggendone altri, che pure spuntano come fiori in mezzo alla neve, diremmo di no, con forza e perseveranza. E se pure ancora a volte ci sentiamo sopraffatti dalle derive, conserviamo la piena consapevolezza di un compito che ci accompagna, che ormai ci ha cambiato la vita e che porteremo ancora avanti, finché potremo.
Diremo forse che l’inclusione è lontana, che procede con lentezza e fatica, ne vedremo forse solo una piccola parte, in mezzo a un mare di emergenza. Ma avremo fatto ciò che ci appartiene.
Questo è il nostro compito ancora, per quest’anno e oltre, nelle scuole e nelle case: promuovere la cultura dell’inclusione, sempre e comunque.
Fonte www.superando.it – Tramite due recenti Sentenze, il TAR della Sicilia (Sezione di Catania), ha accolto altrettanti ricorsi volti all’annullamento di uno “pseudo progetto di vita” formulato dall’ASL di Siracusa per una persona con disabilità. Le parti sostenevano infatti che l’ASL e il Comune si erano limitate a fornire un progetto di vita (articolo 14 della Legge 328/00), del tutto insufficiente. «Si tratta di due Sentenze di enorme importanza – commenta Salvatore Nocera – perché chiariscono in modo esauriente quali debbano essere i contenuti del progetto di vita».
Con le Sentenze n. 2782 e n. 2783, prodotte il 20 novembre scorso, la Sezione Terza del TAR della Sicilia (Sezione Staccata di Catania), ha pienamente accolto i ricorsi patrocinati dagli avvocati Ettore Nesi, Gianfranco De Robertis e Mariapaola Giardina, tendenti all’annullamento di uno “pseudo progetto di vita” formulato dall’ASL di Siracusa. Le parti sostenevano infatti che l’ASL e il Comune si erano limitate a fornire un progetto di vita (di cui all’articolo 14 della Legge 328/00), del tutto insufficiente, contenente solo la scheda di valutazione della disabilità e alcune generiche indicazioni di carattere assistenziale.
Il TAR siciliano, dunque, ha pienamente accolto i ricorsi, con motivazioni estremamente chiare, che riportiamo integralmente nel box in calce.
«Queste due Sentenze – commenta Salvatore Nocera presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e responsabile per l’Area Normativo-Giuridica dell’Osservatorio sull’Integrazione Scolastica dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) – sono di enorme importanza perché chiariscono in modo esauriente quali debbano essere i contenuti del progetto di vita di cui all’articolo 14 della Legge 328/00. Non solo, sono altresì importanti perché al termine delle motivazioni il TAR stabilisce cosa Comune ed ASL debbano precisare nei contenuti del vero piano individuale che dovranno formulare di intesa con la famiglia e i diretti interessati. E va ancora precisato che, qualora Comune ed ASL non provvedano ad eseguire le Sentenze, lo stesso Gianfranco De Robertis aveva in precedenza ottenuto un’ulteriore Sentenza di ottemperanza [TAR della Sicilia, Sezione di Catania, n. 559 del 14 marzo 2019, N.d.R.] con la quale il TAR aveva nominato il Prefetto “Commissario ad Acta”, per la formulazione del completo progetto di vita in sostituzione di quelli inadempienti».
«Non va poi sottovalutato il fatto – prosegue Nocera – che tali Sentenze chiariscono ancora una volta come in materia di controversie relative al progetto di vita la competenza esclusiva è del TAR. E infine è pure interessante la motivazione della condanna alle spese, “tenendo conto della semplicità della controversia”. Ciò significa che ormai rispetto alle controversie sul rifiuto o l’incompleta formulazione del progetto di vita da parte del Comune di residenza non ci dovrebbero essere più timori di rigetto dei ricorsi da parte degli interessati o di loro soccombenza alle spese. È per altro doveroso dare atto all’avvocato De Robertis dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), che ha contribuito in modo significativo a rilanciare l’importanza giuridica e sociale del progetto di vita, del quale è parte integrante il Piano Educativo Individualizzato, come stabilito dall’articolo 6 del Decreto Legislativo 66/17, come integrato, proprio per questo aspetto, dal recente Decreto Legislativo 96/19».
«In conclusione – annota a margine Nocera – credo che le famiglie di alunni con disabilità le quali al termine della scuola sono tentate di far loro ripetere l’anno, proprio per la mancanza di futuro di vita dei loro figli, possano trovare in queste decisioni giurisdizionali lo stimolo a veramente “pensare adulti” i loro stessi figli, come soleva dire il compianto Mario Tortello, perché ormai la giurisprudenza offre loro delle possibilità nuove di socializzazione e di partecipazione alla vita di tutti che un completo progetto di vita può seriamente offrire, tenendo conto anche del possibile coinvolgimento delle associazioni, delle organizzazioni di volontariato e degli altri soggetti del Terzo Settore».
Sentenze n. 2782 e 2783 del TAR della Sicilia (Sezione Staccata di Catania)
Le motivazioni
«Il progetto di cui all’art. 14 della legge n. 328/2000 deve soddisfare in modo puntuale alcune specifiche previsioni.
In primo luogo, ai sensi del secondo comma della disposizione indicata, esso deve comprendere, “oltre alla valutazione diagnostico-funzionale o al profilo di funzionamento, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale, il Piano Educativo Individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il Comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale” e deve altresì definire “le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare”.
Ai sensi dell’art. 2 del decreto ministeriale in data 26 novembre 2011, il progetto deve anche contemplare un budget di progetto, da intendersi quale “insieme di tutte le risorse umane, economiche e strumentali da poter utilizzare in maniera flessibile, dinamica e integrata”), nonché individuare una figura di riferimento (il cosiddetto “case manager”) e “metodologie di monitoraggio, verifica periodica ed eventuale revisione, tenuto conto della soddisfazione e delle preferenze della persona disabile”. Come disposto dall’art. 1, secondo comma, della legge n. 112/2016, il progetto deve, infine, contemplare “misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinate dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori”, con il necessario “coinvolgimento dei soggetti interessati” e “nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi ne tutela gli interessi”.
Il progetto che è stato consegnato alla ricorrente risulta largamente incompleto rispetto alle indicazioni normative cui si è fatto riferimento.
A titolo di esempio, può osservarsi che esso non contempla in alcun modo (neppure al fine di giustificare una loro ragionevole esclusione) eventuali forme di recupero o di integrazione sociale, eventuali misure economiche per il superamento di condizioni di disagio, la definizione di potenzialità e sostegno per il nucleo familiare, un budget di progetto (nel senso sopra specificato), una figura di riferimento (cioè il cosiddetto “case manager”), nonché “metodologie di monitoraggio, verifica periodica ed eventuale revisione, tenuto conto della soddisfazione e delle preferenze della persona disabile”.
Il ricorso va, quindi, accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati. A seguito di ciò, le Amministrazione interessate, cioè il Comune e l’Azienda Sanitaria Provinciale (tenute a provvedere d’intesa, come disposto dall’art. 14, primo comma, della legge n. 328/2000), dovranno predisporre e approvare, con la massima sollecitudine, il progetto individuale contemplato dalla norma citata nell’interesse del soggetto disabile di cui si tratta.
Al riguardo deve anche precisarsi che non può condividersi la tesi dell’Azienda Sanitaria, secondo cui l’attività di sua competenza sarebbe già stata interamente espletata, ove si consideri che, ad esempio, nel progetto consegnato alla ricorrente non sono indicate le “metodologie di monitoraggio, verifica periodica ed eventuale revisione” (per l’individuazione delle quali risultano imprescindibili le valutazioni tecniche e specialistiche dell’Azienda stessa).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenendo conto della semplicità della controversia, della sua sollecita definizione e della sua sostanziale identità con altro ricorso parimenti definito in data odierna. Esse, inoltre, vengono poste per tre quarti a carico del Comune di Palazzolo Acreide, atteso che l’Azienda Sanitaria Provinciale, in realtà, ha già parzialmente provveduto alle incombenze di sua competenza».
Anffas onlus Corigliano, associazione nazionale di famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, nell’apprendere con grande amarezza dai mass-media locali dei gravi episodi di maltrattamento e violenza su due fratelli abitanti allo Scalo di Corigliano, condanna questi fatti con dolore e indignazione e manifesta solidarietà nei confronti delle vittime di tali gravi azioni.
La violenza nei confronti di persone fragili, tanto più se disabili, deve indurre a un fermo richiamo da parte delle Istituzioni. La società intera, inoltre, non può esimersi dall”interrogarsi prendendo apertamente le distanze da quanto accaduto.
La disabilità è e rimane un problema sociale e non privato. Per questo ribadiamo quanto da sempre Anffas Onlus chiede alle Istituzioni, ovvero che le risposte ai bisogni ed ai desideri per una vita di Qualità, con pari opportunità, devono essere interpretate e attuate nel pieno rispetto della Costituzione e della Convenzione ONU sui diritti delle Persone con Disabilità.
La presa in carico della persona con disabilità e della sua famiglia deve garantire una progettualità ed un insieme di servizi e di supporti che tengano conto delle singole situazioni, accompagnando entrambe nelle varie fasi dell’esistenza.
Marinella Alesina – Presidente Anffas onlus Corigliano
Il 3 dicembre si celebra la giornata internazionale delle persone con disabilità nata per promuovere i diritti e il benessere delle persone con disabilità. Il tema di quest’anno “ Promuovere la partecipazione delle persone con disabilità e la loro leadership: agire sull’agenda di sviluppo 2030”.
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile impegna a non lasciare nessuno indietro – spiega l’Onu nel messaggio che introduce la ricorrenza e la sua tematica – Le persone con disabilità, tanto come beneficiari quanto come agenti del cambiamento, possono tracciare velocemente il processo verso uno sviluppo inclusivo e sostenibile e promuovere una società più giusta per tutti, includendo in questo processo anche la riduzione del rischio di disastro, l’azione umanitaria e lo sviluppo urbano. I governanti, le persone con disabilità, le loro organizzazioni, il mondo accademico e il settore privato hanno bisogno di lavorare come un’unica squadra per realizzare gli Obiettivi dell’Agenda.
Il tema della giornata impone una attenta riflessione in Calabria perché siamo ben lontani dalla leadership delle persone con disabilità, specie con disabilità intellettiva. L’assistenzialismo, tipico di un modello bio-medico della disabilità, caratterizza ancora le politiche sociali territoriali. I progetti individuali( art.14 L. 328/00, L.23/2003 Regione Calabria) diritto della persona sancito e ribadito dai tribunali amministrativi, strumenti indispensabili che mettono al centro la persona e i bisogni ad essa collegati secondo un approccio bio-psico-sociale, non vengono predisposti dai comuni con la conseguenza che i contributi economici restano inutilizzati anzi rischiano di tornare al mittente. DOPO DI NOI, VITA INDIPENDENTE: CHI L’HA VISTI? I FONDI per NON AUTOSSUFFICIENZA non vengono rendicontati in tempo.
La riforma welfare, che dovrebbe sanare un ritardo di quasi 20 anni rispetto alla 328/00, non parte.
La mancanza di progettazione delle amministrazioni calabresi, nella celebrazione del 3 dicembre, rimarca la difficoltà e le limitazioni che vivono le persone con disabilità in Calabria che vedono ancora negata la possibilità all’autodeterminazione e all’autorappresentanza.
Marinella Alesina
Presidente Anffas Onlus Corigliano