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“Quei 24 gradini con mio figlio sulle spalle”: in un video, l’appello di una mamma

Fonte www.superabile.it ROMA – Ventiquattro gradini possono trasformare la casa in una vera trappola: è quanto accade a Portici, a pochi chilometri da Napoli, dove vive Ciro, un ragazzo di 15 anni disabile al 100%, insieme alla sua mamma Donatella e al papà Raffaele. Non è facile immaginare cosa possa significare una rampa di scale per una famiglia come questa: e pare non comprenderlo neanche il comune di Portici, a cui più volte la mamma di Ciro si è rivolta, perché la aiutasse ad abbattere quelle terribili barriere. Così, qualche tempo fa, “ho deciso di girare un video, anche se mi piange il cuore a mostrare mio figlio a tutti, mi pare di violentare la sua dignità. Ma sono pronta a tutto, pur di ottenere quello che ci spetta di diritto”. Come spesso accade in casi come questo, basterebbe un ascensore per risolvere un problema che sta diventando un dramma. “Io ho quasi 50 anni, Ciro pesa ormai 49 chili. Abbiamo il soggiorno e la cucina al piano terra, le camere e il bagno al piano superiore. Ci sono sei scalini dal giardino al soggiorno, 10 dal soggiorno alla cucina e altri 18 fino alle camere. Tante volte, ogni giorno, devo caricarmi Ciro sulle spalle, come un sacco di patate, perché solo così riesco a equilibrare il peso. Ho il femore bloccato, per colpa di questi sforzi continui. Ma non posso operarmi, perché Ciro non può fare a meno di me”.

La casa in cui la famiglia abita “è quella di mio padre, che la comprò nel 1969 e la divise tra i suoi tre figli. Spostarci da qui è impossibile, non abbiamo un soldo”. Donatella non lavora, perché “tutto il giorno mi occupo di Ciro”. Raffaele ha lavorato per 24 anni presso una ditta d’importazione, finché un anno e mezzo fa i mille euro al mese che guadagnava sono diventati una spesa eccessiva per l’azienda, che lo ha messo alla porta. “Ora ha rinnovato il libretto di navigazione, perché da giovane era marinaio. Ma finora, in un anno e messo, è riuscito a imbarcarsi solo un mese con la Caremar. Viviamo con l’accompagno di mio figlio, è lui che ci mantiene: 504 euro al mese. Quando ho pagato tutte le bollette, mi restano 50 euro per vivere. E il comune vorrebbe che mi accollassi anche le spese dei lavori!”. Lavori sempre più necessari, però, perché Ciro pesa sempre di più “e oltretutto capisce benissimo quanta fatica facciamo. E ne soffre”. Perfino gli assistenti sociali sono letteralmente fuggiti da una situazione fisicamente troppo impegnativa. “La cooperativa accreditata con il comune mi ha detto chiaramente che non mi manderà un assistente domiciliare finché non risolveremo la questione delle barriere. Prima, veniva una ragazza, per un’ora al giorno, ma ha resistito 6 mesi, poi si è tirata indietro”. Così, oggi, non è rimasto nessuno ad aiutare questa famiglia. “Lunedì ho incontrato per caso il sindaco, mentre accompagnavo Ciro a scuola. Gli ho raccontato la nostra situazione, ma mi ha risposto che i soldi non ci sono. E’ la stessa risposta che ricevetti quando presentai ai servizi sociali i quattro preventivi richiesti per l’ascensore: i soldi non ci sono. E noi come facciamo ad andare avanti così?”.

Ora, attraverso il video diffuso suo malgrado, la mamma di Ciro rinnova il suo appello alle istituzioni: “innanzitutto, chiedo che si risolva il problema delle barriere architettoniche. E poi che ci sia assicurata un’assistenza domiciliare adeguata, per almeno 3 ore al giorno. Se ancora non mi sono incatenata al portone del comune, è solo per rispetto verso la dignità di mio figlio. Ma ormai sono pronta proprio a tutto” (cl)

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FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLE ABILITÀ DIFFERENTI

Cuori Coraggiosi è la sedicesima edizione del Festival Internazionale delle Abilità Differenti, manifestazione dedicata all’eccellenza nella differenza organizzata dalla Cooperativa Sociale Nazareno di Carpi che si svolgerà nelle città di Carpi, Correggio, Sorbara,Modena e Bologna dal 23 maggio al 1 giugno 2014.

Quest’anno l’accento viene posto sul tema del coraggio di stare di fronte alla realtà con i propri limiti e le proprie risorse: da qui il titolo dell’intera manifestazione ed il tema della mostra d’arte dedicata agli “Eroi”

A proposito dei protagonisti della manifestazione, Sergio Zini, Presidente della Cooperativa Nazareno, pone l’accento sul «coraggio di rischiare il desiderio del proprio cuore anche quando le circostanze sono avverse. Ma, come dice Don Abbondio, “Il coraggio, uno non se lo può dare”.

Storie di ordinario coraggio e di straordinaria affezione. Da dove viene questo coraggio? Chi ce lo può dare? Un maestro, un amico, uno che ci vuol bene, un compagno di cammino. Un Altro insomma che può farci riscoprire la nostra vera statura di uomini e la grandezza del nostro cuore che, nell’ordinario della vita, desidera e ricerca la sua felicità ».

Il festival proporrà i seguenti eventi

Esposizioni:

Mostra d’arte “Metamorfosi d’Eroe”, curate Prof. Luca Farulli, docente di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Venezia presso Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Spettacoli:

-Spettacolo Musicale con orchestra A.Pio, band Scià Scià, Band australiana Rudely Interrupted e Lou Boland presso Teatro Storchi, Modena.

-Open Festival Musica, Danza e Teatro in collaborazione con gli Istituti San Tomaso di Correggio.

-Spettacolo teatrale “Falstaff. La beffa del grasso cavaliere”, tratto da “Le allegre comari di Windsor”, in collaborazione con Liceo Classico Corso di Correggio e la Scuola A. Pio di Carpi.

-Spettacolo teatrale “I sospiri di sissignore” della Compagnia Teatrale Manolibera.

-Spettacolo musicale “Rock a Casa Mantovani” con la band australiana Rudely Interrupted e la partecipazione di Lou Boland.

Laboratori:

-metodanza

-cartoni animati

-karate -origami

-pet-therapy

-ippoterapia

-gruppo fiaba

-C’era una volta

Incontri:

-Convegno di psichiatria “Il coraggio di guarire”

-Corsi e seminari in collaborazione con Scuola Centrale di Formazione “Abilità creative e impresa di transizione”

Film e Libri :

-Film “Tutti Pazzi per Parigi” di Eike Besuden e Pago Balke

-Presentazione libri: “Benvenuto a casa” di S.E. Mons Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia e “Un gettone di libertà” di Massimiliano Verga

Per maggiori informazioni

Per tutte le informazioni sull’evento è possibile consultare il sito dedicato a questo link

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FORSE LA SCUOLA, ANCORA UNA VOLTA, CI SALVERÀ

Fonte www.superando.it C’è un problema nella scuola italiana, evidente a occhio nudo. Il sistema attualmente in vigore dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità sta paurosamente scricchiolando, sotto il peso degli anni, della burocrazia, della contraddittorietà delle norme, della mancanza di risorse, della scarsa convinzione a livello dirigenziale, del rigetto anche psicologico da parte degli stessi genitori di bambini con disabilità, che temono più esclusione che inclusione.

L’elenco dei campanelli d’allarme potrebbe continuare a lungo. Ma fortunatamente l’Italia è un Paese nel quale operano – spesso sotto traccia – energie intellettuali e morali di alto livello, competenze che ci vengono invidiate all’estero, persino case editrici che in questo periodo così difficile riescono a produrre contenuti utili al confronto culturale, senza che questo avvenga subito e solo in chiave politica.

È il caso del bel libro di Dario Ianes, L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva edito recentemente da Erickson e già al centro di un vivacissimo dibattito. La tesi di Ianes – uno dei punti di riferimento culturali nel campo della pedagogia e della didattica speciale – è molto forte. Una specie di rivoluzione rispetto al sistema attuale. L’idea è che gli insegnanti di sostegno da “speciali” diventino “normali”, entrando di fatto nella scuola come docenti curricolari, lasciando altresì a una task force di docenti iperspecializzati il compito di presidiare il territorio, di formare, di informare, di risolvere le situazioni più complesse. Non sono assolutamente in grado di valutare tecnicamente la validità o la fattibilità concreta, in tempi brevi, di questa profonda modifica del sistema scolastico. Una prima seria riflessione è stata fatta ad esempio, da Salvatore Nocera , storico riferimento per la FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap.

Ma una cosa è certa, c’è un bisogno assoluto di riprendere con vigore lo spirito di una delle più belle riforme mai attuate in Italia. La presenza degli alunni con disabilità nella scuola italiana è un traguardo di incredibile valore per tutti, soprattutto per gli insegnanti e per gli alunni senza disabilità, a patto naturalmente che funzioni, che non sia soffocata da barriere, vincoli burocratici, formalismi, mancanza di fiducia e di impegno pedagogico e di socializzazione.

Altrimenti succede che – mitridaticamente – i genitori per primi comincino a vacillare, e a cercare alternative, sperando che una scuola “specializzata” faccia qualcosa di meglio rispetto alla scuola pubblica. Si riaffacciano così, in modo soft, le “scuole speciali”, che non sono previste dal nostro ordinamento, eppure esistono.

E anche quando si rimane nell’àmbito della scuola pubblica, dall’infanzia alle superiori, spesso l’insegnante di sostegno è di fatto un “parcheggiatore” dell’alunno che non si è in condizione di includere nella classe in modo normale, tenendo conto delle sue specifiche esigenze e capacità di apprendimento e di comunicazione.

Basti pensare che fanno comunque fatica a integrarsi anche alunni con disabilità “semplicemente” motoria o sensoriale che quindi, in teoria, potrebbero benissimo cavarsela da soli, come, per esempio, accadde a me tanti anni fa, quando le leggi neppure esistevano, ma le scale sicuramente sì.

Ecco perché ho provato un momento di grande emozione e di speranza quando mi è stato chiesto, pochi giorni fa, da Roberta Garbo, docente dell’Università della Bicocca a Milano, di intervenire all’incontro di presentazione dei corsi di specializzazione, per insegnanti di sostegno, che dureranno per un anno intero.

Mi sono trovato davanti a un’aula piena di oltre cento docenti, prevalentemente giovani, che hanno ascoltato in silenzio una persona con disabilità come me raccontar loro una cosa semplice, ma che spesso si dimentica: andare a scuola è una gioia incommensurabile per un bambino che vive sulla propria pelle una situazione di deficit. È il luogo più importante, nel quale si costruisce un progetto di vita, una speranza di normalità, si stabiliscono le prime amicizie, ci si confronta, si soffre come tutti, ma si partecipa e non ci si sente esclusi, come ha sottolineato recentemente nel «Corriere della Sera» lo scrittore Fulvio Ervas.

Presidiare la scuola, oggi, è un dovere morale prima ancora che un dovere civile. Per chi sceglie questo mestiere, difficile e di grande responsabilità, deve sempre esserci un unico pensiero: è la persona al centro della scena.

Quel singolo alunno, che ha un nome, una vita, un diritto da condividere con gli altri alunni, che impareranno a conoscerlo, a occuparsene, a inserirlo negli scherzi, nello studio, nelle gite, nel tempo libero. Forse la scuola, ancora una volta, ci salverà.

*Direttore responsabile di «Superando.it»

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QUEL “NULLA” DOPO LA SCUOLA PER LE PERSONE CON DISABILITÀ

Fonte www.edscuola.eu Secondo il Censis, dopo la scuola ha il lavoro solo il 31,4% dei ragazzi con sindrome di Down con più di 24 anni e appena il 10% ddei ragazzi con autismo over 20. Intanto, però, le persone con disabilità aumentano di numero, ma sotto traccia.

Secondo le stime del Censis il 6,7% della popolazione ha una disabilità, un totale di 4,1 milioni di persone che nel 2020 raggiungeranno i 4,8 milioni (7,9% della popolazione) e nel 2040 saliranno a 6,7 milioni (il 10,7% della popolazione). In Italia, pubblica Il Sole 24 riportando i dati del Censis, ci sono circa 48mila persone con sindrome di Down, di cui solo il 21% ha meno di 14 anni. È al 66% e rappresenta la fascia di età più ampia, quella fra i 15 e i 44 anni, mentre il 13% ha oltre 44 anni. L’aspettativa di vita per chi è portatore della sindrome di Down è di 61,6 anni per i maschi e di 57,8 anni per le femmine.

Le persone con autismo in Italia secondo le stime sarebbero circa 500mila, pari all’1% della popolazione. Intanto nelle scuole statali cresce il numero dei ragazzi con disabilità che erano 202.314 nell’anno scolastico 2012/2013 e 209.814 nell’anno 2013/2014. Aumentato anche il numero dei docenti di sostegno dai 101.301 del 2012/2013 ai 110.216 del 2013/2014 (+8,8%).

Secondo un’indagine del Censis, i bambini con sindrome di Down in età prescolare che frequentano il nido o la scuola dell’infanzia sono l’82,1%, tra i 7 e i 14 anni l’inclusione scolastica raggiunge il 97,4%, ma già tra i 15 e i 24 anni la percentuale scende a poco meno della metà, anche se l’11,2% prosegue il percorso formativo a livello professionale.

Tra i ragazzi affetti da disturbi dello spettro autistico, fino a 19 anni è il 93,4% a frequentare la scuola, ma il dato scende al 67,1% tra i 14 e i 20 anni, e arriva al 6,7% tra chi ha più di 20 anni.

Dopo la scuola, tutti a casa

E poi? Tutti a casa. Dopo la scuola, infatti, gli adulti con sindrome di Down e con autismo scompaiono nelle loro case, con pochissime opportunità di inserimento sociale e di esercizio del loro diritto alle pari opportunità. Nel mondo del lavoro l’inclusione è pressoché inesistente. Ha un lavoro solo il 31,4% delle persone Down over 24 anni. E la maggioranza di quelli che lavorano (oltre il 60%) non è comunque inquadrata con contratti di lavoro standard.

Nella maggior parte dei casi lavorano in cooperative sociali, spesso senza un vero e proprio contratto. In oltre il 70% dei casi non ricevono nessun compenso o ne percepiscono uno minimo, comunque inferiore alla normale retribuzione per il lavoro che svolgono. Ancora più grave è la situazione per le persone con autismo: a lavorare è solo il 10% degli over 20.

Gli adulti con disabilità rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie, con sostegni istituzionali limitati, focalizzati quasi esclusivamente sul supporto economico. In Italia la spesa per le prestazioni di protezione sociale per la disabilità, cash e in natura, è pari a 437 euro pro-capite all’anno, superiore solo al dato della Spagna (404 euro) e molto inferiore alla media europea di 535 euro (il 18,3% in meno).

I genitori delle persone con autismo e delle persone Down spendono nell’assistenza diretta e nella sorveglianza complessivamente 17 ore al giorno. La valorizzazione economica di questo tempo vale circa 44.000 euro per famiglia nel caso delle persone Down e circa 51.000 euro per le persone affette da disturbi dello spettro autistico.

Aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota di quelle che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli con disabilità. Mentre tra i genitori di bambini e ragazzi Down fino a 15 anni la quota di genitori che pensa a un «dopo di noi» in cui il proprio figlio avrà una vita autonoma o semi-autonoma varia tra il 30% e il 40%, tra i genitori degli adulti la percentuale si riduce al 12%.

La quota di genitori di bambini e adolescenti con autismo che prospettano una situazione futura di autonomia anche parziale per i loro figli (23%) si riduce ancora più drasticamente (5%) tra le famiglie che hanno un figlio con autismo di 21 anni e più.

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Le persone disabili sono oltre 4 milioni. Dopo la scuola, “destinate all’invisibilità”

Fonte www.superabile.it ROMA – Aumentano di numero, ma sotto traccia, senza un’immagine e un’identità precisa. Il Censis stima, nel “Diario della transizione” pubblicato oggi, una percentuale di persone con disabilità pari al 6,7% della popolazione totale, cioè complessivamente 4,1 milioni di persone. Nel 2020 arriveranno a 4,8 milioni (il 7,9% della popolazione) e raggiungeranno i 6,7 milioni nel 2040 (il 10,7%). Eppure l’universo delle disabilità non riesce a uscire dal cono d’ombra in cui si trova, non solo nelle statistiche pubbliche (i dati ufficiali dell’Istat sono fermi al 2005), ma anche nell’immaginario collettivo e nel linguaggio comune. Un italiano su 4 afferma che non gli è mai capitato di avere a che fare con persone disabili. E la disabilità è percepita da 2 italiani su 3 essenzialmente come limitazione dei movimenti, mentre in realtà la disabilità intellettiva è più diffusa in età evolutiva e rappresenta l’aspetto più misconosciuto, al limite della rimozione.

Quando poi avanzano nell’età, le persone con disabilità intellettiva sono ancora più invisibili. Oggi in Italia le persone con sindrome di Down sono circa 48 mila, di cui solo il 21% ha fino a 14 anni. La fascia d’età più ampia è quella da 15 a 44 anni, pari al 66%, e il 13% ha più di 44 anni. L’aspettativa di vita alla nascita è di 61,6 anni per i maschi e di 57,8 anni per le femmine. Le persone affette da disturbi dello spettro autistico si stimano pari all’1% della popolazione, circa 500 mila.

Il modello di risposta alla disabilità del nostro welfare si basa in modo informale sulla famiglia, che non solo diventa il soggetto centrale della cura, ma spesso viene anche coinvolta nello stesso percorso di marginalità e isolamento che tende ad accentuarsi quando le persone disabili crescono. Fino alla minore età, le famiglie possono contare su uno dei pochi, se non l’unico, punto di forza della risposta istituzionale alla disabilità, cioè l’inclusione scolastica, che pur con tutti i suoi limiti e difficoltà rappresenta un’importante occasione di inclusione sociale. Il numero di alunni disabili nella scuola statale è cresciuto dai 202.314 dell’anno scolastico 2012/2013 ai 209.814 del 2013/2014 (+3,7%). Contemporaneamente è aumentato il numero dei docenti di sostegno: dai 101.301 del 2012/2013 ai 110.216 del 2013/2014 (+8,8%). Secondo un’indagine del Censis, i bambini Down in età prescolare che frequentano il nido o la scuola dell’infanzia sono l’82,1%, tra i 7 e i 14 anni l’inclusione scolastica raggiunge il 97,4%, ma già tra i 15 e i 24 anni la percentuale scende a poco meno della metà, anche se l’11,2% prosegue il percorso formativo a livello professionale. Tra i ragazzi affetti da disturbi dello spettro autistico, fino a 19 anni è il 93,4% a frequentare la scuola, ma il dato scende al 67,1% tra i 14 e i 20 anni, e arriva al 6,7% tra chi ha più di 20 anni.

Il destino dei ragazzi ormai grandi che escono dal sistema scolastico è sintetizzabile con una parola: dissolvenza. Oltre l’età scolastica, gli adulti Down e autistici scompaiono nelle loro case, con ridottissime opportunità di inserimento sociale e di esercizio del loro diritto alle pari opportunità. Nel mondo del lavoro l’inclusione è pressoché inesistente. Ha un lavoro solo il 31,4% delle persone Down over 24 anni. E la maggioranza di quelli che lavorano (oltre il 60%) non è comunque inquadrata con contratti di lavoro standard. Nella maggior parte dei casi lavorano in cooperative sociali, spesso senza un vero e proprio contratto. In oltre il 70% dei casi non ricevono nessun compenso o ne percepiscono uno minimo, comunque inferiore alla normale retribuzione per il lavoro che svolgono. Ancora più grave è la situazione per le persone autistiche: a lavorare è solo il 10% degli over 20.

I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie, con sostegni istituzionali limitati, focalizzati quasi esclusivamente sul supporto economico. Anche in questo caso, però, dal confronto con gli altri Paesi europei emerge che la spesa per le prestazioni di protezione sociale per la disabilità, cash e in natura, è pari a 437 euro pro-capite all’anno, superiore solo al dato della Spagna (404 euro) e molto inferiore alla media europea di 535 euro (il 18,3% in meno). Colpisce quanto poco sviluppata sia la spesa per i servizi in natura, che rappresenta solo il 5,8% del totale, cioè 25 euro pro-capite annui, meno di un quinto della media europea e inferiore anche al dato della Spagna.

Le opportunità di accesso ai servizi si riducono per i disabili adulti. Tra le persone Down di 25 anni e oltre, il 32,9% frequenta un centro diurno, ma il 24,3% non fa nulla, sta a casa. Tra le persone con autismo dai 21 anni in su, il 50% frequenta un centro diurno, ma il 21,7% non svolge nessuna attività. Tra le ore dedicate all’assistenza diretta e quelle di semplice sorveglianza, i genitori delle persone autistiche e delle persone Down spendono complessivamente 17 ore al giorno. La valorizzazione economica di questo tempo (equiparando le ore di assistenza a quelle retribuite con il minimo tabellare di un assistente sanitario e quelle di sorveglianza al compenso di un collaboratore domestico) arriva a una cifra annua davvero consistente: circa 44 mila euro per famiglia nel caso delle persone Down e circa 51 mila euro per le persone affette da disturbi dello spettro autistico. La portata dell’impegno familiare nella gestione assistenziale delle disabilità emerge con crudezza da questi dati, soprattutto se si pensa al valore contenuto del Fondo per la non autosufficienza da poco rifinanziato, che ammonta per il 2014 a soli 340 milioni di euro ripartititi tra le Regioni per sviluppare i servizi integrati socio-assistenziali e sanitari e la domiciliarità.

Nel tempo aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota di quelle che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli disabili. Mentre tra i genitori di bambini e ragazzi Down fino a 15 anni la quota di genitori che pensa a un “dopo di noi” in cui il proprio figlio avrà una vita autonoma o semi-autonoma varia tra il 30% e il 40%, tra i genitori degli adulti la percentuale si riduce al 12%. La quota di genitori di bambini e adolescenti autistici che prospettano una situazione futura di autonomia anche parziale per i loro figli (23%) si riduce ancora più drasticamente (5%) tra le famiglie che hanno un figlio autistico di 21 anni e più.

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ECCO COME È NATA LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Fonte www.vita.it – Matteo Renzi, che l’ha voluta al governo in un ruolo delicatissimo, essere motore e presidio di uno degli obiettivi fondamentali del suo mandato, quello delle Riforme istituzionali e all’attuazione del programma, l’ha soprannominata “la prima della classe”. Di certo lei, Maria Elena Boschi, trentatreenne di Montevarchi alla sua prima legislatura, laureata con lode in giurisprudenza e un master in diritto societario, lo sta ripagando con una tenacia, capacità di lavoro, precisione e competenza che i parlamentari e anche gli italiani stanno imparando a conoscere. E lo fa senza troppe paure o timidezze, si tratti di affrontare i vecchi marpioni delle aule parlamentari, o le scaltrezze nascoste nelle virgole degli emendamenti, o ancora l’assommarsi d’impegni che “pié veloce”, Matteo gli affibbia quasi quotidianamente.

Tra questi impegni anche quello della Legge di Riforma del Terzo settore che Maria Elena Boschi ha appreso lo scorso 12 aprile a Lucca al Festival del Volontariato ascoltando in prima fila Matteo Renzi che annunciava, guardandola e chiamandola in causa, che entro un mese esatto il Governo avrebbe sottoposto alla pubblica discussione una bozza. Con queste parole: «Credo si debba andare verso la ridefinizione di cos’è Terzo settore e di tutte le misure che occorrono al suo sviluppo deve andare in una legge ad hoc. Legge che non può che avere il percorso del disegni di legge delega, a mio avviso. Che tenga dentro anche tutte le questioni normative su cui tante volte abbiamo discusso rispetto al Codice Civile e alla valutazione che noi dobbiamo avere della struttura dell’associazionismo. Che tenga dentro le equiparazioni della detraibilità dei partiti politici con le associazioni di volontariato. Vorrei sfidarvi in questo modo: noi siamo pronti nell’arco di un mese, coi ministri competenti, ad andare in Consiglio dei Ministri e approvare uno schema di disegno di legge delega. Senza però fare tavoli. I tavoli li fanno i mobilieri. Noi facciamo uno scambio di documenti via mail. Organizzatevi dei luoghi di dibattito e di confronto e restituiteci le vostre opinioni in un percorso open. Si fa il testo, noi lo offriamo alla vostra attenzione e lo correggiamo insieme. Poi si va in Parlamento e si cerca di correre tutti insieme per scrivere una pagina nuova».

Non è difficile immaginare che, chiamata di fronte a una platea foltissima di oltre tremila volontari ad un nuovo impegno, a Maria Elena Boschi sia venuto un mezzo colpo. È così?

Beh, quando parlando ai volontari ha annunciato «entro un mese (comprensivo di 25 aprile e 1 maggio ndr) il Governo prende l’impegno di proporre un riordino complessivo del Terzo settore», mi sono detta, ecco un altro impegno tosto e ambizioso visto i tempi abbastanza stretti anche in considerazione dei molti altri fronti aperti dalle Riforme istituzionali a tutto il resto, ma nello stesso tempo ho detto, sarà dura ma ce la faremo. Sono stata chiamata in causa non solo perché presente all’evento, ma anche per la delega che mi è stata affidata sull’attuazione del programma. Nonostante i tempi stretti c’è stato subito un pensiero che mi ha dato coraggio: mi sono ricordata che quello che poteva apparire uno slogan “Primo settore non più Terzo” con le sue ragioni e argomentazioni era presente nel programma di Renzi sin dalla campagna nelle primarie del 2012 e poi, naturalmente anche in quelle dell’anno successivo. Insomma, quello del Terzo settore come risorsa del Paese, e voi di Vita ben lo sapete, è un tema su cui Renzi e tanti di noi hanno la testa da anni. Quindi l’impegno che Renzi ha preso il 12 aprile è di fatto un impegno che noi avevamo preso ben prima e che una volta al Governo abbiamo ribadito e rispettato.

Da quel momento in poi come è proceduto il lavoro?

Dopo Lucca io mi sono limitata ad un’azione di impulso, promuovendo un incontro per dare avvio ai lavori e poi al coordinamento di un gruppo di lavoro in cui sono stati coinvolti innanzitutto il ministero del Lavoro e del Welfare, in particolare Luigi Bobba che è il sottosegretario che ha la delega sul Terzo settore e poi alcuni parlamentari del Pd e della maggioranza che da anni lavorano prima come cittadini e poi come parlamentari sui temi del Terzo settore. Invitati a lavorare si sono messi con entusiasmo e generosità ad approfondire i temi ed è partito uno scambio di documenti e opinioni. Insomma si è trattato di un Gruppo preparato e prontissimo su questo tema di cui hanno fatto parte Edoardo Patriarca, Paolo Beni, Stefano Lepri, Bruno Molea, Andrea Olivero, Federico Gelli, Francesca Bonomo, Davide Faraone. Inoltre nei mesi precedenti, come Partito democratico (in particolare Faraone che in segreteria nazionale si occupa del terzo settore), erano stati organizzati degli incontri con i rappresentanti del Terzo settore e le associazioni per condividere alcuni aspetti delle idee che poi abbiamo messo in campo. C’è stata comunque una indubbia velocità grazie anche a internet, che ci ha permesso un confronto anche a distanza, e al lavoro dei miei collaboratori al Ministero. C’era soprattutto la volontà di arrivare ad un punto nei tempi promessi per dimostrare che per noi il Terzo settore è davvero un tema serio e concreto e una priorità e il modo migliore di dimostrarlo era intanto rispettare la scadenza del 12 maggio.

Ora ci sono 30 giorni per la discussione via mail e nelle forme che le organizzazioni riterranno più opportuno darsi e un indirizzo email a cui far pervenire le osservazioni e le richieste ( terzosettorelavoltabuona@lavoro.gov.it )…

Trattandosi poi di un tema delicato e che coinvolge tantissimi soggetti, oltre 300 mila realtà, circa un milione di addetti, quasi 5 milioni di volontari, abbiamo deciso di lasciare la proposta online per una sua discussione. Una proposta che però individua quelli che per noi sono gli obiettivi di una Riforma quadro avendo specificato delle proposte, forse persino troppo dettagliate e certamente non generiche, cercando anche di restituire l’anima e la filosofia che ispirano le nostre proposte. Chi opera in questo settore, ma anche il cittadino volontario di una associazione magari periferica, può adesso inviarci le sue osservazioni o proposte aggiuntive, o ancora le sue critiche e il suo dissenso. Alla fine di questo mese di consultazione e di dialogo avremo poi 15 giorni per stendere il testo della Riforma e dell’atto normativo che, come annunciato, sarà portato al Consiglio dei ministri il prossimo 27 giugno.

Sarà una legge proposta dal Ministero del lavoro e del Welfare e in che forma, legge delega?

Io continuerò a dare una mano come coordinamento anche per le mie deleghe che prevedono anche i Rapporti con il Parlamento e quindi la necessità di seguirne poi l’iter parlamentare, ma certamente l’iniziativa sarà seguita dal ministero competente che non ha caso si chiama ministero del Lavoro e del Welfare. Noi, come abbiamo scritto, crediamo che la crescita del Terzo settore avrà ricadute molto positive anche sull’occupazione e non a caso viene riconosciuta nelle proposte una certa centralità alla riforma dell’impresa sociale. Per rendere concrete queste proposte certamente si prevede un disegno di legge delega, poi, alla fine del lavoro di questo mese, vedremo se ci sarà qualcosa da anticipare con un decreto.

Vedremo.

 

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SIAMO TUTTI PERSONE, NON PESI

Fonte www.superando.it«La discriminazione pesa, il pregiudizio pesa, l’esclusione pesa»: è stato questo il messaggio diffuso nel marzo scorso in TV e in radio, dall’attrice Lella Costa, in corrispondenza del lancio della campagna denominata Persone, non pesi, voluta dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap*), per sensibilizzare tutti i cittadini sulle discriminazioni vissute ancor oggi da troppe persone con disabilità. Uno spot forte, quello con la voce di Lella Costa, nel quale il messaggio stesso è stato attentamente “pesato”: “il peso schiaccia le persone con disabilità”.

Dal punto di vista degli obiettivi, la raccolti fondi avviata nella settimana della campagna era mirata ad avviare un progetto – chiamato anch’esso Persone, non pesi – rivolto direttamente alle persone con disabilità e alle loro famiglie, per garantir loro informazioni e strumenti di consapevolezza sempre più raffinati e personalizzati, contribuendo a garantirne i diritti, ad esempio anche attraverso un call centre. Molto spesso, infatti, le famiglie non conoscono a fondo le normative in materia di disabilità, sentendosi emarginate e sole, incapaci di poter vivere o far vivere la vita pienamente.

Dall’altro lato, tuttavia, manca spesso il servizio di consulenza specifico nei vari sportelli informativi, costringendo così le persone a “girare a vuoto” da un ufficio all’altro, a far code alla ricerca di qualche indicazione e aiuto. Grazie alla campagna del marzo scorso, dunque, la FISH ha cercato di avviare questo sportello virtuale di incontro, di ascolto e assistenza, offrendo informazioni e servizi per le esigenze specifiche delle persone con disabilità.

Al centro dei vari messaggi lanciati, come detto, vi è stato lo spot con la voce di Lella Costa. Ma non solo, vi erano anche, infatti, alcune particolari realizzazioni fotografiche che hanno trovato ampia diffusione e apprezzamento.

Alla prima di esse, ambientata in un ufficio, dà il volto Simona, donna paraplegica dal 2005 in seguito a una caduta in moto, sposata e mamma di due splendidi bambini. «Dal 2008 – dichiara presentandosi – lavoro in qualità di collaboratrice amministrativa presso il Comune di Milano. Sono convinta che qualsiasi iniziativa di qualunque natura a favore dei cittadini con disabilità sia utile, anzi indispensabile.

Per noi, infatti, tutto è più difficile e complicato, anche solo andare a comprare un pacchetto di sigarette, figuriamoci districarci nella burocrazia! E anche a livello umano trovare un posto nella società non è certo semplice: infatti, mancando in generale il rispetto per il prossimo, come possiamo aspettarci rispetto per le persone con disabilità? Personalmente sogno un mondo in cui ci si rispetti veramente, dove ci sia meno egoismo e spero almeno di riuscire a trasmettere questi valori ai miei figli».

«Sotto questa luce – conclude Simona – è ovvio che presto tutta me stessa più che volentieri a iniziative come quella promossa dalla FISH. Anzi, sono cose che fanno bene al mio ego e al mio spirito!».

*Cui Anffas Onlus aderisce

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