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AHMED E GLI ALTRI: TRA DIRITTI TEORICI E SOLITUDINE REALE

Superabile.it – Ahmed è la prova che tutto può succedere: per lui la disabilità, drammaticamente piombata nella sua vita quando aveva solo dieci anni, ha segnato l’inizio di una nuova vita. Una vita ricca e bella, a giudicare dal sorriso con cui si presenta, all’ingresso della Fondazione Santa Lucia di Roma. Marocchino, 34 anni, in Italia dal 2006, Ahmed Raourahi è una punta di diamante della squadra di basket in carrozzina più temuta della serie A1: un bottino di 21 scudetti, 3 Coppe campioni, 12 Coppe Italia. Dalla sua storia prende le mosse l’inchiesta pubblicata sul numero di giugno della rivista SuperAbile Inail.

La palestra è tirata a lucido. Ahmed si muove come in casa propria, governando la sua sedia a ruote con l’unico braccio che gli è rimasto. L’altro gliel’ha portato via un treno: lo stesso che lo ha lasciato senza gambe, ripartendo dalla stazione proprio nel momento in cui lui cadeva sui binari. Colpa di un borseggiatore a bordo di una carrozza molto piena, dove da bambino era salito per accompagnare il padre, commerciante, a vendere la merce al mercato. Però quel giorno ci era andato senza il suo permesso. E il padre seppe solo più tardi cosa fosse capitato al figlio: “Mi risvegliai all’ospedale, circondato dai medici. Mi pareva di essere in un sogno”. Ma, come in un incubo, aveva perso tre arti su quattro. Era il 1990, a un centinaio di chilometri da Tangeri. Ospedale, riabilitazione, poi il ricovero – voluto dal padre – in una comunità per persone disabili. E lì, quasi per caso, così per gioco, l’incontro con il basket.

Ma il gioco si fa serio, Ahmed si rivela talentuoso: nel 2003 è proprio il basket a portarlo in Italia, reclutato dalla squadra di Treviso. E Ahmed diventa un immigrato. Immigrato disabile. Oggi è sposato, vive a Treviso ma durante il campionato si trasferisce a Roma, perché ormai gioca in serie A, nella squadra della Fondazione Santa Lucia. “Mi trovo bene e l’essere straniero non mi ha creato nessun problema. In Italia ho trovato subito una grande gentilezza”. Forse perché gli mancano un braccio e due gambe: lo straniero fa paura e suscita diffidenza, ma non certo in quelle condizioni. “Sì, forse è per questo”, ammette Ahmed ridendo.

Tuttavia Ahmed è ben consapevole di essere un’eccezione, non la regola: gli immigrati con disabilità, in Italia, non stanno tutti bene come lui. Soprattutto, non sono conosciuti e supportati come lo è lui, arrivato in Italia con un permesso di soggiorno per sport, poi rinnovato per ricongiungimento familiare, dopo il matrimonio con un’operatrice socio-sanitaria conosciuta a Treviso, nella comunità in cui viveva. Ora cittadino italiano, titolare di pensione d’invalidità e con la casa fornita dalla squadra, che gli assicura anche “qualche rimborso”. La pensione, però, i primi due anni non l’ha avuta, perché “con il permesso di soggiorno per sport non mi spettava», racconta. Eppure la sua disabilità non può sfuggire a nessuno. E per questo «anche le visite di accertamento con la commissione dell’Inps sono state facili”, racconta.

Ahmed vive di sport: la mattina si allena da solo, il pomeriggio con la squadra. Poi le partite, il campionato, le trasferte. È autonomo in tutto: guida, fa la spesa, cucina, passa da una carrozzina all’altra in un batter d’occhio. Si fascia il moncherino con i calzini, nello spogliatoio: “I miei compagni mi prendono in giro quando tiro fuori i calzini, io che non ho nemmeno una gamba. Ma poi, quando se li dimenticano, vengono a chiedermeli in prestito”. Ad Ahmed la disabilità ha aperto la carriera sportiva e le porte dell’Italia. Lui ci ha messo, naturalmente, la capacità e la determinazione di saperla prendere nel verso giusto. “Le protesi alle gambe non le voglio, ci ho pensato: mi farebbero sentire davvero disabile, sarei lento nei movimenti, mentre con la carrozzina ormai sono decisamente agile”.

Stranieri con disabilità: a caccia di numeri. Come Ahmed, però, ce ne sono pochi. Mentre tanti sono gli stranieri con disabilità che vivono in Italia. Quanti con esattezza non si sa: lo chiediamo all’Istat, ma la risposta è franca: “Dati su stranieri disabili non sono pubblicati”. Qualche informazione ci arriva invece dal ministero dell’Istruzione (Miur). È infatti la scuola il settore in cui gli stranieri con disabilità – bambini, ovviamente – sono maggiormente “contati” e studiati. Le rilevazioni avvengono ogni anno e i dati sono quindi continuamente aggiornati. Così il ministero fornisce le ultime cifre sugli alunni stranieri disabili nelle nostre scuole, riportati nell’indagine, appena pubblicata, Gli alunni con cittadinanza non italiana, condotta dalla Fondazione Ismu. Nell’anno scolastico 2014/2015 gli alunni stranieri con disabilità certificata erano in totale 28.117, per lo più maschi (meno di 9mila le femmine). Rispetto all’anno precedente, si è registrato un aumento di quasi 1.500 unità. Sono tanti, quindi, sempre di più, gli studenti stranieri con disabilità, che rappresentano ben il 12% del totale degli alunni disabili certificati. E ci sono regioni, come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio, in cui uno studente disabile su cinque è di origine straniera. Questi numeri vanno però letti con la massima attenzione: lo raccomanda lo stesso ministero, nell’esaminare le possibili ragioni di questa crescita. Certamente è il segnale di una crescente integrazione sociale e della maggiore disponibilità degli studenti stranieri e delle loro famiglie a continuare gli studi: tanto che, seppure sia la scuola primaria a registrare i numeri più alti (11.864 alunni stranieri con disabilità, tra scuole statali e non statali), l’aumento più consistente si registra nella secondaria di secondo grado, dove si passa, in un anno, da 3.975 a 4.546 presenze. Il Miur però sospetta che l’aumento rilevato dall’indagine sia dovuto anche a un “eccesso di certificazione”, per cui vengano classificati come disabili alunni che in realtà non lo sono e i cui problemi derivano solo dall’essere, appunto, stranieri. La presunta disabilità servirebbe insomma come “viatico”, per ottenere un’attenzione in più di cui certamente questi bambini hanno bisogno, ma che diversamente farebbero fatica a ottenere. Un’ipotesi che il ministero si ripromette di verificare e approfondire. E su cui, quindi, al momento non possiamo dire di più.

Nella ricerca di cifre, ci viene poi in aiuto anche la Relazione al Parlamento sulla legge 68/99 (quella relativa al 2012-2013 è la più recente), con i dati sul collocamento mirato: si parla di 13.369 “cittadini extracomunitari” iscritti agli elenchi del collocamento obbligatorio. Certamente una minoranza, anche perché l’accesso a questo sistema di collocamento è riservato a chi ha un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno. Esclusi quindi i lavoratori stagionali, oltre naturalmente agli irregolari. Un altro indizio arriva dall’Inps: nel 2014, quasi 18mila cittadini non comunitari erano beneficiari di pensioni d’invalidità civile. Ma sono titolari di indennità. Un beneficio a cui non tutti possono accedere. Sono pochi dati, orientativi e tutt’altro che esaurienti: ci permettono però di dire che le persone con disabilità immigrate nel nostro Paese esistono e non sono poche.

Le tutele tra teoria e realtà. Quali diritti e quali tutele la nostra legislazione offre a questi abitanti? Ci viene in soccorso la Fish, con la ricerca Migranti con disabilità. Conoscere il fenomeno per tutelare i diritti, a cura di Daniela Bucci, Carlo Giacobini, Giovanni Merlo e Matteo Schianchi. L’assistenza sanitaria, riabilitativa e protesica spetta a tutti i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia (inclusi coloro che sono in via di regolarizzazione), che hanno contemporaneamente l’obbligo di iscrizione al Servizio sanitario nazionale e il diritto alla “parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani”. La tutela della salute spetta anche agli immigrati irregolari, a cui “sono assicurate, nei presidi pubblici e accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio”.

In secondo luogo, il sostegno scolastico e il supporto educativo è un diritto che spetta a tutti gli alunni con disabilità, italiani o stranieri che siano. Esiste però una criticità: tutte le procedure necessarie per avere la certificazione indispensabile per accedere a questo servizio vanno concluse entro il 31 luglio dell’anno precedente la frequenza degli alunni interessati. Questa limitazione – osserva la ricerca – “comporta una grave difficoltà per le persone con disabilità che entrano nel ciclo di istruzione ad anno scolastico già iniziato”. Infine, le prestazioni e i servizi sociali spettano ai cittadini stranieri, a condizione però che siano titolari di un permesso di soggiorno valido, di durata non inferiore a un anno; lo stesso vale per l’indennità di accompagnamento, la pensione di inabilità, l’assegno mensile di invalidità e l’indennità mensile di frequenza. Nessuna limitazione è prevista invece per i minori stranieri, che hanno diritto ad accedere ad accertamenti, prestazioni e servizi sanitari anche in assenza di iscrizione al Ssn.

Purtroppo, da una parte c’è il diritto, dall’altra la realtà: se le tutele esistono, averle è un’altra storia. Accedere a servizi, prestazioni e provvidenze è spesso complicato per gli italiani con disabilità, e l’impresa diventa ancor più ardua per gli stranieri. Burocrazia, ma anche isolamento sono gli ostacoli con cui si scontrano coloro che, come Ahmed, sono immigrati disabili. Ma, diversamente da lui, non hanno avuto la strada spianata da un talento sportivo d’eccellenza. Vincenzo Falabella, presidente della Fish, evidenzia: “La prima criticità emersa dalle nostre due ricerche è quella relativa ai dati. A oggi non abbiamo contezza di quante siano le persone con disabilità di origine straniera, migranti o di seconda generazione, presenti nel nostro Paese. In Italia è disponibile una solida letteratura scientifica tanto sul tema della disabilità quanto su quello delle migrazioni, ma abbiamo riscontrato una sostanziale carenza di studi e ricerche quando le due situazioni si intersecano”.

Il secondo problema, che discende direttamente dal primo, è che “questo approccio a compartimenti stagni sembra riprodursi anche nella costruzione delle politiche e dei servizi, che stentano a garantire una presa in carico complessiva della persona con disabilità di origine straniera, con le molteplici istanze di cui è contemporaneamente portatrice. Il risultato è che le persone disabili migranti o di seconda generazione si trovano in balìa di una frammentazione dei punti di riferimento e di una scarsa conoscenza sul fenomeno: ciò mette a rischio il rispetto e l’esercizio dei loro diritti civili e sociali”.

Accanto alla mancanza di conoscenza del fenomeno e alla conseguente inadeguatezza dei servizi, c’è il terzo problema, forse il più grave: quello dell’isolamento, evidenziato ancora da Falabella. “Le persone straniere con disabilità sembrano, in genere, gravitare al di fuori dei classici riferimenti sociali che caratterizzano sia le persone con disabilità sia quelle straniere, ossia le proprie comunità di riferimento. Contemporaneamente i rispettivi mondi associativi sembrano essere impermeabili a questa doppia condizione: le associazioni del mondo della disabilità non si occupano di persone straniere (con disabilità), le associazioni del mondo delle migrazioni non si occupano di persone con disabilità (straniere)”.

Come rompere, allora, questa condizione di isolamento, in cui è alto il rischio che anche i diritti riconosciuti non vengano di fatto goduti? E che pure le minime tutele previste dalla legge non raggiungano, effettivamente, chi non sa reclamarle? “Bisogna operare in due direzioni – propone il presidente della Fish -: approfondire la conoscenza del fenomeno, a partire dall’identificazione e sistematizzazione dei dati di natura amministrativa, e favorire un’inedita e fattiva collaborazione tra chi si occupa di disabilità e chi di migrazioni, tanto a livello istituzionale quanto a livello associativo. Con lo scopo, comune e condiviso, di contrastare l’isolamento e l’emarginazione, per arrivare alle persone, che spesso non entrano in contatto con il mondo delle associazioni e dei servizi. Dobbiamo costruire reti sociali sul territorio attivando sinergie più strutturate, che vadano al di là della discrezionalità e della buona volontà del singolo operatore”.

Quando il lavoro “fa male” allo straniero. C’è poi un’altra categoria di stranieri con disabilità, che più facilmente entra nel circuito dei servizi e delle tutele, perché prima ancora di essere “immigrati” e “disabili”, sono lavoratori. Lavoratori infortunati. Come Saad Yadoughi, tunisino di origine, in Italia dall’inizio del 1990. Vive a Torino, Saad, 46 anni, con la moglie e due figli di 4 e 10 anni. Il 20 agosto del 2013, l’incidente che gli ha portato via la gamba destra: “Ero alla guida del camion, in autostrada. Era una giornata come tante, nessun pericolo particolare, né nebbia né pioggia. E avevo fatto la mia pausa di 45 minuti a Reggio Emilia”. Era in sorpasso “quando l’auto davanti a me ha frenato improvvisamente, credo per far passare un animale. La cabina si è rotta, con me dentro. Si è capito subito quanto fossi grave: è arrivato l’elicottero e mi ha portato a Parma. Mi hanno messo in coma farmacologico perché non potevano operare subito. L’infezione dalla gamba è salita, hanno dovuto amputare sopra il ginocchio. Sono rimasto a Parma per due mesi, in coma farmacologico, poi mi hanno trasferito a Torino, dove sono stato ricoverato altri due mesi. Poi sono tornato a casa e finalmente, il 7 luglio 2014, sono arrivato a Budrio. L’azienda ha fatto quello che doveva fare, niente di più, niente di meno”. Il resto lo ha fatto l’Inail di Pinerolo.

“E tutto è filato abbastanza liscio: ho trovato l’assistenza che mi serviva e mi hanno messo in piedi. Ricordo ancora l’emozione, quando dopo tanti mesi in carrozzina mi ritrovai dritto sulle mie gambe, grazie alla protesi. Mi sono visto altissimo! È stato davvero commovente”. Saad si definisce “invalido, ma posso uscire, camminare e fare quasi tutto con i miei figli. Piano piano sento che sto venendo fuori dall’incubo. Non posso dire che la mia nazionalità straniera mi abbia creato difficoltà: i tempi lunghi e la burocrazia, questo sì, ma so che questo è un problema anche per gli italiani”. È vero anche, però, “che sto in Italia da 26 anni, ormai mi sento italiano. Magari per uno straniero arrivato da poco sarebbe stato tutto più difficile: capire cosa fare, comprendere cosa gli veniva chiesto. Io oggi ringrazio per quello che ho”.

Chiudiamo il cerchio e torniamo ad Ahmed, perché sia lui ad avere l’ultima parola: lui che ce l’ha fatta. Lui che, straniero e disabile, ha trasformato tanti possibili limiti in altrettante preziose risorse. A dimostrare che lo sport, ma soprattutto la determinazione di darsi una seconda possibilità, possono aprire le frontiere anche dove si innalzano muri. E che si può bucare il canestro anche con un braccio solo. Proviamo a rovinargli la festa, dopo l’allenamento in palestra e tanti tiri andati a segno. “Tu oggi sei fortunato, vivi di sport. Ma quando sarai troppo ‘grande’ per giocare, cosa farai per vivere?”. Il sorriso si smorza, ma solo per un attimo: “Vado a fare la doccia”. Ci sono ancora tanti campionati da giocare.

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PREGIUDIZI HANNO LE GAMBE CORTE

Superando.it – Nel 2014 Carlo Cottarelli,  durante l’incarico da commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, ha condotto una profonda analisi in funzione della spending review. Il commissario presentò le sue Proposte per una revisione della spesa pubblica (2014-2016) e fra gli interventi vagheggiati c’erano anche due ipotesi di azione sulle provvidenze assistenziali riservate agli invalidi, ciechi e sordi civili.

Gli interventi derivavano dalla constatazione di presunti «picchi territoriali» nella concessione delle provvidenze assistenziali, in particolare rivolte agli anziani invalidi, non giustificabili – a parere del Commissario – dai flussi demografici, e quindi potenzialmente imputabili ad «abusi» (così definiti dal testo diffuso). In alcune Regioni il numero delle provvidenze economiche agli invalidi civili sarebbe risultato, infatti, percentualmente molto superiore a quello delle stesse concesse in altre Regioni.

Cottarelli suggeriva due ordini di interventi. Il primo di controllo sugli “abusi”, il secondo di un’indifferibile introduzione della prova dei mezzi (limite reddituale sulle indennità di accompagnamento).

La redazione di Superando.it contestò, a suo tempo, l’analisi proposta, con motivate e circostanziate controdeduzioni, bellamente ignorate dalla stampa, sia generalista che di settore. In pratica rilevarono come gli “strani picchi” di Cottarelli fossero spiegabili senza ricorrere alla teoria degli abusi: le Regioni con la più alta spesa sociale rivolta agli anziani sono anche quelle con la minore spesa per trattamenti assistenziali agli invalidi civili ultrasessantacinquenni. In altre parole, meno si spende per gli interventi e i servizi sociali e più le persone ricorrono all’indennità di accompagnamento. Ma nell’esame di Cottarelli mancava anche qualsiasi riferimento a possibili e probabili differenze epidemiologiche, reddituali, sociali.

La stessa affermazione che vi fossero pochi controlli e disparità nei criteri di accertamento cozzava con l’evidenza dei fatti: 1.250.000 controlli straordinari dal 2009 al 2015 concentrati proprio nelle Regioni “incriminate”, e un sistema di accertamento a doppio livello (ASL più INPS), con il coinvolgimento di decine di migliaia di medici e milioni di visite ogni anno. Per inciso, sui costi di queste verifiche e sull’attuale sistema di accertamento di invalidità non è stato effettuato alcun controllo di spesa né, peggio, proposta di revisione della stessa.

A settembre del 2015, il Direttore editoriale di Superando.it – assieme a Daniela Bucci, responsabile di «Condicio.it – Dati e cifre sulla condizione delle persone con disabilità», presentò l’ennesima analisi di dettaglio ad un convegno della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Si trattava del report intitolato Persone con disabilità in Italia, fra dati ufficiali e luoghi comuni, ove si smontava ulteriormente la tesi di Cottarelli che comunque imperversava ancora nella peggiore stampa e nei più urlati talk-show.

La storia ha una nuova puntata, Il Rapporto Annuale INPS 2015, presentato un paio giorni fa. Ed è una fonte dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ad affermare che «una parte importante della variabilità territoriale nel numero di beneficiari dell’indennità di accompagnamento possa essere spiegata dalla struttura demografica, da misure della pressione epidemiologica e dal contesto socio-economico osservato nel contesto territoriale di riferimento».

Oltre all’attenta lettura dei dati epidemiologici (patologie soprattutto oncologiche) differenti per Provincia, che spiegano ancora i picchi territoriali, l’Istituto indica come «particolarmente significativa […] la relazione tra numero di indennità di accompagnamento erogate e le variabili di contesto economico, mostrando come le prestazioni […] siano più diffuse nelle province più povere: il numero di beneficiari infatti è inferiore nelle province con più alto valore aggiunto pro-capite e con un importo medio dei redditi da pensione più alto. Si nota infine che maggiore è la disuguaglianza nei redditi da pensione individuali maggiore è il numero di beneficiari di indennità di accompagnamento a livello provinciale».

Ma non è tutto, prosegue il Rapporto INPS: «L’analisi parrebbe suggerire che in alcuni contesti territoriali altre caratteristiche […] (tra queste ad esempio, il differente grado di copertura e di spesa dei comuni per sostegno ad anziani e disabili) contribuiscono a spiegare la variabilità del numero di beneficiari di indennità di accompagnamento ma potrebbero anche segnalare i casi dove i criteri di eleggibilità potrebbero essere applicati con minor rigore».

Dunque, quand’anche fosse vero che in alcuni contesti le commissioni sono più di “manica larga” (il che rimane da dimostrare), ciò, guarda caso, accade dove è infima la spesa per servizi sociali e socio-sanitari per gli anziani e le persone con disabilità. Infine, per quanto riguarda la povertà, anche il vecchio refrain secondo cui si può qualificare (dicono così) la spesa assistenziale, ponendo dei limiti reddituali all’indennità di accompagnamento, viene smantellato da un’austera tabella a pagina 86. Vi scopriamo infatti che il 68,8% dei titolari di indennità di accompagnamento ha un reddito compreso fra 0 e 15.000 euro e che il 95,2% dei titolari sta sotto i 30.000 euro, mentre solo lo 0,7% (13.000 persone) contano su un reddito o una pensione sopra i 50.000 euro.

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USA. AGGIORNAMENTO GLOBALE SULL’AUTORAPPRESENTANZA

Fonte Inclusion International – L’organizzazione mondiale di persone con disabilità intellettiva e delle loro famiglie, Inclusion International, ha recentemente incontrato le persone con disabilità e le loro famiglie provenienti da tutto il mondo per parlare dello sviluppo della strategia globale sull’auto-rappresentanza.

La strategia sarà lanciata il 27-29 ottobre 2016 a Orlando (USA) presso il National Convention & International Forum 2016, un’evento organizzato in collaborazione con Arc of the United States.

 

Per maggiori informazioni sull’evento cliccare qui.

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AL VIA ANFFAS ESTATE

..Mare, montagna, brevi soggiorni, giochi, amici …… questo ed altro ancora nel programma di luglio dell’associazione. In pausa dalle consuete attività che nel Centro Socio-Educativo di Anffas Onlus Corigliano si svolgono: accoglienza, lettura e commento quotidiani, utilizzo computer e dispositivi per la comunicazione attraverso easy to read (linguaggio facile da leggere), laboratori di Musica e Movimento, attività di self-advocacy e cittadinanza attiva, autonomia, laboratori manuali ed artistici, uscite didattiche, attività sportiva e motoria(equitazione, ippoterapia, nuoto), si prosegue con attività ricreative e formative tese a migliorare il benessere della persona.
Le attività termineranno il 30 luglio e riprenderanno a settembre. Buona Estate.
Per info: anffascorigliano@anffascorigliano.it
www.anffascorigliano.it

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UNA SETTIMANA DOPO IL BREXIT, UN MESSAGGIO DAL PRESIDENTE DI EUROPE INCLUSION

Inclusion Europe – “I nostri principi fondanti sono il rispetto, la solidarietà e l’inclusione. Sono le linee guida per come dovremmo reagire. Inclusion Europe è un’associazione europea, che raggruppa membri provenienti da 39 paesi e con proprie modalità di ingresso per i nuovi membri provenienti da altri paesi”. Afferma Maureen Piggot, Presidente di Inclusion Europe*, in un messaggio diramato per rassicurare i membri dell’organizzazione a seguito dell’esito referendario sulla Brexit.

“La solidarietà e il valore d’unione in una causa comune sono ancora più necessari in quanto le strutture governative formali di coordinamento sono distaccate. Il Brexit significherà cambiamento, alcuni dei quali non possiamo prevedere”.

Prosegue Maureen Piggot.“Come separazione va negoziata e i risultati ottenuti per garantire i diritti delle persone con disabilità intellettiva in Europa devono salvaguardati. Dobbiamo fare in modo che l’Europa, nel suo complesso, continui ad affrontare i propri diritti e le questioni relative all’inclusione, come ad esempio la segregazione e l’istituzionalizzazione. La nostra aspirazione è rendere questa regione il faro per il mondo nel campo dei diritti per le persone con disabilità e fare in modo che il supporto non arretri”.

“Due cose hanno resistito in questa settimana epocale. Auto-rappresentanti, familiari e colleghi di lavoro del Regno Unito sono rimasti in contatto per esprimere il loro personale senso di perdita, la loro fedeltà a Inclusion Europe e la ricerca di rassicurazione a continuare a cooperare e mantenersi in contatto con gli amici e i colleghi di tutta Europa. Il Forum Europeo della Disabilità sta progettando di coordinare le ONG europee accanto ai loro membri nel Regno Unito al fine di garantire alle persone con disabilità un punto di ascolto nei negoziati intergovernativi. A livello nazionale, in tutti gli Stati membri, il messaggio che deve passare deve essere rinforzato perché le persone con disabilità non devono soffrire per l’incertezza e i cambiamenti nelle relazioni formali. La campagna referendaria è stata amara e controversa. Abbiamo un ruolo da svolgere che consiste nel contrastare le conseguenze negative dell’esito referendario. Abbiamo esempi interessanti di come le differenze possono essere accolte e quali conquiste personali e sociali ne possono derivare. Siamo in grado di essere un esempio per la società più ampia in materia di rispetto, solidarietà e inclusione”.

 

di cui anche Anffas Onlus è membro

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INFOBANDI CSVNET: IL NUOVO PORTALE GRATUITO SULLE OPPORTUNITÀ DI FINANZIAMENTO PER IL VOLONTARIATO ED IL TERZO SETTORE

Magliano – vicepresidente CSVnet*. È un cambio di passo per il sistema dei CSV, che avrà la possibilità, anche attraverso il portale, di alzare lo sguardo verso opportunità nazionali europee ed internazionali per sé e per le proprie associazioni”.

Infobandi CSVnet è il nuovo portale web dedicato alle opportunità di finanziamento nazionali, europee ed internazionali realizzato dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato. Obiettivo della nuova piattaforma web, raggiungibile all’indirizzo www.infobandi.net è favorire la diffusione, all’interno del mondo del non profit, delle informazioni sui finanziamenti che è possibile ottenere dalle istituzioni europee o da fondazioni ed enti privati italiani e stranieri in base all’ambito di intervento in cui si opera.

Gli utenti hanno la possibilità di visualizzare gratuitamente i bandi attivi sui Programmi UE 2014-2020, i Programmi Operativi Nazionali (PON), i Programmi di Cooperazione Territoriale Europea (CTE) ed effettuare ricerche avanzate grazie alla funzione “Cerca bandi” e nell’archivio dei bandi scaduti. Le schede dei bandi sono dettagliate e di facile consultazione.

Il portale, dalla grafica moderna dinamica e intuitiva, è “mobile responsive”, ovvero è ottimizzato per la navigazione via smartphone e tablet.

Una funzionalità dedicata esclusivamente ai CSV è la sezione “Database partner europei”, per condividere, all’interno del sistema dei CSV, i contatti di organizzazioni affidabili per progetti europei.

Il portale, presentato a Genova durante la conferenza di CSVnet alla platea di oltre 250 rappresentanti di tutti i CSV italiani, è l’evoluzione di Infobandi Europa, una sezione del sito di CSVnet che in poco più di due anni ha prodotto oltre 250 bandi registrati e promossi alla rete dei CSV e del non profit.

“Vogliamo rendere il portale infobandi CSVnet la più importante fonte d’informazioni su opportunità e finanziamenti per il volontariato ed il terzo settore in Italia – commenta Silvio Magliano, vicepresidente di CSVnet con delega all’Europa. “Questo strumento segna un cambio di passo per lo stesso sistema dei CSV, che avrà la possibilità, anche attraverso il portale, di alzare lo sguardo verso opportunità nazionali europee ed internazionali per sé e per le proprie associazioni”.

Segui il racconto della Conferenza anche su Facebook e Twitter con l’hashtag #CSVgenova16

 *Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) che nasce l’11 gennaio 2003 per raccogliere, dare continuità e rafforzare l’esperienza del Collegamento Nazionale dei Centri di Servizio costituito nel 1999. Ad oggi riunisce e rappresenta 68 dei 71 Centri di Servizio per il Volontariato, istituiti in Italia grazie alla legge n. 266 del 1991.

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COME SI SOGNA (E SI AMA) CON UN CROMOSOMA IN PIÙ

Vanityfair.it – Marco è un bel ragazzo. Marco è un atleta. Marco cura molto il suo aspetto. Marco è sicuro di sé e un po’ donnaiolo. Marco vuole riaprire un vecchio cinema e diventare allenatore di nuoto. Marco ha la sindrome di Down, ma questo per lui è solo un dettaglio.

Marco si veste meglio di me, ha un taglio di capelli migliore del mio, nuota più veloce di me. Marco ha anche la sindrome di Down, ma tende a ricordarselo solo quando gli altri glielo ricordano. La sua identità è da un’altra parte: Marco è un atleta, capitano della squadra di nuoto, appassionato di cinema, fratello geloso, maschio vagamente donnaiolo. Quando lo incontro, in un ristorante all’Eur a Roma, insieme a sua sorella Gioia, ho già visto le foto di questo servizio, del quale Marco è protagonista, insieme ai suoi amici, e in qualche modo anche ispiratore e co-creatore. E di persona non è di una virgola diverso o meno sicuro di sé.

La sindrome di Down – causata dalla presenza di 47 cromosomi invece che 46, più precisamente di una terza copia del cromosoma 21, infatti è detta anche trisomia 21 – è una condizione con uno spettro molto ampio di conseguenze. In alcuni casi può causare una disabilità intellettiva grave, che richiede tutto l’aiuto del mondo. Però ci sono persone con la sindrome di Down e che sono diventate politici, musicisti, artisti, imprenditori. Persone come Marco Marzocchi, 33 anni e un diploma scientifico tecnologico, che come tutti vogliono avere un posto nella società, certi giorni litigarci, certi giorni essere pigri, certi altri svegliarsi con la voglia di cambiare il mondo. «La sindrome di Down è una condizione genetica democratica, c’è in tutte le razze, a tutte le latitudini». Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Associazione italiana persone down, mi fa da guida in cosa è oggi in Italia avere la sindrome di Down (e non essere down, le parole sono importanti, i verbi soprattutto). Fino a pochi decenni fa, in Italia c’erano pochissimi adulti con la sindrome di Down. Negli anni ’40, l’aspettativa di vita era di 12 anni, oggi molte delle complicazioni congenite (cardiache, gastrointestinali, tiroidee) possono essere gestite e l’aspettativa di vita è salita a 62 anni. La conseguenza è che, delle quasi 40 mila persone con questa condizione in Italia, il 60% è composto da adulti. Che si affacciano alla società con necessità, con sogni, con la voglia di esserne parte e il bisogno di essere raccontati in modo diverso. «Almeno la metà di loro ha buone possibilità di inserimento sociale e lavorativo, ma quando la scuola dell’obbligo finisce, lo scenario è ancora troppo confuso». Soltanto il 12% degli adulti lavora, un numero molto più basso di quelli che potrebbero effettivamente farlo. «Fanno gli impiegati, i magazzinieri, gli scaffalisti nelle librerie, e ovunque hanno standard di produttività superiori a quelli medi delle aziende dove lavorano». Karen Gaffney è stata la prima persona con la sindrome di Down a tenere un TED Talk (i TED Talk sono quei discorsi in cui innovatori, filosofi, imprenditori raccontano la propria visione del mondo). Karen ha raccontato il suo primo giorno di scuola. Era il primo non solo per lei, bambina con la sindrome di Down, ma anche per la sua insegnante: «Non sapeva niente della sindrome di Down». L’incontro con l’altro, soprattutto a scuola, non è una passeggiata, ma ce l’hanno fatta: «Lei aveva voglia di insegnare, io avevo voglia di imparare». La maestra si è sposata, si è trasferita in Germania, Karen è andata avanti, è diventata una nuotatrice come Marco (ha attraversato la Manica a nuoto), è andata al college, ha aperto la sua fondazione. Anni dopo, quella maestra le ha scritto: «Sono incinta, aspetto un bambino, avrà la sindrome di Down». Il ginecologo le aveva parlato della possibilità di abortire, ma lei si era ricordata di quella bambina, del suo primo giorno di lavoro, del percorso fatto insieme. E ha portato avanti la gravidanza. «Le nostre vite contano, il nostro domani conta, esiste», dice Karen. La percezione sociale sta cambiando», spiega il dottor Aldo Moretti, direttore scientifico Fondazione Cepim, che lavora alla formazione e all’inserimento delle persone con la sindrome di Down: «Ci sono ancora pregiudizi, ma c’è più conoscenza. Il punto è che essere accettati non basta, molti di quelli che sono diventati adulti lo hanno fatto senza ricevere gli aiuti corretti». Secondo Moretti, il 40% delle persone con la sindrome di Down ha un ritardo abbastanza grave da rendere l’autonomia, parola chiave di questo mondo, quasi impossibile. «Ma gli altri, se educati all’autonomia fin da piccoli, potranno avere un lavoro, andare a vivere da soli, avere una vita affettiva». La malattia geneticamente è la stessa di quarant’anni fa, quando sono state abolite le classi ghetto in Italia, ma stanno cambiando la percezione e le metodologie. «Si dice sempre che a scuola e al lavoro sono precisi, quasi maniacali. Spesso si tende a formarli esasperando questo aspetto, ma è un errore, perché così diventano rigidi nelle loro reazioni, invece la vita è elastica e devono esserlo anche loro. Come per tutti, le loro menti subiscono i condizionamenti dell’ambiente, ma se stimolate hanno capacità di pensiero critico, di ironia e autoironia». Quando chiedo a Karen di spiegarmi come funziona la sua mente, me lo spiega così: «Mi ci vuole più tempo per imparare. A volte mi sforzo di rispondere subito invece di ascoltare davvero. Devo fare più attenzione, è una cosa su cui lavoro costantemente. Il mio apprendimento è sempre visivo», mi scrive. «Se sto studiando un libro di storia, vado su YouTube e cerco un documentario su quel periodo, perché mi aiuta a visualizzare. Se sto leggendo un romanzo, scrivo gli eventi che accadono su una timeline». Karen ha imparato alcune strategie a scuola, altre da sola. È l’evoluzione della metodologia di cui parla Moretti. Come scrive Amy Julia Becker, scrittrice e madre di una bimba con la sindrome di Down: «Senza occhiali molte persone sarebbero considerate disabili, la tecnologia ci permette di vedere quando la biologia ce lo impedisce. E per questi bambini, e per i loro problemi cognitivi, potrebbero esserci nuove soluzioni e diversi approcci didattici. Quella che si chiama disabilità può essere anche definita come una diffidenza che la nostra società non vuole superare». Ogni mente è frutto della sua biologia e degli stimoli che riceve. Marco si illumina quando parla dei viaggi che ha fatto con Gioia e la sua famiglia, della Statua della Libertà e di Atene, che è la sua capitale preferita: «Lì c’è la storia e prima di partire io avevo studiato il greco su YouTube senza dirlo a Gioia, quando siamo arrivati io lo parlavo e lei no». Gioia (che fa la conduttrice e l’attrice) lo porta d’estate a Ibiza, Marco ne apprezza il fuso orario, l’ora ibizenca: «Vuol dire che si va a letto tardi e ci si sveglia tardi, si pranza tardi e si fa tutto tardi». Ma la sorpresa e la scoperta sono sempre in due direzioni, lo vedo da come Gioia ride alle battute del fratello, si fa trascinare dal suo entusiasmo.

È quello che racconta anche Giacomo Mazzariol in Mio fratello rincorre i dinosauri, la storia di quanto quel fratello con la sindrome di Down, Giovanni, gli abbia cambiato e riempito la vita. Dentro c’è la scoperta dei limiti e delle paure di Giovanni, ma anche del talento, delle sorprese, dei gusti, della sua «vita obliqua». Un giorno, Giacomo porta Giovanni a conoscere il suo idolo, il rapper Moreno, e dopo avergli chiesto l’autografo, Giovanni ne firma uno a Moreno: «Pensava fosse uno scambio reciproco». Scrive Giacomo: «La vita con Gio è un continuo viaggio tra gli opposti, tra divertimento e logoramento, azione e riflessione, imprevedibilità e prevedibilità, ingenuità e genialità, ordine e disordine». Marco parteciperà ai Trisome Games di Firenze a luglio. Dopo, lascerà la squadra, sogna di diventarne allenatore, vorrebbe trovare un lavoro: «Basta che mi pagano, per vivere, per sentirmi indipendente». Si prende cura, talvolta con impazienza, delle amiche Federica e Viola. E trabocca di sogni: vuole prendere in gestione un vecchio cinema di Spinaceto chiuso da anni: «Amo il cinema e non posso vederlo rovinato dai vandali. Io ci farei lavorare i ragazzi con un handicap e i miei amici che non hanno lavoro». Oppure mettere a posto e prendere in gestione la piscina di Tarquinia dove ha imparato a nuotare. Non pronuncia mai la parola Down. Quando lo faccio io, mi risponde: «Detesto le persone che mettono etichette ad altre persone, Down, gay, trans o nero. Le persone sono uguali, cambiano solo i gusti e il carattere». Marco, Giovanni, Karen, Viola, Federica: hanno tanti bisogni e una vita complicata. Hanno dovuto combattere per ogni singola cosa che hanno imparato. E hanno tutti un’esigenza: essere trattati come individui. Se non ne avete ancora incontrato uno, e vi dovesse capitare, vi do un consiglio. Chiedetegli: «Cosa ti piace?». Molto probabilmente, vi sorprenderà.