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TAGLI ALLA DISABILITÀ: FISH CHIAMA RENZI

ISTAT certifica che in Italia la spesa sociale per la disabilità è inferiore di mezzo punto di PIL rispetto alla media UE di 2,1%. In Italia la spesa pro capite è di 423 euro l’anno: la media UE è di 536. In Germania se ne spendono 277 in più, in Croazia 100. Il divario rispetto alla UE è di circa 8 miliardi di euro.

Se osserviamo gli effetti pratici ciò significa esclusione sociale, marginalità, impoverimento progressivo delle persone con disabilità e dei loro familiari che spesso sono gli unici caregiver, in un’assenza di politiche certe e strutturate. Nonostante questo evidente divario la legge di stabilità presentata dal Governo alla UE e al Parlamento diminuisce ancora le risorse destinate alle persone con disabilità incentivandone ancora l’esclusione, la segregazione, l’impoverimento. Per il 2015 il già inadeguato Fondo per le non autosufficienze subirà un taglio di 100 milioni. Passa a 250 milioni. Esangue rimane anche il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali: 300 milioni. Si aggiungano allo scenario i tagli agli Enti locali e la prospettiva in termini di servizi risulta davvero tetra per milioni di italiani.

“È un segnale molto grave – sottolinea Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – e ciò al di là dei numeri. Il Governo Renzi sostiene l’utilità di ‘rompere’ o allentare il patto europeo sull’austerity, ma non intende ridurre lo spread sulle spese sociali per la disabilità, una delle principali cause di impoverimento. Al contrario restituire diritto di cittadinanza attraverso l’inclusione sociale alle persone con disabilità significa liberare energie sia dei diretti interessati che dei loro familiari. Non siamo certo gli unici a sostenere che le minoranze liberate dalla condizione di discriminazione producono sviluppo economico. Quello sulla disabilità è un investimento e non una spesa.”

Questo taglio è doppiamente grave perché dimostra una logica che non è né di uguaglianza né di sviluppo. Mantiene e respinge le persone nell’esclusione e nella segregazione anziché liberare energie. Liberare energie significa restituire opportunità ai 200mila studenti con disabilità nella scuola e nell’università. Significa far uscire dai centri diurni, da quelli riabilitativi, dalle RSA, dagli istituti le centinaia di migliaia di persone con disabilità che vi sono confinate. Significa offrire loro strumenti anche per l’autodeterminazione, verso l’inclusione, lontano dalla segregazione. Significa consentire alle persone di poter scegliere dove e come vivere senza che siano costretti in luoghi e soluzioni “speciali”.

“Il percorso di vita indipendente necessita del sostegno e dei servizi tipici del welfare che facilitino il percorso di autonomia e libera scelta. Il welfare di domani deve essere la liberazione di energie oltre che buona occupazione per chi ci lavora. Su questi temi sfidiamo il Governo: contro l’ingiustizia e per lo sviluppo. Dalla carità all’investimento.”

Il 23 ottobre la FISH, assieme a FAND e al Comitato 16 novembre, sono invitate ad un tavolo presso cui saranno presenti tre sottosegretari (Politiche sociali, Salute, Economia e Finanze). Il tema è appunto il Fondo per le non autosufficienze 2015 .

“Verosimilmente ci verrà notificato il taglio del Fondo – annota Falabella – già noto a chiunque abbia letto la bozza della legge di stabilità. A quegli interlocutori non potremo che esprimere la nostra decisa contrarietà e l’intento di attivare una decisa mobilitazione. Riteniamo che il Fondo per le non autosufficienze debba essere portato, nel giro di tre anni, ad un miliardo di euro. Ma analoga sorte debba essere prevista anche per il Fondo per le politiche sociali.”

Ma le richieste di FISH non si limitano al tema delle risorse, ma ad una più profonda azione politica per l’inclusione delle persone con disabilità. “Con tutto il rispetto per il ruolo dei tre sottosegretari crediamo che vista l’estrema urgenza e rilevanza dei temi e delle prospettive in gioco debba intervenire direttamente il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, del quale chiediamo pubblicamente la presenza al tavolo del 23 prossimo.”

*Cui Anffas Onlus aderisce

Per approfondire

Leggi l’articolo “Tagli al fondo non autosufficienza, associazioni: Vogliamo un miliardo”

 

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MATTEO, DOV’È L’ECONOMIA SOCIALE NELLE POLITICHE DEI TUOI MINISTRI?

Fonte www.vita.it – Negli ultimi mesi la Presidenza del Consiglio è stata coinvolta in contesti pubblici nei quali si auspicava un “ cambiamento di paradigma” nell’economia soprattutto nella gestione dei beni e servizi di interesse pubblico. In tali consessi il Governo si è sempre espresso a favore di modelli di economia più solidali (sulla linea del “valore condiviso” di Michael Porter) e di soluzioni che rendessero il terzo settore sempre più protagonista nelle risposte alle problematiche sociali di questi anni. In questo spazio di sviluppo si è inserito il cambiamento della legge 155 sull’impresa sociale, non come mera modifica di un pezzo (per ora piccolo) del terzo settore, ma piuttosto come un nuovo modello economico – non speculativo – per gestire l’interesse pubblico.

Attorno agli “interventi dall’alto” realizzati dal Governo si sarebbe potuta collegare una “rivoluzione dal basso” attivata dal movimento dei makers, dai nuovi cooperatori sociali e da imprenditori ed investitori profit che intendono impegnarsi in un modello economico più equo. Matteo ha comunicato questa visione negli incontri presso la redazione di Vita, dove è sembrato avesse chiare in testa le conseguenze e gli impegni che si stava assumendo.

Dietro la sua frase “ il terzo settore è il primo” c’era una visione di una società diversa ed un impegno a trasferire i modelli valoriali (non le forme giuridiche!) presenti nel terzo settore, anche all’interno di altri settori dell’economia, per affrontare in modo sostenibile alcuni dei problemi sociali del Paese. Era evidente che questa nuova forma di economia solidale avrebbe superato la dicotomia tra profit e non profit/filantropia, come quella tra pubblico e privato. Insomma, una via europea allo sviluppo che riuscisse ad andare oltre le ricette tradizionali richieste dai mercati finanziari internazionali, come il solito rilancio dei consumi, l’incremento del PIL, la ripresa delle privatizzazioni e la riduzione del debito.

Ma perché non fossero solo dichiarazioni di principio, questo nuovo modello di economia, valorizzato dalla modifica della 155, avrebbe dovuto integrarsi nelle politiche del Governo. In altre parole senza collegamento con le politiche, l’economia sociale non sarebbe andata lontano e si sarebbe persa l’ennesima occasione per “cambiare verso”.

Poi però sono uscite le prime Leggi Delega dei Ministri e i primi Decreti del Governo Renzi In nessuna delle politiche attive sono a tutt’oggi richiamati modelli di economia sociale, né come principi ispiratori né tanto meno come soluzioni concrete. Eppure, gli ambiti di applicazione potrebbero essere molteplici e riguardare la difesa dei livelli occupazionali, la ristrutturazione della macchina pubblica, la valorizzazione dei beni comuni, l’istruzione e la scuola, i sistemi di welfare per le famiglie, la gestione di alcuni servizi ed infrastrutture di interesse locale (es. ciclo idrico), la gestione ambientale, persino l’ambito giudiziario con lo sviluppo dei sistemi d’integrazione lavorativa dei carcerati.

Di tutte queste possibilità di applicazione e di altre molto è stato scritto, anche sulle pagine di vita.it. Purtroppo nessuna di queste ipotesi è, a tutt’oggi, contemplata dalle direttive del Governo.

Soffermiamoci in particolare sulle due azioni di politica di cui si sta discutendo in questi giorni e che riguardano principalmente due Ministeri :

• Ministero de Lavoro

A fronte di una crisi strutture le del lavoro non ritrovo nessuna misura per favorire processi di ristrutturazione responsabile, tra l’altro promossi ed incentivanti sin dal 2012 da quella parte “buona” della UE. Nulla che faccia riferimento all’utilizzo dell’impresa sociale come rescue company, ovvero come opportunità di riqualificazione e reinserimento lavorativo di esodati. Inoltre, nella confusione delle politiche ministeriali e regionali relative alla Garanzia Giovani, non è presente alcuna iniziativa specifica a favore l’imprenditoria sociale giovanile, che promuova le start-up innovative a vocazione sociale, che favorisca e supporti il fenomeno crescente dei “makers”. L’aspetto più preoccupante è verificare come all’interno dello stesso Ministero, responsabile di seguire l’iter normativo per la modifica della 155, le azioni sul Job Act e sulla Garanzia Giovani sono totalmente slegate dai modelli di economia sociale che la nuova 155 dovrebbe contribuire a sviluppare. Insomma, è come se la mano destra non sapesse quello che fa la mano sinistra.

• Ministro dello Sviluppo economico

In particolare, nel Decreto Sblocca Italia non si fa riferimento alcuno a soluzioni di economia sociale per gestire gli immobili demaniali dismessi, per riqualificare e bonificare le aree di rilevante interesse nazionale e per gestire infrastrutture logistiche e culturali nell’interesse della comunità. Si parla piuttosto di privatizzazione di beni demaniali con il rischio di attivare processi non regolati che cedono beni di comunità in mano a pochi, aprendo a potenziali rischi speculativi. In questo ambito la nuova impresa sociale – low profit potrebbe rappresentare il modello alternativo ai sistemi di privatizzazione tradizionale e consentirebbe il coinvolgimento di tipologie di investitori responsabili che hanno attese di ritorno di lungo periodo.

A questo punto mi domando*. Perché un Premier che ha una visione cosi solidale della società non riesce ad esprimerla nelle politiche del proprio Governo? Forse il problema va ricercato nelle struttura funzionale con la quale è organizzata la macchina pubblica. La linea di un Governo non dovrebbe essere vista come la sommatoria delle politiche verticali dei suoi Ministeri, ma deve contenere una visione integrata della società a cui le politiche ministeriali dovrebbero ispirarsi.

Risulta necessario quindi superare le verticalità ministeriali che non colgono le complessità e le interconnessioni tra gli ambiti. Oggi non si può fare politica ambientale senza integrarla in un quadro di politica economica, non si può parlare di istruzione o scuola senza collegarle alla riforma del lavoro, così come non si può pensare alla ristrutturazione della macchina pubblica non integrata alle politiche di sviluppo del secondo welfare o dell’economia sociale.

La modifica 155 è stata invece affrontata in logica verticale, confinandola all’interno della riforma del terzo settore, come se il terzo settore stesso fosse un ambito industriale specifico e non un modello di intervento trasversale alle politiche sociali ed economiche.

Cosa fare quindi? Se la visione di Matteo Renzi è quella di trasformare la società in un modello più equo e responsabile, l’economia sociale di mercato deve per forza giocare un ruolo centrale in questo processo di trasformazione. A questo punto, forse, un’ Unità di Missione specifica in riporto diretto alla Presidenza del Consiglio potrebbe favorire l’integrazione dei modelli di economia sociale nelle politiche ministeriali e, conseguentemente, l’affermazione concreta della visione del Governo.

*Articolo di Andrea Rapaccini

 

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E FINALMENTE ARRIVA IL PIANO NAZIONALE MALATTIE RARE

Fonte www.superando.itParla di «giornata storica» per i Malati Rari e i loro Familiari UNIAMO-FIMR (Federazione Italiana Malattie Rare), in riferimento al 16 ottobre scorso, che ha coinciso con l’approvazione del Piano Nazionale Malattie Rare, a conclusione di un lungo percorso di analisi, discussioni e proposte, intrapreso nel 2001 con l’emanazione del Decreto Ministeriale 279, che aveva istituito la Rete Nazionale per le Rare, per proseguire poi con altre tappe successive, fino all’attuale risultato che, come sottolinea Renza Barbon Galluppi, presidente di UNIAMO-FIMR, «ha portato a un atto che allinea finalmente l’Italia agli altri Paesi comunitari già in possesso di un analogo Piano».

«Questo traguardo – aggiunge Barbon Galluppi – è stato raggiunto grazie all’impegno di tutti i portatori d’interesse che dal 2010 hanno lavorato in sinergia per mettere a sistema lo sviluppo di una strategia integrata, globale e di medio periodo per l’Italia sulle Malattie Rare, strategia centrata sui bisogni assistenziali della persona e della sua famiglia. Il Piano Nazionale Malattie Rare è appunto il risultato di questo processo, dove sono ben sviluppate tre dimensioni: Europa, Italia e obiettivi a cui tendere entro il 2016».

«Tra gli esiti da tempo attesi dai pazienti – prosegue la Presidente di UNIAMO-FIMR – vi è l’istituzione di un Comitato Nazionale cui afferiscono tutti i portatori di interesse, comprese le Associazioni dei pazienti, con funzione di “cabina di regia” per le azioni da sviluppare e monitorare».

«Ora – conclude Barbon Galluppi – l’impegno dei pazienti diventa sempre più rilevante: la nostra Federazione, quale voce istituzionale riconosciuta, porterà nell’agenda di discussione politica l’esperienza vissuta quotidiana di ogni Malato Raro e di ogni familiare coinvolto affinché gli obiettivi del Piano rispondano appropriatamente ai bisogni dei Malati Rari stessi, in un welfare in trasformazione, con l’obiettivo di rendere la prossima versione del documento maggiormente integrata nei bisogni di assistenza sanitaria e sociosanitaria, come sottolineato nel 2009 dalle Raccomandazioni del Consiglio Europeo nel settore delle Malattie Rare».

Per ulteriori informazioni e approfondimenti

Ufficio Stampa UNIAMO-FIMR (Serena Bartezzati), serena.bartezzati@uniamo.org

Leggi l’articolo “Piano nazionale malattie rare. De Filippo: Messa a sistema catena di formazione, diagnosi precoce, uso farmaci e terapie”

 

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DISABILITÀ, LE REGIONI CHIEDONO IL PIANO PER LA NON AUTOSUFFICIENZA E FONDI CERTI

Fonte www.superabile.it Risorse adeguate per i fondi sociali e un Piano nazionale per la non autosufficienza: è questa, in sintesi, la richiesta che ieri la Conferenza delle regioni ha rivolto alla commissione Affari sociali della Camera, in occasione dell’audizione di Lorena Rambaudi (coordinatrice commissione Politiche sociali) sulle Proposte di legge per interventi a favore della disabilità.

Proposte che si riferiscono, in particolare, al tema del Dopo di noi e quindi dell’assistenza alle persone con disabilità prive del sostegno familiare. Un piano nazionale non autosufficienza. Più che entrare nel merito delle singole proposte di legge, “che presentano molti punti in comune e alcune divergenze”, Ramabaudi ha sottolineato la necessità che le misure previste siano collocate “ in un sistema organico di supporto domiciliare e residenziale, con adeguate risorse pluriennali”. A tal proposito, “siamo molto preoccupati perché il taglio previsto per le regioni porterebbe l’azzeramento di attività e servizi delle regioni stesse. Come commissione politiche sociali, in interlocuzione con vari governi e parlamentari, sosteniamo che abbiamo necessità di individuare qualche livello essenziale di servizio sociale”.

Il “dopo di noi” dovrebbe essere quindi “un tassello di questo Piano nazionale, come un pezzo di puzzle, in chiave di integrazione socio-sanitaria. La separazione attuale tra sanità e sociale costringe infatti le persone ad una scelta, che normalmente ricade sull’ambito sanitario, considerato più sicuro, visto che sulla domiciliarità mancano forme di supporto concreto”.

Legge sul dopo di noi. In mancanza di un Piano nazionale, “ le legge sul dopo di noi è effettivamente necessaria, mentre non servirebbe qualora quel piano ci fosse”. Per quanto riguarda le quattro proposte attualmente in esame, “ è importante l’idea della fondazione di partecipazione,a altrimenti il dopo di noi si ridurrebbe ad essere una voce della filiera dei servizi per i cittadini con disabilità. La partecipazione delle famiglie – ha osservato Rambaudi .- porta invece un valore aggiunto ed esistono già esperienze positive e significative, da cui prendere spunto. In conclusione – ha detto ancora Rambaudi, rivolgendosi ai parlamentari presenti – siamo d’accordo che ci sia questa legge, ma vi chiediamo di fare uno sforzo aggiuntivo e di aiutarci come commissione parlamentar nel sostenere la necessità di un piano non autosufficienza integrato”.

I fondi sociali. Per quanto riguarda in particolare la non autosufficienza, “stiamo lavorando con fondi non stabilizzati e ogni anno rincorriamo poste a bilancio. Questo non ci permette di lavorare in modo adeguato: le risorse faticosamente lo scorso anno conquistate, iniziamo a spenderle in questi mesi, a causa delle lunghe trafile burocratiche”. La richiesta è che quindi ci siano “pluriennalità e stabilizzazione del fondo per la non autosufficienza, che ci garantirebbe continuità”.

Molta preoccupazione e delusione, quindi, per quanto prevede la Finanziaria di cui ieri si è iniziato a discutere e che “prevede 250 milioni per la non autosufficienza, proprio come lo scorso anno, quando poi la cifra fu aumentata grazie alle pressioni e alle manifestazioni. Ma questa soglia è ritenuta da tutti troppo bassa”.

La Conferenza delle regioni chiede quindi che il Fondo non autosufficienze sia consolidato per almeno un triennio e “la sua dotazione sia aumentata ad almeno 400 milioni di euro, con interventi diretti per il domicilio e un supporto concreto alla semiresidenzialità più che alla residenzialità e, nel caso di quest’ultima, con il superamento delle strutture di 40.60 posti a favore di comunità familiari”.

Le definizioni. Altro passaggio fondamentale, per realizzare un sostegno normativo adeguato alla non autosufficienza e al dopo di noi in particolare, è “la definizione di disabilità grave, gravissima ecc. Attualmente, non abbiamo questi parametri e ciò comporta continui conflitti anche tra associazioni e categorie di disabili: quando la coperta è troppo stretta, ognuno cerca di tirarla dalla propria parte. E’ quindi urgente trovare, in un accordo stato-regioni e attraverso linee guida, definizioni e riferimenti condivisi, che ci aiuterebbero nell’incrocio tra servizi e tipologie di disabilità”.

La revisione dei Lea. Infine, altro nodo cruciale è “la revisione dei Lea, che ci auguriamo sia estensiva, ma temiamo sarà invece riduttiva. Per noi – ha detto ancora Rambaudi – sarebbe un’ occasione importante per prevedere una flessibilità di spesa nell’integrazione socio sanitaria, che oggi non c’è. Prevalgono invece interventi medicalizzati e istituzionalizzati, piuttosto che interventi integrati che garantirebbero una migliore qualità della vita. Questo dell’aggiornamento dei Lea – ha concluso – è un appuntamento a cui speriamo di essere convocati”.

 

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FISCO, NUOVO AGGIORNAMENTO DELLA GUIDA ALLE AGEVOLAZIONI FISCALI PER LE PERSONE CON DISABILITÀ

Fonte www.grusol.it – La guida illustra il quadro aggiornato delle varie situazioni in cui sono riconosciuti benefici fiscali in favore dei contribuenti con disabilità, indicando con chiarezza le persone che ne hanno diritto. In particolare, sono spiegate le regole e le modalità da seguire per richiedere le agevolazioni.

La guida è qui disponibile

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IL TIMETABLE DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Fonte www.vita.it – Deputata bolognese del Pd, capogruppo del suo partito nella XXII Commissione Affari Sociali, esperta di sanità e assistenza e volontaria della Caritas, Donata Lenzi è la relatrice della delega sulla riforma del Terzo settore.

Vita.it la intercetta poco prima di entrare in Commissione per riprendere il dibattito.

Com’è il clima?

Nella nostra Commissione senz’altro ottimo. Siamo abituati a discutere di temi etici, abbiamo imparato a confrontarci in modo autentico e costruttivo. Siamo tutti convinti che questo sia un buon testo. Ma come tutte le cose va scritto bene in modo che non si creino problemi dopo per esempio rispetti ai ricorsi giudiziari. E teniamo conto che meglio la materia è definita, maggiore chances ha di superare il vaglio delle commissioni sociali.

Le faccio un esempio: quando si parla di “interesse generale” cosa si intende?

Sulla carta tutto e niente. Discutiamone e precisiamolo.

Sta prendendo tempo?

Non è questo il punto, i tempi saranno quelli necessari per portare in porto una buon testo.

A che punto siete?

In questi giorni definiremo la lista delle audizioni. Come sappiamo questo è un mondo variegato e composito, ma un criterio andava trovato. Per questo ho optato per dare la precedenza alle rappresentanze e agli enti di secondo e terzo livello. Anche se mi rendo conto che è un metodo che ha dei limiti. Poi vedremo se ci sarà spazio per gli esperti. Sicuramente ci saranno gli interventi istituzionali: Conferenza Stato-Regioni, Agenzia delle Entrate e Ufficio nazionale del servizio civile. Infine il testo, ma qui deciderà la presidenza della Camera, dovrà passare al vaglio delle altre commissioni. Di sicuro Affari costituzionali, Difesa e Giustizia. Dopo di che arriveremo in Aula.

Quando?

Non ho elementi concreti per fare previsioni in questo senso, se non la conoscenza delle procedure e delle tempistiche parlamentari. Consideriamo che fino al venti novembre l’Aula di Montecitorio sarà impegnata nell’esame della legge di Stabilità che ha la priorità su tutto il resto.

Un’ultima domanda: qual è il suo parere personale sulla riforma?

A me è un testo che piace molto. Per questo ribadisco: occorre fare bene le cose per non avere cattive sorprese dopo.

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L’INSEGNANTE DI SOSTEGNO PUÒ ESSERE UTILIZZATO ANCHE PER ALTRE FUNZIONI?

Fonte www.edscuola.eu – La domanda è la solita e serpeggia nell’aria da anni, senza trovare risposte univoche, ma perdendosi nel ginepraio di leggi, leggine e interpretazioni giurisprudenziali: l’insegnante di sostegno può essere utilizzato per svolgere altro tipo di funzione se non quelle strettamente connesse al progetto d’integrazione? Come deve essere considerato tale utilizzo, qualora riduca anche in minima parte l’efficacia di tale progetto?

Certo l’assegnazione delle supplenze ai docenti di sostegno è un problema molto sentito e sul quale non è sempre facile fare chiarezza, in quanto la normativa è tutt’altro che chiara e univoca. E spesso viene invocata dalla parti in causa per sostenere gli interessi ora dell’una ora dell’altra. L’unico punto fermo è che, in presenza dell’alunno con disabilità, mai il docente di sostegno può essere utilizzato per la sostituzione di un collega assente.

Infatti, all’art.13 comma 6, la Legge 104/92 dispone chiaramente che “gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano, partecipando alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di interclasse, dei consigli di classe e dei collegi dei docenti” Inoltre ai sensi dell’art. 315/5 del D.Lgs. 297/1994, art. 15/10 dell’O.M. n. 90/2001 e artt. 2/5 e 4/1 del D.P.R. 122/2009, è a pieno titolo docente della classe e quindi non solo dell’allievo con disabilità a lui affidato: egli è dunque contitolare della classe e compresente durante le attività didattiche per effetto della sua particolare funzione di supporto alla classe del disabile di riferimento e la sua funzione non viene meno anche quando è assente il docente curricolare.

Non a caso il MIUR nelle Linee guida sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità ha precisato: “(…) l’insegnante per le attività di sostegno non può essere utilizzato per svolgere altro tipo di funzioni se non quelle strettamente connesse al progetto d’integrazione, qualora tale diverso utilizzo riduca anche in minima parte l’efficacia di detto progetto. Tale indicazione è stata ribadita dalla Nota ministeriale n. 9839 del 08/11/2010 che richiama l’attenzione “sull’opportunità di non ricorrere alla sostituzione dei docenti assenti con personale in servizio su posti di sostegno, salvo casi eccezionali non altrimenti risolvibili”.

E quando l’alunno con disabilità è assente? L’orientamento adottato in alcune scuole o USR più attenti al problema è infatti quello di consentire supplenze ai docenti di sostegno in orario sulla classe solo quando l’alunno con disabilità è assente. Qualora sia prevista una specifica attività didattica con la classe, dove è necessaria la compresenza del docente di sostegno, anche in assenza dell’alunno con disabilità, è opportuno farlo presente al Dirigente Scolastico (responsabile per l’assegnazione della supplenza) affinchè provveda a individuare altro personale docente in servizio. Quando l’alunno disabile è assente, dunque, l’interpretazione della norma si biforca sostanzialmente in due direzioni opposte.

1. La norma che vieta l’utilizzo del docente di sostegno nelle supplenze vale solo se l’alunno con disabilità è presente a scuola. Quando invece è assente, deve ritenersi che l’insegnante per le attività di sostegno rimanga a disposizione della comunità scolastica e possa essere utilizzato per supplenze ovunque, come accade per tutti i docenti che hanno ore a disposizione. Né è legittimo, sostenere che, essendo egli docente in una classe, anche quando manchi l’alunno con disabilità debba rimanere a disposizione solo di quella classe; infatti il docente, in caso di assenza dell’alunno per la cui integrazione è stato nominato, si trova in condizioni simili a quelle di un docente curriculare quando tutta la sua classe sia assente (p. es. per una gita) e quindi a disposizione di tutta la scuola.

2. L’insegnante di sostegno, docente contitolare della classe, in caso di sia di presenza sia di assenza dell’alunno con disabilità, non può essere impegnato in supplenze, in caso contrario si limiterebbe il diritto allo studio dell’alunno con disabilità sancito dalla legge 104 e si violerebbe il principio di contitolarità innanzi citato. Pertanto, in caso di assenza dell’alunno, l’insegnante di sostegno dovrà rimanere nella classe in cui è contitolare. Molti dirigenti si orientano così: solo nel caso sia assente il docente della classe nell’ora della contitolarità, il docente di sostegno è individuato prioritariamente per la sostituzione, a patto che ciò non arrechi danno alla situazione dell’alunno con disabilità e della classe

Se è assente l’insegnante curricolare, che condivide la stessa classe, in base al principio della contitolarità dell’insegnante di sostegno (art 13.b6L.104/92), non si parla nemmeno di supplenza, ma di diversa organizzazione dell’attività didattica. Anche questa situazione va comunque contenuta in un intervallo temporale ragionevole per evitare pesanti ricadute sulla qualità dell’integrazione scolastica dell’alunno con disabilità. Naturalmente ogni situazione va valutata singolarmente, ma principio guida dovrà essere il buon senso.

14 ottobre 2014

Riassumendo: il docente di sostegno non dovrà essere utilizzato per la sostituzione dei colleghi assenti, né in presenza né in assenza dell’alunno disabile, a meno che non ricorrano situazioni di particolare urgenza, nelle quali può essere richiesta la sua volontaria disponibilità. Ciò, è ovvio, deve avere il carattere della eccezionalità e non può e non deve diventare una regola, Il docente di sostegno resterà nella propria classe qualora sia assente il collega di compresenza, organizzando in modo differente il lavoro di integrazione. Sarà possibile contravvenire a questa regola nei casi di particolare gravità, individuati come tali all’interno dei consigli di classe.

Si tratta di quei casi nei quali l’alunno con handicap ha bisogni che non consentono al docente di dedicarsi all’intera classe. Resta un criterio imprescindibile: la necessità di condivisione degli sforzi che orientano la comunità scolastica a un lavoro sereno e proficuo per condurre gli studenti al più alto grado di successo formativo.