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Dal sito www.disabili.com Nei giorni scorsi il MIUR ha emanato una nota con la finalità di chiarire i dubbi sorti a seguito delle disposizioni dei mesi scorsi riguardanti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali
Tutto è iniziato alla fine dell’anno scorso, quando il MIUR, a fine dicembre, ha emanato una Direttiva rivoluzionaria, centrata soprattutto sullo svantaggio scolastico non riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. In essa è stato introdotto il macro-contenitore dei Bisogni educativi Speciali (BES), nel quale sono stati fatti rientrare non solo gli alunni con disabilità certificata e quelli con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), già tutelati da specifiche norme di riferimento, ma anche tutti quegli alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per difficoltà non riconducibili a certificazioni diagnostiche. Il provvedimento ha provocato un ampio dibattito, sia per gli aspetti innovativi e in parte inediti che ha introdotto, sia per alcuni interrogativi che ha suscitato, rispetto ai quali si è auspicata una ulteriore specificazione ministeriale.
Qualche mese più tardi, perciò, il MIUR ha pubblicato la Circolare n. 8, contenente le indicazioni operative riferite alla precedente Direttiva. Anche in questo caso, però, il dibattito è stato molto acceso e, in generale, ha visto il personale scolastico radicalizzare posizioni di consenso o, al contrario, di sospetto. Se da una parte, infatti, si è ritenuto quanto previsto dalla circolare come un nuovo strumento per gestire situazioni di difficoltà non certificate o diagnosticate, dall’altra, invece, è emerso soprattutto il timore che il provvedimento preceda l’intenzione di ulteriori tagli di personale, in questo caso di sostegno.
A fine giugno, poi, è stata emanata una nota, che ha consentito tempi più lunghi per la predisposizione del Piano Annuale per l’Inclusività (PAI) previsto dalla precedente circolare, affidando agli Uffici Scolastici Regionali il compito di individuarne tempi e modi. Nel dibattito che ne è seguito è emersa spesso la considerazione che in tale nota il MIUR abbia in qualche modo ridimensionato la portata degli interventi previsti dai documenti precedenti. Sono rimaste inoltre diverse perplessità sulle prassi e sugli aspetti operativi da mettere in pratica.
Nei giorni scorsi, pertanto, è stata emanata una nuova nota, la n. 2563 del 22 novembre, in cui il Miur richiama in primo luogo la distinzione tra ordinarie difficoltà di apprendimento, gravi difficoltà e disturbi di apprendimento. Se le ordinarie difficoltà possono essere osservate per periodi temporanei in ciascun alunno, quelle più gravi hanno carattere più stabile e per le concause che le determinano presentano un maggior grado di complessità. Il disturbo d’apprendimento, invece, ha carattere permanente e base neurobiologica. L’attenzione è rivolta soprattutto ai casi di difficoltà non meglio specificate: soltanto qualora nel Consiglio di classe o nel team docenti si concordi sull’efficacia di strumenti specifici, ciò potrà comportare l’adozione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP). La nota chiarisce che non è compito della scuola certificare gli alunni, ma individuare quelli per i quali è opportuna l’adozione di particolari strategie didattiche. Il Miur specifica, inoltre, che gli alunni con cittadinanza non italiana necessitano anzitutto di interventi didattici relativi all’apprendimento della lingua e solo in via eccezionale di un Piano Pidattico Personalizzato (PDP). Il PAI, ancora, deve essere inteso come un momento di riflessione di tutta la comunità educante, quale integrazione del Piano dell’offerta formativa, di cui è parte sostanziale. Ulteriori indicazioni vengono poi fornite in merito al Gruppo di Lavoro per l’Inclusività (GLI).
Non mancano, però, anche in questo caso, le perplessità, dalle sottocategorie indicate dalla Direttiva, che hanno fatto posto a distinzioni ben più generiche, alla nota che accompagna il documento, che fornisce una distinzione inedita e non poco problematica tra certificazione e diagnosi. Attendiamo perciò con fiducia gli ulteriori sviluppi; la nota ci rassicura in merito, chiarendo che ulteriori approfondimenti saranno comunicati con altre note.
Dal sito www.disabili.com I Lea sono i Livelli Essenziali di Assistenza, ovvero tutta quella serie di servizi e prestazioni che il cittadino ha diritto di vedersi erogare dal Servizio Sanitario Nazionale gratuitamente o a fronte del pagamento di un ticket. Si tratta quindi di quegli importantissimi servizi ai quali abbiamo diritto, in ambito sanitario, pagando le tasse, e vanno dall’assistenza di base alla erogazione di servizi domiciliari per determinate persone. Va ricordato, comunque, che i Lea sono “la base” dalla quale partire, e che poi ciascuna regione può aumentarne il ventaglio di offerta ai propri cittadini.
I servizi che rientrano nei Lea sono servizi di: assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, assistenza distrettuale (in questi rientrano le attività e i servizi sanitari e sociosanitari diffusi capillarmente sul territorio, dalla medicina di base all’assistenza farmaceutica, dalla specialistica e diagnostica ambulatoriale alla fornitura di protesi ai disabili, dai servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi ai servizi territoriali consultoriali -consultori familiari, SERT, servizi per la salute mentale, servizi di riabilitazione per i disabili, ecc. -, alle strutture semiresidenziali e residenziali – residenze per gli anziani e i disabili, centri diurni, case famiglia e comunità terapeutiche), e infine quelli di assistenza ospedaliera, sia in ricovero, che day hospital che riabilitazione ecc.
Per valutare in che modo si comportano le singole regioni a livello di qualità, efficienza e appropriatezza dei servizi, il Ministero della Salute si occupa, di anno in anno, di monitorare l’erogazione di questi servizi essenziali alla popolazione, con lo scopo di mappare la situazione per intervenire in caso di eventuali criticità, ma anche individuare punti di forza per l’erogazione della quota premiale del 3% del fondo sanitario, nel caso in cui la verifica dia esito positivo, e le regioni risultino quindi adempienti. La certificazione degli adempimenti (Monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza) avviene mediante la documentazione richiesta appositamente alle regioni attraverso un questionario ed un’analisi della stessa, integrata con informazioni già disponibili presso il Ministero della Salute. Ne esce quindi una Griglia composta di 21 indicatori, nella quale vengono raccolti tutti i dati che permettono una valutazione generale dei livelli di assistenza in Italia.
Il Ministero ha reso noto nei giorni scorsi il risultati del monitoraggio delle regioni italiane per l’anno 2011, raccolti nel documento “Adempimento mantenimento dell’erogazione dei LEA – anno 2011“, a cura dell’Ufficio VI della Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute, e che quest’anno per la prima volta riporta anche i dati delle Regioni Valle D’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e delle Province Autonome di Trento e Bolzano per il triennio 2009-2011.
Dal monitoraggio emerge che sono nove le regioni italiane promosse: Liguria, Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Veneto, Piemonte, Lombardia e Basilicata. Si tratta, quindi, di regioni adempienti, nelle quali cioè i livelli essenziali sono garantiti, e i cui costi rientrano nei budget, senza sforare. Altre quattro regioni si posizionano sul semaforo “giallo”: si tratta di Abruzzo, Molise, Sicilia e Lazio le quali, assolvendo ad alcuni impegni possono diventare adempienti. Fanalino di coda, con rinvio ai Piano di rientro, per Calabria, Puglia e Campania, che dovranno sistemare i loro conti.
A livello concreto, si legge nel documento, rispetto al 2010 si rileva una diminuzione dei ricoveri ospedalieri e un aumento dell’appropriatezza dell’assistenza ospedaliera erogata nelle Regioni. Come spesso accade, tra regione e regione si registrano importanti variabilità del mantenimento nell’erogazione delle prestazioni, ma non solo: le variazioni si registrano anche all’interno della medesima regione. Sempre rispetto al 2010, un miglioramento per la Liguria che avendo assolto gli impegni previsti risulta adempiente e con Lazio, Sicilia, e Molise che passano da una situazione critica ad un livello in cui, assolvendo alcuni impegni possono diventare adempienti. Ciò evidenzia l’effetto positivo del programma di supporto alle Regioni attraverso i Piani di rientro in 3 regioni su 6.
A questa pagina del Ministero della Salute, la mappa interattiva per vedere i risultati del monitoraggio regione per regione
Per approfondire:
Il documento del Ministero
Monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza
Dal sito www.superabile.it ROMA – In arrivo per gli enti locali i fondi per la programmazione delle politiche sociali. Il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in Conferenza unificata e in Conferenza stato-regioni ha infatti definito la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche sociali, del Fondo per la non autosufficienza e del Fondo per i minori non accompagnati. In tema di lavoro sono state inoltre definite le linee guida della piattaforma unitaria Garanzia Giovani per il tirocinio professionalizzante. “Quattro intese particolarmente importanti”, le ha definite il ministro del Lavoro Giovannini. “E’ un grande risultato, perché si tratta dei principali fondi per le politiche sociali”, aggiunge la vceministra Guerra – che non solo sono stati rifinanziati e incrementati con la legge di stabilità di 600 milioni, ma che in accordo con le regioni sono stati ripartiti celermente, cosa mai accaduta in passato. E’ stato evitato anche che questi fondi venissero utilizzati per l’attuazione di provvedimenti di spending review della finanza regionale, cosa che lo scorso anno ne aveva bloccato l’erogazione fino ad autunno”.
Nello specifico si tratta di 280 milioni per il Fondo nazionale per le politiche sociali e di 340 milioni per il Fondo sulla non autosufficienza, di cui in accordo con le regioni sono stati decisi i criteri di ripartizione programmata per aree di intervento. Per il Fondo politiche sociali “la rete intergrata di interventi e servizi sociali – spiega ancora Guerra – è articolata in 5 macrolivelli: presa in carico, domiciliarità, prima infanzia, servizi residenziali e sostegno al reddito. Questi livelli saranno poi articolati per tre aree di intervento: le responsabilità familiari, disabilità e non autosufficienza, povertà ed esclusione sociale”. Il ministero attiverà anche un monitoraggio sulle regioni, la programmazione delle risorse sulla base di questa articolazione è infatti la condizione per poter ottenere il finanziamento. Per il fondo sulla non autosufficienza si punta invece sulla domiciliarità, con il rafforzamento degli interventi che favoriscono la permanenza a casa della persona non autosufficiente e che realizzano una maggiore integrazione fra gli interventi sociali e sanitari. Per quanto riguarda i minori non accompagnati da oggi saranno disponibili per gli enti locali i 20 milioni già stanziati che “si aggiungono ai 5 milioni già distribuiti nel corso dell’anno”, aggiunge la viceministra. “Siamo così in grado di garantire un co-finanziamento statale a parziale copertura dei costi di accoglienza che gravano sui comuni, per 20 euro pro die pro capite per tutti i minori accolti dai comuni dal primo gennaio alla fine di settembre 2013. Con la legge di stabilità sono stati poi stanziati ulteriori 40 milioni che prossimamente saranno ripartiti e permetteranno la copertura di tutto il 2014. (ec)
Da www.superabile.it ROMA – Dal venerdì 21 febbraio gli alunni disabili potrebbero non trovare nessuno, a scuola, che si occupi della loro igiene e pulizia personale. Un problema serio, per loro, per le loro famiglie e per quell’integrazione scolastica che da tanti anni e con tanti sforzi si cerca ogni giorno di realizzare e rafforzare. Il personale Ata, sostenuto da Fish e Flc-Cgil, darà il via, quel giorno, a una mobilitazione, per protestare contro la revoca dell’indennità economica riconosciuta, finora, a chi fosse formalmente incaricato di provvedere a questo compito. A spiegare la questione è Salvatore Nocera, vicepresidente della Fish.
“Il contratto collettivo del 2003 prevede che la pulizia e l’igiene personale degli alunni disabili spettino ai bidelli, ma solo quando siano espressamente incaricati dal preside, previo corso di 40 ore e a fronte di un’indennità di circa 1.000 euro l’anno. Ora, poiché tale indennità entra nella base pensionabile, il ministero l’ha interpretata come un aumento di stipendio e come tale, in base alla legge del 2011 che vietava tutti gli aumenti agli statali, ha ritenuto di eliminarla”. Cosa significa questo e che conseguenze avrà? “Innanzitutto, il ministero addirittura chiede che siano restituite le indennità percepite dal 2011 a oggi, ma questo è fuori discussione e, se pure lo Stato facesse causa ai bidelli che non restituiscano l’importo, la perderebbe. Ciò che preoccupa di più è però ciò che accadrà se il governo non farà un passo indietro: a partire da fine febbraio, i bidelli incaricati non riceveranno più quella indennità. E’ questo il motivo per cui, a partire dal 21, inizieranno la mobilitazione, rifiutandosi di provvedere a questa mansione. Il ministero dovrà decidere: o reintrodurrà l’indennità, o dovrà affidare la mansione a un’altra figura, spendendo sicuramente di più”.
Questo significa che i bambini resteranno a scuola sporchi, oppure che dovranno tornare a casa? “Noi confidiamo che il prossimo ministro dell’Economia riprenda in considerazione la norma e reintroduca l’indennità – spiega Nocera – E ci aspettiamo che i lavoratori, di fronte all’avvio di trattative tra il nuovo ministro e i sindacati, non facciano partire fin da subito la protesta”. D’altra parte, va detto che la gestione dell’igiene personale dei bambini disabile è sempre stata problematica, anche quando era prevista l’indennità: “Sappiamo di bidelli che, nonostante l’incarico formale, si rifiutano di provvedere a questa mansione. Questa sarà la prossima richiesta al ministero: fare in modo che il dirigente scolastico intervenga, anche con sanzioni disciplinari, nei confronti di chi non svolge il proprio dovere”. Ci sono poi casi in cui sono i comuni, con i loro assistenti sanitari, a risolvere il problema: “risolvere, per modi di dire – commenta Nocera – visto che inviano assistenti sanitari al posto degli Aec, con notevole risparmio economico!”.
Infine, ci sono le differenze tra una scuola e l’altra: ci sono insegnanti di sostegno che, in mancanza di alternative, provvedono loro stessi all’igiene degli alunni, così come ci sono scuole in cui i bambini disabili vengono rimandati a casa, nel momento in cui si sporcano. La frammentarietà e la problematicità della situazione emergono dalle testimonianze di alcune mamme, iscritte al gruppo Facebook “Cronache di integrazione scolastica: genitori, fiato alle trombe!“, fondato da Marina Cometto: “Ecco ci risiamo – racconta Lucia – ‘Non è compito mio!’: questo è quello che mi ha detto oggi la maestra di sostegno di mio figlio, al 2° anno di materna… Oggi infatti mancava la bidella che di solito si occupa di lui quando si fa pipì addosso. E purtroppo oggi è accaduto… Dopo un po’ mi ha chiamata la maestra: ‘Sai, la bidella manca e non è compito mio pulirlo e cambiarlo!’ Ma io dico, potrebbe anche essere così …. Ma, a livello umano, voi lascereste mai un bimbo di 4 anni sporco, in attesa che qualcuno si decida a cambiarlo? Per poi decidere di chiamare la mamma visto che nessuno si è deciso?”. Risponde Marina, che suggerisce “una bella segnalazione alla dirigente, con l’avviso che la prossima volta denuncerai la scuola per interruzione di pubblico servizio. Non devi chiedere umanità, non sempre c’è e non è un obbligo: la professionalità e responsabilità, invece sì che lo sono!“. Diversa l’esperienza di Tiziana, che riferisce: “Mio figlio va in una comunale e, se necessario, l’educatrice stessa lo porta al bagno e lo cambia”. Esperienze diverse, un unico problema che, spiega Nocera, “solo apparentemente è marginale, ma come un granellino di sabbia, è capace di bloccare un intero ingranaggio: quello dell’integrazione“. (cl)
Con queste parole e presentando una serie di richieste di modifica al Decreto che ha fissato il nuovo ISEE – strumento necessario per accedere alle prestazioni sociali agevolate – l’Associazione ANFFAS si dichiara anche pronta alla mobilitazione, per tutelare sino in fondo i diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie
«Il nuovo ISEE dovrebbe essere uno strumento per favorire l’equità tra i cittadini, ma come può essere equo uno strumento che considera come redditi indennità e provvidenze che già non riescono a colmare il divario esistente – anche in termini economici e di rischio povertà – tra i cittadini con e senza disabilità, e che rischia di limitare l’accesso a servizi essenziali e peggiorare le condizioni di vita delle persone con disabilità?». Sono parole pronunciate da Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), in una nota successiva all’entrata in vigore, l’8 febbraio scorso, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) 159/13, che ha fissato il nuovo ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), strumento necessario per accedere a prestazioni sociali agevolate, per la cui messa a regime, per altro, sono ancora necessari alcuni passaggi regolamentari di portata non trascurabile, come abbiamo segnalato nei giorni scorsi. In particolare, l’iniziativa dell’ANFFAS – che dà seguito a un’azione esercitata ormai da tempo da tale Associazione su questo importante tema – intende «portare all’attenzione della collettività tutta e degli interlocutori politico-istituzionali una serie di richieste ben precise, fondate in primo luogo sul rispetto della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, documento che è Legge in Italia dal 2009 [Legge 18/09, N.d.R.]». «Sono richieste dettagliate – sottolinea Speziale – e soprattutto fondamentali per la vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie, una vita che merita pari diritti e opportunità e non continue vessazioni. Ed è proprio per l’importanza che tali punti rivestono che siamo pronti a una grande mobilitazione se quanto esposto non sarà accolto e accettato da chi di competenza».
Ricordando infine che sulla questione del nuovo ISEE è stato avviata in queste settimane anche la procedura per un ricorso collettivo nazionale, proponiamo qui di seguito l’elenco delle richieste formulate dall’ANFFAS:
– Non computare nella condizione economica del richiedente e della sua famiglia, utile per la determinazione dell’ISEE, gli emolumenti economici ricevuti da uno qualsiasi dei componenti il nucleo familiare per invalidità e/o condizione di disabilità o non autosufficienza, abrogando quindi, sul punto, l’articolo 5 del Decreto Legge 201/11 (il cosiddetto “Decreto Salva Italia”). È infatti assurdo e infondato pensare che tali emolumenti siano una fonte di arricchimento per la famiglia. – Eliminare dalla definizione di «prestazioni sociali agevolate», di cui all’articolo 1 del DPCM 159/13, la previsione che esse siano «limitate a coloro in possesso di particolari requisiti di natura economica». Non si può infatti limitare in base alla sola condizione economica l’accesso a servizi essenziali per la qualità di vita e il rispetto dei diritti umani dei cittadini (come un Centro Diurno può ad esempio essere, per una persona con disabilità). – Eliminare nell’articolo 6 del DPCM 159/13 il rinvio al successivo articolo 7, che prevede il calcolo dell’ISEE familiare – salvo straordinarie situazioni – per i minori con disabilità non autosufficienti fruitori di prestazioni socio-sanitarie, evitando così una possibile disparità tra maggiorenni con disabilità (frequentanti, ad esempio, Centri Diurni e che per usufruire di tale servizio potrebbero dichiarare solo l’ISEE derivante dalla somma delle condizioni economiche proprie e dell’eventuale coniuge e/o figli e non dei genitori o dei fratelli) e minori con disabilità fruitori dello stesso servizio, per i quali si dovrebbe dichiarare una condizione economica pari a quella dell’ISEE familiare. – Eliminare dall’articolo 2 del DPCM 159/13 le previsioni – del tutto contrastanti con il dichiarato valore del nuovo calcolo dell’ISEE quale livello essenziale delle prestazioni -, secondo le quali rimangono comunque «salve le competenze regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie» e la possibilità per gli Enti Locali di selezionare, con ulteriori criteri rispetto a quello dell’ISEE, il novero dei beneficiari per l’accesso alle suddette prestazioni anche «tenendo conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificatamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari». L’ISEE, infatti, è un livello essenziale delle prestazioni e di conseguenza non può essere derogato dalla legislazione regionale le cui competenze in materia non possono discostarsi dal livello già individuato, se non per creare condizioni migliorative. Inoltre, gli enti erogatori non possono usare dei criteri diversi e ulteriori rispetto a quello dell’ISEE, per regolamentare l’accesso alle prestazioni sociali agevolate. – Introdurre direttamente nel nuovo DPCM la previsione di una o più soglie (anche calcolate in termini percentuali rispetto all’ISEE finale), al di sotto delle quali le prestazioni sociale agevolate siano sempre erogate e a titolo gratuito. – Eliminare dall’«Elenco delle prestazioni sociale agevolate condizionate all’ISEE», allegato al Decreto Ministeriale dell’8 marzo 2013 recante Definizione delle modalità di rafforzamento del sistema dei controlli del’ISEE, le prestazioni inerenti: il servizio socio-educativo scolastico e il supporto all’inserimento lavorativo. È infatti inammissibile che si possano condizionare i servizi a supporto della frequenza scolastica degli alunni con disabilità o stranieri alle condizioni economiche della famiglia dell’alunno. L’istruzione è un diritto costituzionale di tutti e non può essere negata o limitata. Ugualmente, non possono essere determinati dalle condizioni economiche i supporti a sostegno dell’inserimento lavorativo. – Prevedere un meccanismo di indicizzazione delle spese e franchigie che, come componenti negative, concorrono, ai sensi dell’articolo 4 del DPCM 159/13, a determinare, abbassandola, la situazione reddituale finale del richiedente e sua famiglia. – Re-Inserire nella scala di equivalenza di cui all’Allegato 1 del DPCM 159/13 (con la quale si individua il dividendo finale rispetto alla somma delle situazioni economiche, reddituali e patrimoniali, dei singoli componenti il nucleo familiare) la maggiorazione del dividendo pari a 0,50% per ogni componente con invalidità superiore al 66%. (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: comunicazione@anffas.net.
Dal sito www.superando.it Infatti, i dati presentati dall’IID (Istituto Italiano della Donazione), riguardanti la più recente indagine sull’andamento delle raccolte fondi nel Terzo Settore, parlano di un trend positivo, portando una ventata di ossigeno e di speranza a tutto il Terzo Settore e facendo auspicare a Edoardo Patriarca, presidente dello stesso IID, che «il 2014 possa essere davvero l’anno del dono»
Edoardo Patriarca, presidente dell’IID (Istituto Italiano della Donazione)
«Mi piace pensare che, visti i dati finalmente positivi raccolti, il 2014 possa essere davvero l’anno del dono: questi risultati, infatti, ci danno nuova energia per portare avanti il nostro progetto di istituire il Giorno del Dono a livello nazionale, con un apposito articolo di legge: un segno forte non per istituzionalizzare la generosità spontanea, ma per valorizzare e coltivare la solidarietà degli italiani, che è uno dei pilastri fondamentali da cui ripartire per uscire dalla crisi in maniera diversa da come ci siamo entrati». Così Edoardo Patriarca, presidente dell’IID (Istituto Italiano della Donazione), commenta gli esiti dell’indagine L’andamento delle raccolte fondi nel Terzo Settore: stime 2013 e proiezioni 2014 – 11a rilevazione semestrale, presentata a Roma e svolta dallo stesso IID, in collaborazione con l’ASSIF (Associazione Italiana Fundraiser) e con il patrocinio del Centro Nazionale per il Volontariato, del Forum Nazionale del Terzo Settore, di CSVnet (Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato) e della Fondazione Sodalitas (media partner Le buone notizie del «Corriere della Sera.it» e TG1 – Fa’ la cosa giusta).
In sostanza, i dati raccolti su un campione di oltre duecento organizzazioni non profit – statisticamente non rappresentativo, ma significativo dell’intero Terzo Settore italiano – mostrano un trend positivo, portando una ventata di ossigeno e di speranza a tutto il Terzo Settore, confermata del resto anche da una recente indagine IPR Marketing per «Il Sole 24 Ore». In particolare, guardando al periodo natalizio 2013, ben il 45% delle ONP hanno dichiarato di avere migliorato le proprie raccolte fondi da privati (cittadini e imprese), contro un 27% che invece ha segnalato un peggioramento rispetto all’anno precedente. Decisamente ottimistiche, poi, le previsioni per questo 2014: quasi il 60% delle organizzazioni, infatti, prevede di migliorare, a fronte di solo un 10% che prevede di peggiorare.
Per quanto poi riguarda gli strumenti di raccolta fondi più usati, continuano a primeggiare quelli legati agli eventi e al cosiddetto direct mailing cartaceo (spedizione di materiale per posta), con uno stacco ancora molto netto tra il contatto personale e fisico (46%), rispetto alle modalità che sottintendono un contatto virtuale o attraverso new media (16%). Ulteriore dato interessante, infine, è quello concernente l’utilizzo dei canali social: oltre l’80% del campione interpellato ha dichiarato di utilizzare i social media, ma solo il 2% punta su di essi quale strumenti di raccolta fondi, a fronte di un 94% che li alimenta con l’obiettivo di prevalente di comunicare. (S.B.)
È disponibile un ampio documento con l’esposizione di tutti i vari dati raccolti dall’IID per la sua undicesima indagine sulle raccolte fondi. Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ornella.ponzoni@istitutoitalianodonazione.it.