West-info.eu – Le persone con epilessia, così come i loro figli e fratelli, sono ad alto rischio autismo. A dirlo un nuovo studio, il più grande finora realizzato per esaminare il legame tra i due disturbi e appena pubblicato su Neurology.
“La spiegazione più probabile dei nostri risultati è che esista una connessione fisiopatologica, probabilmente genetica, alcuni comuni meccanismi di influenza di certi equilibri”, hanno detto gli autori della ricerca.
“Ci sono probabilmente diversi fattori che influenzano i processi fondamentali alla base di epilessia e autismo e che portano il paziente a un punto in cui uno o entrambi si sviluppano”, hanno aggiunto.
Inoltre, l’osservazione che fratelli e figli di persone con epilessia hanno una maggiore probabilità di avere l’autismo supporta l’opinione che queste due condizioni hanno una fisiopatologia condivisa.
Queste ultime scoperte sottolineano chiaramente l’importanza della diagnosi precoce di disturbi dello sviluppo neurologico in tutti i bambini con epilessia, nello specifico disturbi legati allo spettro autistico.
Inclusioninternational.org – L’articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità (CRPD) sancisce che tutti hanno pari riconoscimento davanti alla legge. L’obiettivo delle Nazioni Unite è quello aiutare i Paesi a capire che cosa significa, ma spesso capirlo risulta difficile.
Plena Inclusion e Inclusion Europe, entrambi membri di Inclusion International, hanno prodotto delle linee-guida facile da leggere (Easy to Read), in spagnolo e in inglese, per aiutare le persone a capire realmente che cosa significa “essere tutti uguali davanti alla legge” .
È possibile scaricare una copia qui di seguito:
La Corte di Cassazione, sez. VI Penale, con sentenza n° 22786/16 depositata il 30 Maggio 2016 ha recentemente confermato una condanna penale per “rifiuto d’atti d’ufficio” e il risarcimento del danno a tre collaboratrici scolastiche, di una scuola dell’infanzia, che si erano rifiutate di prestare assistenza igienica nel cambio del pannolino ad un’alunna con disabilità complessa. Nello specifico la Sentenza ribadisce che i compiti di assistenza per l’igiene personale degli alunni con disabilità sono di competenza dei collaboratori scolastici.
Approfondiamo le ragioni del dibattito apertosi dopo tale pronunciamento riportando, per gentile concessione dell’autore, un interessante contributo dell’Avv. Francesco Marcellino*.
L’articolo di approfondimento può essere scaricato cliccando qui
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* consulente Anffas Onlus
West-info.eu – Per le persone con sindrome dello spettro autistico può essere un problema gestire i risparmi o prelevare contanti col bancomat. Ecco perché è nato, in collaborazione la National Autistic Society, “Money Management”.
Si tratta di un programma online che guida gratuitamente le persone con sindrome dello spettro autistico a usare in modo consapevole le proprie risorse finanziarie.
Il servizio include contenuti informativi, esempi pratici, brevi video e simulazioni su diversi argomenti. Come ad esempio amministrare il proprio budget, creare una password o prelevare denaro in modo sicuro.
Alcuni moduli sono inoltre stampabili, come fossero mini guide, per poter essere sempre tenuti a portata di mano.
Vita.it – Con 263 voti a favore, 2 contrari e 134 astenuti (Sinistra Italiana, Forza Italia, MoVimento 5 Stelle), la Camera ha approvato il testo unificato delle proposte di legge “Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista” (C. 2656-3247-A). «Finalmente viene riconosciuto a 150mila educatori e pedagogisti un ruolo adeguato, valorizzato e qualificato», ha detto la relatrice Milena Santerini (Democrazia Solidale-Centro Democratico). Due le sue sottolineature: «il fatto che si riconosca l’importanza dell’educazione e dei compiti educativi dedicati alla cura dello sviluppo della persona e il fatto che questa funzione indispensabile debba essere svolta da persone con una precisa competenza, frutto di una specifica cultura professionale».
La novità principale della legge infatti è che per svolgere la professione di educatore ci vorrà la laurea. La legge inoltre va a definire gli ambiti di intervento nel campo sociale, sanitario e sociosanitario anche in rapporto ad altre figure professionali (nello specifico gli educatori professionali) e disegna una fase transitoria per gli educatori attualmente in servizio, riconoscendo il valore della loro esperienza.
D’ora in poi quindi al posto degli attuali “educatori” (quelli che escono da Scienze dell’educazione e della formazione) e “educatori professionali” (quelli che escono dai corsi collegati alle facoltà di medicina) avremo l’educatore professionale socio-pedagogico (qualifica attribuita a seguito del rilascio del diploma di un corso di laurea della classe di laurea L-19, sotto la facoltà di Scienze dell’educazione e della formazione) e l’educatore professionale socio-sanitario (attribuita a seguito del rilascio del diploma di laurea abilitante di un corso di laurea della classe L/SNT2 delle professioni sanitarie della riabilitazione). Tutto questo era sostanzialmente già definito nei lavori in Commissione, tanto che a marzo sembrava ci fosse la possibilità di approvare la legge per via legislativa, senza passare dall’Aula.
Come sarà la fase transitoria? Chi all’entrata in vigore della legge ha già una laurea della classe L-19 si vedrà attribuita la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico mentre gli educatori senza laurea per i prossimi tre anni potranno completare la loro formazione e avere la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico frequentando un anno di corso intensivo (60 crediti, da svolgersi presso le università, anche tramite la formazione a distanza), a patto di avere uno di questi requisiti: un diploma magistrale rilasciato entro il 2002; lavorare come educatore nelle amministrazioni pubbliche a seguito del superamento di un pubblico concorso; aver svolto l’attività di educatore per non meno di tre anni, anche non continuativi. Gli educatori con contratto a tempo indeterminato che abbiano almeno 50 anni di età e almeno 10 anni di servizio oppure almeno 20 anni di servizio acquisiscono direttamente la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico. Chi ha svolto legittimamente l’attività di educatore per un periodo minimo di dodici mesi, anche non continuativi, documentata, può continuare ad esercitare l’attività di educatore (non c’è quindi obbligo di fare nè la laurea nè il corso intensivo) ma non può avvalersi della qualifica di educatore professionale socio-pedagogico.
Per Milena Santerini si tratta di una transizione «molto equilibrata». Quanto all’unificazione dei due titoli professionali e dei percorsi formativi, «se ne è discusso, ma per il momento penso che questo sia già un buon traguardo». Il provvedimento passa ora all’esame del Senato.
Pernoiautistici.com – La proposta di legge “Disposizioni in materia di assistenza in favore della persone con disabilità grave, prive di sostegno familiare” è stata approvata, in via definitiva, alla Camera il 14 giugno scorso, dove in ultima lettura ha accolto il testo del Senato modificato sui suggerimenti delle associazioni dei familiari.
Il prossimo 23 giugno esperti di diritto di famiglia e alcuni dei parlamentari si incontreranno con i genitori di ragazzi con disabilità per parlare, e soprattutto capire, come la legge potrebbe cambiare il destino dei loro figli.
Presiederà la tavola rotonda “Favorire e promuovere la vita adulta nella partecipazione alla società” anche il Presidente nazionale di Anffas Onlus, Roberto Speziale.
Il Convegno-dibattito è organizzato dall’AMI (Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani) dal titolo “Il diritto di vita per i figli disabili… anche dopo di noi!”, con l’adesione dell’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica. La sede dell’incontro è la Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati (Via di Campo Marzio 78 – Roma) e sarà fruibile anche in diretta streaming grazie all’interessamento di Maurizio Dieghi, Direttore Relazioni Esterne Ordini Professionali ed Enti del Gruppo Sole 24 ore.
Per visualizzare il programma completo clicca qui
Superabile.it – Se le tutele esistono, averle è un’altra storia. Accedere a servizi, prestazioni e provvidenze è spesso complicato per gli italiani con disabilità, e l’impresa diventa ancor più ardua per gli stranieri. Burocrazia, ma anche isolamento sono gli ostacoli con cui si scontrano coloro che, come Ahmed, sono immigrati con disabilità. Ma, diversamente da lui, non hanno avuto la strada spianata da un talento sportivo d’eccellenza. Vincenzo Falabella, presidente della Fish*, evidenzia: “La prima criticità emersa dalle nostre due ricerche è quella relativa ai dati. A oggi non abbiamo contezza di quante siano le persone con disabilità di origine straniera, migranti o di seconda generazione, presenti nel nostro Paese. In Italia è disponibile una solida letteratura scientifica tanto sul tema della disabilità quanto su quello delle migrazioni, ma abbiamo riscontrato una sostanziale carenza di studi e ricerche quando le due situazioni si intersecano”.Il secondo problema, che discende direttamente dal primo, è che “questo approccio a compartimenti stagni sembra riprodursi anche nella costruzione delle politiche e dei servizi, che stentano a garantire una presa in carico complessiva della persona con disabilità di origine straniera, con le molteplici istanze di cui è contemporaneamente portatrice. Il risultato è che le persone con disabilità, migranti o di seconda generazione, si trovano in balìa di una frammentazione dei punti di riferimento e di una scarsa conoscenza sul fenomeno: ciò mette a rischio il rispetto e l’esercizio dei loro diritti civili e sociali”.
Accanto alla mancanza di conoscenza del fenomeno e alla conseguente inadeguatezza dei servizi, c’è il terzo problema, forse il più grave: quello dell’isolamento, evidenziato ancora da Falabella. “Le persone straniere con disabilità sembrano, in genere, gravitare al di fuori dei classici riferimenti sociali che caratterizzano sia le persone con disabilità sia quelle straniere, ossia le proprie comunità di riferimento. Contemporaneamente i rispettivi mondi associativi sembrano essere impermeabili a questa doppia condizione: le associazioni del mondo della disabilità non si occupano di persone straniere (con disabilità), le associazioni del mondo delle migrazioni non si occupano di persone con disabilità (straniere)”.
Come rompere, allora, questa condizione di isolamento, in cui è alto il rischio che anche i diritti riconosciuti non vengano di fatto goduti? E che pure le minime tutele previste dalla legge non raggiungano, effettivamente, chi non sa reclamarle? “Bisogna operare in due direzioni – propone il presidente della Fish -: approfondire la conoscenza del fenomeno, a partire dall’identificazione e sistematizzazione dei dati di natura amministrativa, e favorire un’inedita e fattiva collaborazione tra chi si occupa di disabilità e chi di migrazioni, tanto a livello istituzionale quanto a livello associativo. Con lo scopo, comune e condiviso, di contrastare l’isolamento e l’emarginazione, per arrivare alle persone, che spesso non entrano in contatto con il mondo delle associazioni e dei servizi. Dobbiamo costruire reti sociali sul territorio attivando sinergie più strutturate, che vadano al di là della discrezionalità e della buona volontà del singolo operatore”.
*Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap cui Anffas Onlus aderisce