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DISABILITA’: OCCORRE DIALOGO TRA SCUOLA E TERRITORIO PER PROGETTARE UN FUTURO DI PARTECIPAZIONE

Fonte www.disabili.com Il numero delle persone con disabilità è in costante aumento ma dopo la scuola sono relegate ai margini della vita sociale e professionale
Come avevamo evidenziato nei giorni scorsi, secondo una recente indagine del Censis, la percentuale di persone con disabilità è pari al 6,7% della popolazione totale, cioè 4,1 milioni di persone. Tale percentuale è destinata a salire ed entro il 2040 giungerà al 10,7%, 6,7 milioni.
Milioni di persone che, dopo la scuola, sono destinate all’invisibilità.
Nel nostro Paese il soggetto centrale della cura è la famiglia. Essa, fino alla minore età, può contare su una delle poche, se non l’unica, risposta istituzionale alla disabilità, cioè l’inclusione scolastica, che pur con tutti i suoi limiti, rappresenta un’importante o forse l’unica occasione di inclusione sociale.
I NUMERI DELLA SCUOLA – Gli alunni disabili nella scuola statale sono quasi 210 mila. Cosa accade nel tempo nelle situazioni di disabilità intellettiva? Nel caso della sindrome di Down, l’inclusione scolastica nella scuola dell’obbligo supera il 97%, ma tra i 15 e i 24 anni la percentuale scende a poco meno della metà. Più del 93% dei ragazzi con disturbi dello spettro autistico frequenta la scuola, ma il dato scende a circa il 67% tra i 14 e i 20 anni, e arriva a meno del 7% tra chi ha più di 20 anni.

I problemi più significatiti, dunque, nel caso della disabilità cognitiva, emergono con il raggiungimento dell’età adulta. Che è di questi ragazzi una volta compiuto il percorso scolastico? Nulla, restano a casa, con le famiglie.
Ma non si era parlato di progetto di vita?

Dopo l’età scolastica, gli adulti con autismo e con sindrome di Down scompaiono nelle loro case, ed hanno ridottissime opportunità di inserimento sociale e professionale. Nel mondo del lavoro, cioè, l’inclusione è pressoché inesistente. Ha un lavoro solo il 31,4% dei giovani con sindrome di Down, dei quali la maggioranza non ha un contratto di lavoro standard. Nella maggior parte dei casi lavorano in cooperative sociali e in oltre il 70% dei casi non ricevono nessun compenso o ne percepiscono uno minimo. Ancora più grave è la situazione per le persone autistiche: a lavorare è solo il 10% degli over 20.

DELEGA ALLA FAMIGLIA – I disabili adulti rimangono dunque in carico alle famiglie, con sostegni istituzionali limitati, centrati quasi esclusivamente su un carente supporto economico. Poco sviluppata è inoltre la spesa per i servizi, che rappresenta meno del 6% del totale. Alcuni frequentano i centri diurni, molti altri restano a casa ed i genitori impegnano circa 17 ore al giorno nell’assistenza diretta. Nel tempo aumenta il senso di abbandono e cresce lo sconforto delle famiglie, che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno, pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli. Se ancora essi si mostrano fiduciosi quando sono in età scolare, le speranze crollano poi drasticamente nel duro impatto con la realtà che li riguarda in età adulta.

BISOGNA FARE QUALCOSA – La scuola è importante, ma non basta. E’ ciò che di buono abbiamo, ma deve preparare al dopo, alla partecipazione attiva, al lavoro, alla massima autonomia possibile. Occorre che quel progetto di vita di cui tanto si parla non rimanga lettera morta negli archivi delle segreterie scolastiche ma diventi concreto programma di sviluppo delle potenzialità, dialogo costante con le risorse del territorio, in un’ottica di integrazione sociale e lavorativa: esperienze sul campo, tirocinio, apprendistato in età scolare? Parliamone, ma facciamo qualcosa!

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SMENTITA LA BUFALA DEI “FALSI INVALIDI”

Negli ultimi anni giornali e TV sono stati permeati da “notizie” ad effetto sul fenomeno e sulla consistenza numerica dei cosiddetti “falsi invalidi”, sapientemente alimentate da “dati” ufficiali, da episodi eclatanti (cieco che guida, zoppo che balla, sordo che suona) e da una certa dose di malafede.

“Un invalido su quattro è falso”, “Il 23% degli invalidi è falso”, titoli sparati dopo le dichiarazioni del Presidente INPS Mastrapasqua e supinamente riprese da molti articolisti oltre che da molti parlamentari (tanto da finire agli Atti di Camera e Senato), contribuendo allo stigma e al pregiudizio dei confronti delle persone con disabilità. Dal 2009 al 2013 si è svolta una imponente campagna di controlli che ha interessato oltre 850.000 persone titolari di pensione o indennità di accompagnamento, sono stati quindi controllati circa un terzo degli interessati.

Era il momento di sapere effettivamente, al di là delle dichiarazioni ufficiose ed artefatte, come sono andati effettivamente questi controlli – invocati come ineludibili – e quale beneficio ne abbiano in effetti tratto l’Erario e i Cittadini.

L’ha chiesto con un’interrogazione a risposta scritta Donata Lenzi, capogruppo PD alla Commissione Affari Sociali della Camera. Ha risposto (seduta di Commissione del 29 maggio) il sottosegretario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Franca Biondelli, (con delega alla famiglia, inclusione e politiche sociali, immigrazione e politiche di integrazione), riportando, pedissequamente, i dati forniti dall’INPS su taluni aspetti, volutamente, lacunosi. Precisa la risposta che sono state effettuate dall’INPS 854.192 verifiche straordinarie. Sono state revocate, per mancata conferma dei requisiti sanitari o assenza a visita medico legale, 67.225 provvidenze. Il che corrisponde al 7,9 per cento delle verifiche. Non il 23, quindi! Né un invalido ogni quattro.

Ma quello stesso dato relativo alle revoche è gonfiato ad arte. Ecco perché.

Vedendo diminuire l’efficacia dei suoi controlli, nel 2011 (Messaggio 16 marzo 2011, n. 6763) l’INPS stabilisce di includere nel Piano straordinario di verifica tutte le persone per le quali è già stata prevista una revisione della loro invalidità. Ad esempio, a molti malati oncologici viene riconosciuta l’indennità di accompagnamento per il periodo in cui seguono cicli di chemioterapia o nella fase di maggiore acuzie, riservando la possibilità di rivedere successivamente l’invalidità e di revocare, per via ordinaria, l’indennità di accompagnamento. Insomma, non sono “falsi invalidi” e ricevono normalmente un sussidio nella fase di maggiore necessità.

La scelta dell’INPS del 2011 offre all’Istituto un bacino di potenziali persone da controllare i cui contorni sono bene definiti e su cui sono più probabili le revoche delle provvidenze economiche che comunque avverrebbero, ma che in questo modo sarebbero attribuibili all’azione dell’INPS e non alla normale routinaria attività delle ASL.

Il disegno è smascherato dalla risposta all’interrogazione: le revoche di provvidenze ai malati oncologici passano dal 3% del 2009 al 33% del 2012! Quel 7,9 per cento di revoche è pertanto al lordo di quanto sarebbe comunque avvenuto per via ordinaria.

Quanto stima di aver ricavato l’INPS da questa gigantesca operazione di controllo? Lo dice la risposta all’interrogazione: 352,7 milioni di euro. Lordi, molto lordi. Infatti, per affrontare questa straordinaria mole di lavoro l’INPS è dovuto ricorrere anche a medici esterni: la spesa dichiarata dal 2009 al 2012 è di 101,2 milioni di euro. Il risparmio è quindi di 251,4 milioni. Ancora lordi, ma che rappresentano un risparmio dell’1,51 per cento della spesa annua per le provvidenze agli invalidi civili (16,6 miliardi secondo il bilancio sociale INPS, un miliardo e mezzo in meno secondo la Corte dei Conti).

Da questo “bottino”, vanno poi detratte le spese per il personale interno (che INPS non dichiara): altri medici, dirigenti, softwaristi, impiegati amministrativi, spese di struttura, spese di spedizione di 850.000 comunicazione.

Stima prudenziale: altri 70 milioni. Il risparmio scende a 181,4 milioni.

Non è finita. Come correttamente ricorda la risposta in Commissione, il risparmio va inteso al lordo del contenzioso. Tradotto: chi si vede revocare la pensione o l’indennità fa ricorso. Nel 45% dei casi l’INPS soccombe in giudizio ed è obbligato a restituire, con gli interessi, il “maltolto” pagandoci pure le spese legali.

Molto prudenzialmente è da ritenere che l’INPS (che oltretutto si serve in larga misura di legali esterni, come “lagnato” dalla Corte dei Conti) perda in questa operazione almeno altri 70 milioni. Il risparmio scende a 111,4 milioni. Questa cifra ridicola rappresenta lo 0,67 per cento della spesa annuale per pensioni e indennità. Per completezza, l’intera spesa 2012 per pensioni e indennità è pari all’1,1 per cento del PIL, una delle percentuali più basse d’Europa (sono dietro di noi solo Malta, Cipro e la Grecia).

A fronte di questi numeri fallimentari, ci sono i disagi patiti dalle persone invalide, spesso convocate a visita nonostante condizioni di salute gravissime, nonché la conseguente dilatazione dei tempi medi necessari per il riconoscimento delle prestazioni. La Corte dei Conti segnala nel suo più recente controllo ispettivo che gli invalidi attendono mediamente 299 giorni dalla data della domanda, i ciechi 338. Peggio ancora va ai sordi: 399 giorni.

“Ci auguriamo che gli organi di informazione ci aiutino a smantellare quello che appare in tutta evidenza un odioso pregiudizio, alimentato per anni. È quasi superfluo invocare il diritto di rettifica. – commenta Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap* – Al Parlamento invece caldeggiamo una riflessione profonda: la Legge di stabilità per il 2013 (Legge 228/2012) ha previsto ulteriori 450.000 controlli da effettuarsi entro il 2015. Si fermi questo sperpero e si approfitti per ripensare in modo efficace ed inclusivo a nuovi criteri di accertamento della disabilità.”

*Cui Anffas Onlus aderisce

Per approfondire

Leggi alcune delle nostre news precedenti sul tema cliccando qui e qui

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QUANDO LE APP ACCESSIBILI SI RIVELANO UNA BUFALA

Fonte www.west-info.eu – Ogni giorno il mercato propone nuove applicazioni per smartphone e tablet accessibili alle persone con disabilità. Che, tuttavia, alla prova dei fatti funzionano poco e male, a l punto da far pensare che persino tecnici esperti e sviluppatori informatici non rispettino, o non conoscano fino in fondo, le condizioni essenziali per far si che un’applicazione possa essere fruibile anche da utenti con disabilità.

A titolo esemplificativo va segnalato che, contrariamente a quanto sostenuto da più parti, il linguaggio HTML5 non è al momento una tecnologia “accessibility supported”, ossia in grado di garantire l’utilizzo di una app anche da parte di coloro che, per esigenze particolari, hanno bisogno di configurazioni specifiche o delle cosiddette “tecnologie assistive”, necessarie alle persone con disabilità (ad esempio gli screen reader, ovvero i software che leggono gli schermi con voce sintetica).

D’altronde su questo punto la normativa italiana parla chiaro. Il quarto principio delle linee guida WCAG2.0 (Web Content Accessibility Guidelines) ha introdotto, infatti, il concetto di “robustezza della tecnologia” per consentirne lo sviluppo. Caratteristica che al momento il linguaggio HTML5 non ha.

Una verità confermata, durante un recente seminario tenuto presso il Formez, da due dei principali esperti italiani di accessibilità del web: Roberto Scano – presidente dell’IWA (Associazione italiana dei Webmaster) – e Oreste Signore, rappresentante per l’Italia del W3C, il Consorzio internazionale del web.

Ne è emerso che “gli standard per l’accessibilità dell’HTML5 verranno pubblicati dal W3C non prima del prossimo autunno”. Le nuove App già costruite con tale linguaggio di programmazione, quindi, potrebbero risultare problematiche per gli utilizzatori con disabilità. Altro requisito importante, che dovrebbe tenere a mente chi va a produrre una nuova App, è che tra le caratteristiche tecniche appaia con evidenza l’informazione sull’eventuale accessibilità o meno. Banalmente, per evitare di scoprirlo con delusione a posteriori.

Come si testa l’accessibilità di una tecnologia? Esistono diversi strumenti per la validazione oggettiva, ma ciò dovrebbe costituire solo una prima fase. Laddove possibile, il miglior metodo è quello di coinvolgere già nelle fasi di progettazione e di test intermedio le persone con disabilità, invece che a lavoro terminato. È infatti noto che modificare codice software anche se di poco, comporta la necessità di nuovi test complessivi, in quanto le modifiche potrebbero aver generato altri errori prima inesistenti. È evidente che si tratta di un lavoro oneroso e costoso, pertanto spesso il risultato è che… si rinuncia a farlo.

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Spesa per disabilità: Italia in fondo alla classifica UE

Arriva dall’ISTAT il sigillo ufficiale sul disastroso stato delle politiche per l’inclusione e la disabilità in Italia su cui da anni FISH chiede un intervento radicale e di sistema.” Questo il commento a caldo di Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, a margine della pubblicazione del rapporto annuale 2014 ISTAT sulla situazione del Paese.

I dati più preoccupanti si leggono nel quarto capitolo del Rapporto che ci offre uno spaccato delle condizioni di vita delle famiglie e delle politiche di welfare del nostro Paese.

Tra i 28 Stati membri dell’UE, l’Italia è settima per la spesa in protezione sociale che comprende la spesa in Sanità, Previdenza e Assistenza.

Nel 2011, l’Italia ha destinato per questa funzione il 29,7% del proprio Prodotto Interno Lordo, valore al di sopra della media europea, pari al 29% del PIL.

Sembra una buona notizia ma questa settima posizione è caratterizzata da forti disomogeneità rispetto alle voci di spesa: in pensioni di anzianità e vecchiaia se ne va il 52% contro la media europea del 39,9 e pone l’Italia in cima alla classifica.

Il nostro Paese è invece penultimo per la voce “Famiglia, maternità e infanzia” con il 4,8% (la media europea è l’8%). Tradotto: 1,4 del PIL.

Va molto male per la spesa destinata alle persone con disabilità.

Nel 2011, è stata pari in Italia al 5,8% della spesa complessiva in protezione sociale, a fronte del 7,7% della media europea. Si tratta di pensioni di invalidità, contributi per favorire l’inserimento lavorativo, servizi finalizzati all’assistenza e all’inclusione sociale e strutture residenziali.

Questo ci colloca tra i Paesi con le percentuali più basse di spesa destinata alla disabilità. A spendere percentualmente meno dell’Italia sono solo Grecia, Irlanda, Malta e Cipro. Prestazioni che pesano solo per l’1,7% sul nostro Prodotto Interno Lordo.

Di questa percentuale l’1 per cento è destinato alle provvidenze (pensioni e indennità) per l’invalidità civile e solo lo 0,7 del PIL è destinato ai servizi per l’inclusione sociale o per strutture residenziali.

Chi ha ipotizzato che sia sufficiente razionalizzare la spesa sociale, magari spostando la spesa per voci, è smentito dalle cifre. È necessario aumentare l’intervento economico per allinearci almeno alla media europea, cioè investire sulla disabilità come minimo un altro mezzo punto di PIL e altrettanto su famiglia, infanzia, maternità.”

I dati di raffronto con l’Europa si sommano a quelli drammatici sull’impoverimento e sulla fortissima sperequazione fra Nord e Sud del Paese. Solo per citarne uno, nell’area disabilità le differenze territoriali risultano insostenibili: mediamente un Cittadino con disabilità residente al Nord-Est usufruisce di servizi e interventi per una spesa annua pari a 5.370 euro, contro i 777 euro del Sud. La FISH entra nel dettaglio dell’analisi dei dati nel proprio sito www.condicio.it

La disabilità e la non autosufficienza – ricorda Falabella – sono uno dei primi elementi di impoverimento e di rischio di povertà delle famiglie e degli individui. È a rischio la coesione sociale, un insidioso pericolo figlio dell’esclusione su cui bisogna intervenire poiché è un’emergenza e una priorità.”

 6 giugno 2014

 FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap
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FALSI INVALIDI: FACCIAMO CHIAREZZA!

IL PRESIDENTE NAZIONALE DI ANFFAS ONLUS COMMENTA GLI ULTIMI DATI FORNITI DALL’INPS

 I falsi invalidi esistono e vanno scovati e perseguiti assieme a coloro che falsamente li hanno certificati e riconosciuti.

Lo sostiene da tempo Anffas Onlus, Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, che, tutelando i diritti delle “vere” persone con disabilità e delle loro famiglie ritiene fondamentale il contrasto ad ogni forma di abuso. Ma l’Associazione, al tempo stesso, non “ci sta” a sentire attribuire i risultati ed i meriti delle truffe giustamente scovate dai programmi di verifica condotti da INPS e ritiene sia importante, ancora una volta garantire una corretta informazione a tutta la comunità, facendo chiarezza su numeri, dati, dichiarazioni che continuano ad emergere sull’argomento. Le persone con disabilità ed i loro familiari sono infatti stanchi di essere vessati ed additati come “scrocconi”.

 “I risultati del contrasto – quello vero – ai falsi invalidi non possono essere certo ascritti ad INPS, ma alle Forze dell’Ordine e della Magistratura, a cui va il nostro plauso ed incoraggiamento a proseguire nella direzione intrapresa” dichiara Roberto Speziale, Presidente Nazionale dell’Associazione “Ma per commentare quanto realizzato dall’INPS in questi ultimi anni ci verrebbe da dire che «errare umanun est, perseverare autem diabolicum» (errare è umano, ma perseverare è diabolico) e con un ancora più appropriato «Cui prodest?» (a chi giova?)”

 E prosegue il Presidente commentando la risposta data, in Commissione Affari Sociali della Camera, dal sottosegretario Biondelli all’interrogazione parlamentare presentata dall’On. Lenzi del PD per conoscere le cifre dell’attività dell’INPS nel “contrasto ai falsi invalidi” degli ultimi anni: “È importante fare chiarezza e leggere bene i dati forniti al Parlamento dall’INPS per le verifiche straordinarie sulle persone con disabilità negli ultimi cinque anni”.

 I dati, infatti, riportano un numero di alcune migliaia di persone a cui sono stati revocati in tutto o parte i benefici economici precedentemente riconosciuti per invalidità civile, ma non si precisa che tali revoche sono determinate da una serie di fattori che ben poco hanno a che vedere con lo smascheramento di truffatori in possesso di certificazioni false.

 Innanzitutto l’INPS ha illegittimamente conteggiato tra le verifiche straordinarie anche le revisioni ordinarie, ossia gli accertamenti previsti dopo un certo lasso di tempo rispetto al primo accertamento per quelle patologie che possono col tempo regredire, come per esempio quelle tumorali, debellabili o contenibili attraverso interventi chirurgici o trattamenti oncologici. Non a caso, appunto, le maggiori revoche indicate nelle tabelle dell’Inps sono per le patologie tumorali.

 “Anffas lo ha fatto notare ormai da tempo, ma adesso lo si è definitivamente acclarato – precisa Speziale – con la sentenza del Tar Lazio n. 3851 del 9 aprile scorso su ricorso presentato dalla nostra Associazione con il supporto della FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap). La sentenza ha infatti confermato che per anni l’INPS ha illegittimamente considerato nel novero delle verifiche straordinarie di contrasto ai falsi invalidi le revisioni ordinarie, utilizzando, tra l’altro poteri eccezionali (vedasi l’unica visita diretta innanzi all’INPS) con minori garanzie per i cittadini”.

 Altro dato da chiarire è quello della percentuale delle revoche inerenti le certificazioni per le persone con disabilità intellettiva e/o relazionale che ha risentito di due ulteriori circostanze.

 “Nel considerare il 17% delle revoche dei benefici per persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, che tutto possono essere ma certamente mai falsi invalidi, bisogna ricordare che tali persone sono state sottoposte a visita senza la presenza del medico di categoria Anffas, come prevedono precise normative, privandole, quindi, di quell’apporto scientifico e professionale che sarebbe servito per una più consona valutazione da parte della Commissione Inps”.

 “Tutto ciò – ricorda il Presidente Speziale – è stato censurato anche nella ricordata sentenza del Tar Lazio e le determinazioni prese in tali commissioni saranno del tutto sconfessate attraverso l’impugnazione dei verbali emessi”.

 Tra l’altro, molto spesso tali Commissioni, nel valutare la capacità delle persone con disabilità intellettiva e/o relazionale a compiere gli atti quotidiani della vita per confermare le pregresse indennità di accompagnamento, hanno fatto riferimento solo alla capacità meccanica, da parte delle stesse, di compiere tali atti, senza valutare anche la capacità di programmazione e di autodeterminazione nel compimento degli stessi, così come da decenni insegna costante giurisprudenza della Cassazione ed anche questo, secondo l’Associazione, determinerà censure giudiziarie delle revoche così emesse.

 Conclude Roberto Speziale: “Tutto ciò pone un problema più ampio; è impossibile continuare a valutare le persone con disabilità, con mere tabelle percentuali di incapacità lavorativa generica, senza considerare l’effettiva necessità di sostegni delle persone nel vivere i vari ambienti sociali. Occorre un’immediata riforma che azzeri l’attuale sistema di valutazione ed accertamento, utilizzando sistemi e strumenti aggiornati – a partire dall’ICF – e costruendo progetti personalizzati che garantiscano a ciascuno i sostegni adeguati a poter vivere una vita di qualità incluse nella società. Ciò è previsto anche dal Programma d’azione biennale sulla disabilità del Governo ed è un tema al quale la stessa Fish ha dedicato uno specifico gruppo di lavoro, che sarà – tra l’altro – coordinato da Anffas per tramite del sottoscritto”.

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JOBS ACT, LE NOVITÀ PER IL TERZO SETTORE

Fonte www.vita.it – In data 19 maggio 2014 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale serie generale n.78 la L. 78 del 16 maggio 2014 che, convertendo il D.L.34/2014, ha apportato modifiche alla norma originaria chiamata Jobs Act.

Contratto a tempo determinato (art.1)

La prima novità è data dal prolungamento della durata di questa formula contrattuale, compreso il contratto di somministrazione, da 12 a 36 mesi per i contratti per i quali viene ribadita la non necessità di indicare la causale per la sua stipula. Il numero massimo di proroghe per un contratto a tempo determinato passano da un massimo di 8 volte previsto dal D.L.34/2014 a 5, entro il limite temporale di 36 mesi, purchè le proroghe si riferiscano alla identica attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato. Rimane confermata l’obbligo per l’azienda di non superare assunzioni a tempo determinato oltre il 20% dell’organico complessivo e per le aziende che in organico hanno non più di 5 dipendenti è sempre possibile assumere una persona con un contratto a tempo determinato. Questa decisione è stata presa per venire incontro alle piccole realtà, come ad esempio ODV e coop. Sociali.

Esiste l’obbligo per il datore di lavoro di fornire al lavoratore, entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione copia dell’atto scritto del contratto. La norma lascia comunque inalterata qualunque indicazione provenga dalla contrattazione collettiva per il numero dei contratti a tempo determinato. Importante novità è quella relativa alla prosecuzione del rapporto di lavoro dopo il superamento del termine prefissato o successivamente prorogato. Il datore di lavoro dovrà pagare una maggiorazione della retribuzione del:

20% per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non risulti superiore ad uno;

50% per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale risulti superiore ad uno. Il datore che alla data di entrata in vigore del D.L.34/2014 ha superato tali limiti percentuali dovrà rientrare entro il 31 dicembre 2014, tranne che un contratto collettivo applicabile al datore non preveda un limite percentuale o un termine più favorevole.

Nel caso in cui il datore non dovesse adeguarsi, non potrà più assumere a tempo determinato fino a quando non regolarizza la propria posizione Dalla conversione in legge esce rafforzato il diritto di precedenza ad essere assunte da parte di donne in congedo di maternità per assunzioni a tempo indeterminato che il datore di lavoro intende effettuare nei 12 mesi successivi per personale da impiegare con le stesse mansioni oggetto del contratto a termine.

Contratto di apprendistato

La forma scritta è stata prevista per il contratto e il periodo di prova, e reintrodotta per il piano formativo individuale considerando moduli e formulari che verranno stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali. L’obbligo di stabilizzazione degli apprendisti scende dal 30% previsto dal decreto legge n.34/2014 al 20% previsto dalla legge di conversione. È stato previsto che spetta alle singole regioni dover comunicare al datore di lavoro pubblico l’offerta formativa pubblica, entro quarantacinque giorni dalla data in cui è avvenuta la comunicazione della avvenuta assunzione. È stato anche previsto che nelle regioni e nelle province autonome di Trento e Bolzano che abbiano previsto un sistema di alternanza scuola lavoro, i CCNL stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, dovranno prevedere modalità specifiche di utilizzo dei contratti di apprendistato per lo svolgimento di attività stagionali.

Il lavoratore che viene assunto con un contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale non percepirà più la retribuzione piena dovuta durante il periodo formativo, ma per la parte riferita alle ore di formazione la retribuzione dell’apprendista dovrà essere pari al 35% della retribuzione prevista dal contratto.

D onne che intendono rientrare nel mondo del lavoro

Le donne che intendono rientrare nel mondo del lavoro, possono provare il loro stato disoccupazionale non più solo nel Centro per l’impiego dove si trova il proprio domicilio, ma in qualunque Centro per l’impiego italiano.

Semplificazione del Durc

È prevista l’emanazione, entro 60 giorni dal 21 marzo 2014, di un Decreto Interministeriale (lavoro e finanze) per la semplificazione del Durc (Documento unitario regolarità contributiva). In pratica dalla data di entrata in vigore del decreto interministeriale sarà possibile visualizzare telematicamente la regolarità dell’azienda nei confronti dell’Inps, dell’Inail e della cassa Edile. L’esito di questa interrogazione sostituirà di fatto l’attuale Durc.

Contratti di solidarietà

Questo articolo prevede l’emanazione di un decreto interministeriale (Lavoro e Finanze) con cui dovranno essere definiti i criteri per individuare i datori di lavoro che potranno beneficiare della riduzione contributiva per i lavoratori interessati dai contratti di solidarietà.

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ISTAT: IN CALO LA SPESA DEI COMUNI PER POVERTÀ E DISAGIO. AUMENTA PER LE PERSONE CON DISABILITÀ

Fonte www.superabile.it Scende la spesa per le politiche di welfare nei comuni italiani. Nel 2011, per la prima volta dal 2003, la spesa sociale risulta in diminuzione rispetto all’anno precedente. Le risorse destinate dai Comuni alle politiche sociali territoriale ammontano, infatti, a circa 7 miliardi e 27 milioni di euro, al netto della compartecipazione alla spesa da parte degli utenti e del Sistema sanitario nazionale, con una diminuzione dell’1 per cento rispetto al 2010.

“Fra il 2010 e il 2011” – spiega l’Istat nel suo rapporto annuale – “la spesa procapite diminuisce in quasi tutte le regioni italiane ma, in rapporto ai valori preesistenti, il calo più consistente si osserva al Sud (-5 per cento), dove i valori medi erano già nettamente al di sotto della media nazionale”.

Al Nord-ovest e al Nord-est la spesa diminuisce rispettivamente del 3 e dell’1 per cento, mentre aumenta dell’1 per cento sia al Centro che nelle Isole. Una persona residente al Sud beneficia mediamente di una spesa sociale annua di circa 50 euro per i servizi e gli interventi offerti dai Comuni, contro i 160 euro del Nord-est. Nel 2011, la spesa corrente impegnata dai Comuni per gli asili nido, al netto della compartecipazione pagata dagli utenti, è stata pari a 1 miliardo e 245 milioni di euro; quella impegnata per i servizi integrativi per la prima infanzia, che include i cosiddetti “nidi famiglia”, risulta di poco inferiore ai 60 milioni di euro, comprensiva degli oltre 9 milioni e mezzo a carico delle famiglie.

L’offerta di asili nido e di servizi integrativi per la prima infanzia mostra ampi divari territoriali. I bambini che usufruiscono di asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,5 per cento del Sud al 17,1 per cento del Nord-est, mentre la percentuale di Comuni che garantiscono la presenza del servizio varia dal 24,3 per cento del Sud all’82,6 per cento del Nord-est.

La spesa rivolta alle persone con disabilità aumenta di circa 35 milioni di euro dal 2010 al 2011 (+ 2,2 per cento). Anche in questo caso le differenze territoriali sono molto rilevanti: mediamente un cittadino con disabilità residente al Nord-est usufruisce di servizi e interventi per una spesa annua pari a 5.370 euro, contro i 777 euro del Sud.

La spesa dei Comuni rivolta agli anziani è in diminuzione rispetto all’anno precedente, sia in valore assoluto che come quota percentuale sul totale della spesa sociale: si passa da 1 miliardo 492 milioni del 2010 a 1 miliardo 388 milioni del 2011 (-7 per cento) e dal 20,9 per cento al 19,8 per cento della spesa sociale complessiva.

In calo anche la spesa dei Comuni per la povertà e il disagio (-2 per cento dal 2010 al 2011), nonostante risultino in crescita le difficoltà economiche nella popolazione.

Per maggiori informazioni

www.istat.it